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Corriere della Sera-L'Opinione-Il Giornale Rassegna Stampa
03.09.2011 Turchia: I commenti
di Antonio Ferrari, Stefano Magni, Dan Vittorio Segre

Testata:Corriere della Sera-L'Opinione-Il Giornale
Autore: Antonio Ferrari, Stefano Magni, Dan Vittorio Segre
Titolo: «Israele e Turchia nemici inseparabili aldi là dei gesti estremi di Ergogan-15 mesi dopo la Freedom Flotilla Perché la Turchia rompe con Israele-La Turchia rompe con Israele (a parole)»

Crisi nei rapporti Israele-Turchia. Riprendiamo oggi, 03/09/2011, i commenti di Antonio Ferrari, Stefano Magni, Dan Vittorio Segre, rispettivamente da CORRIERE della SERA, L'OPINIONE, IL  GIORNALE:

Corriere della Sera-Antonio Ferrari: " Israele e Turchia nemici inseparabili aldi là dei gesti estremi di Ergogan "


Antonio Ferrari

Apparentemente ha un sapore ultimativo la crisi nei rapporti tra Turchia e Israele. Perché la decisione di Ankara di espellere l'ambasciatore dello Stato ebraico e di sospendere il patto di cooperazione strategica è un passo davvero gravissimo.
Tuttavia nel caso che stiamo descrivendo vi sono possibili vie d'uscita. La Turchia è offesa per due ragioni: la prima è che Israele non ha presentato scuse ufficiali dopo l'assalto alla flottiglia di pacifisti, che costò la vita a nove cittadini turchi; la seconda è che non ha gradito le conclusioni della commissione d'inchiesta promossa dalle Nazioni Unite. Infatti la commissione riconosce la sproporzione dell'uso della forza da parte di Gerusalemme, ma sostiene anche che Israele aveva pieno diritto di sorvegliare quello specchio di mare, in acque internazionali, al largo di Gaza.
È vero che le conclusioni dell'inchiesta non sono state subito rese pubbliche nella speranza che i due Paesi trovassero una soluzione diplomatica. Ma le chiusure di Israele, che si rifiuta di chiedere scusa, seguendo la linea dell'intransigenza del ministro degli Esteri Lieberman, si sono sommate alla durezza del governo turco: sia del premier Recep Tayyip Erdogan, sia del capo della sua diplomazia, Ahmet Davutoglu.
Conoscendo un poco la psicologia del primo ministro turco, poco incline ai compromessi e naturalmente portato a vulcaniche manifestazioni di insofferenza, si può dire che le decisioni di ieri ne sono ruvida conferma. Erdogan si sente intoccabile: guida un Paese in forte crescita, è presente su tutti i teatri internazionali (la visita in Somalia ne è l'ultimo esempio), e non fa certo sconti ad alleati e ad amici. L'asprezza minacciosa con cui si è rivolto al siriano Bashar el Assad, che promette riforme e poi manda i carri armati a sparare sul suo popolo, ne è chiara testimonianza. È pur vero che il patto d'acciaio con Israele era fortemente sostenuto dai militari turchi, oggi schiacciati dal potere politico. Ma credo sia logico ritenere che la crisi si ricomporrà. Realisticamente, Israele e Turchia hanno troppo bisogno l'uno dell'altro.
 

L'Opinione-Stefano Magni: "15 mesi dopo la Freedom Flotilla Perché la Turchia rompe con Israele


Recep Tayyip Erdogan

 Espulso l’ambasciatore israeliano in Turchia, fine della cooperazione militare fra Ankara e Gerusalemme. Perché Israele ha rifiutato di formulare scuse ufficiali per l’uccisione di nove attivisti turchi durante l’abbordaggio della motonave Mavi Marmara, parte della Freedom Flotilla, il 31 maggio 2010, al largo di Gaza. Come mai la rottura è avvenuto solo ieri, a più di un anno di distanza dagli eventi? L’Onu sta per pubblicare un nuovo rapporto sulla vicenda della Freedom Flotilla, intenta a raggiungere Gaza per portare aiuti umanitari e fermata dalla marina militare israeliana in acque internazionali. Ma il rapporto non è ancora stato pubblicato, quel che si sa lo si conosce tramite indiscrezioni e da quel che si è già potuto leggere, non si trova una vera e propria condanna a Israele. Il blocco di Gaza viene considerato legittimo. Lo Stato ebraico è semmai accusato di eccesso nell’uso della forza, perché i commando del team di abbordaggio hanno aperto il fuoco con i fucili contro attivisti dell’organizzazione Ihh armati di armi bianche (ma tutt’altro che pacifici). E perché l’abbordaggio è avvenuto in acque internazionali, a grande distanza dalla linea del blocco navale. La Turchia, tuttavia, si spinge ben oltre alle accuse del rapporto e, nel motivare l’espulsione dell’ambasciatore, parla di “azione illegale” da parte di Israele. Il rapporto Onu, inoltre, non impone a Gerusalemme di formulare scuse ufficiali alla Turchia. E nella sua conclusione, a quanto risulta dalle indiscrezioni, invita le parti a “ristabilire piene relazioni diplomatiche”. Ankara ha fatto il contrario di quel che il rapporto chiedeva. E’ lecito, dunque, porsi qualche domanda su una reazione turca quantomeno eccessiva e fuori tempo massimo. Soprattutto considerando che la Turchia non ha sposato la causa della Freedom Flotilla: quest’anno ha rifiutato ogni supporto logistico alla Freedom Flotilla2, contribuendo al fallimento dell’iniziativa. Ad essere cinici si può notare che il governo Erdogan stia alzando i toni contro Israele, sui diritti umani, quando le sue truppe, in casa, reprimono il movimento indipendentista curdo, provocando centinaia di morti. Ad allargare lo sguardo a tutto il Medio Oriente, invece, vediamo che Ankara è più isolata: ha rotto i suoi rapporti con il regime siriano (causa repressione) e di conseguenza sta compromettendo quelli con i suoi alleati, Libano e Iran. L’unico modo per riemergere, quale Paese leader nel Medio Oriente, è quello di porsi come Paese capo-fila fra quelli che intendono riconoscere l'indipendenza dello Stato palestinese. Dando l'esempio presso i nuovi governi rivoluzionari. Soprattutto in Egitto, dove anti-sionismo e anti-semitismo crescono a vista d’occhio.

Il Giornale-Dan Vittorio Segre: " La Turchia rompe con Israele (a parole)"


Dan Vittorio Segre

Con una furiosa dichiarazione il ministro degli esteri turco Davutoglu ha espulso ieri l’ambasciatore israeliano da Ankara; abbassato i rapporti diplomatici a livello di primo segretario; promesso di attuare un «Piano B» di sanzioni e rappresaglie; cancellato gli accordi strategici fra i due paesi; minacciato di congelare quelli economici. Dopo mesi di tensione drammatizzati dall’uccisione di nove attivisti turchi nello scontro sulla nave Mavi Marmara che volevano forzare il blocco di Gaza quindici mesi fa si è dunque giunti alla rottura definitiva fra i due vecchi alleati? Pare di sì ma probabilmente no.

I rapporti strategici e militari erano interrotti da tempo; l’ambasciatore turco era stato ritirato da Tel Aviv da oltre sei mesi; il rapporto Palmer dell’Onu sull’incidente della nave Marmara conferma il diritto israeliano di mantenere il blocco su Gaza, tutto questo mentre gli scambi commerciali fra i due paesi sono aumentati del 40% e la Turchia compra da Israele gli aerei senza piloti con cui bombarda i curdi.

La tensione non giova né a Israele né alla situazione nel Medio oriente. Garantisce il fallimento dei tentativi di Gerusalemme di bloccare alla Assemblea generale dell’Onu il riconoscimento dello stato palestinese. Ma questo non spiega la furia turca, a meno che non la si collochi nel quadro delle difficoltà che la Turchia incontra nel ripresentarsi sulla scena internazionale come grande potenza regionale e erede dell’impero ottomano. Il governo Erdogan trionfatore alle ultime elezioni generali è in guerra con i curdi; i suoi rapporti di grande stato sunnita con il vicino Iran sciita sono peggiorati; la rivolta in Siria ha privato Ankara del suo principale alleato nel mondo arabo; in Libia non ha potuto salvare né Gheddafi né gli enormi investimenti fatti in quel paese: in reazione alla sua politica anti israeliana ha visto avversari storici come Cipro, Grecia e Bulgaria avvicinarsi a Israele. Attaccarlo, farsi protettore dei palestinesi è il modo sicuro per avere la simpatia delle folle arabo islamiche, come del resto l’avrebbe avuta se Israele avesse accettato di piegarsi all’ultimatum turco di scusarsi per un’azione mal condotta ma di chiara autodifesa contro il tentativo di rompere il blocco di Gaza.

L’impressione è che si tratta di una tragicommedia dove le apparenze sono - per il momento - differenti dalla realtà. In Israele essa mette fine alle discussioni all’interno del governo e della opinione pubblica fra partigiani delle scuse e del pagamento di compensazione per le vittime alla Turchia e gli oppositori convinti che non sarebbero serviti a nulla. Questo rafforza la posizione di Netanyahu, grande oratore ma leader indeciso a cui un nemico esterno capace di ravvivare l’atavico complesso ebraico di popolo perseguitato è sempre un utile alleato.

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