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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Libero - Corriere della Sera - L'Opinione - La Stampa Rassegna Stampa
09.06.2011 Siria: Bashar al Assad continua la sua repressione con l'aiuto dell'Iran
Cronache e commenti di Carlo Panella, Maurizio Molinari, Stefano Magni, Antonio Ferrari, Stefano Montefiori

Testata:Libero - Corriere della Sera - L'Opinione - La Stampa
Autore: Carlo Panella - Stefano Magni - Antonio Ferrari - Maurizio Molinari - Stefano Montefiori
Titolo: «Siria, i palestinesi sparano sui loro profughi - Se spara Israele, se spara la Siria. Il doppiopesismo sul Medio Oriente - La Siria soffoca la rivolta con la tecnologia iraniana - Londra e Parigi all’Onu: Condanniamo la Siria»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 09/06/2011, a pag. 21, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " I palestinesi l'hanno capito: la Siria è il nemico ". Dall'OPINIONE, a pag. 13, l'articolo di Stefano Magni dal titolo "Siria, i palestinesi sparano sui loro profughi ". Dalla STAMPA, a pag. 19, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " La Siria soffoca la rivolta con la tecnologia iraniana ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 22, l'articolo di Stefano Montefiori dal titolo " Londra e Parigi all’Onu: Condanniamo la Siria ", a pag. 50, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Se spara Israele, se spara la Siria. Il doppiopesismo sul Medio Oriente ".
Ecco i pezzi:

LIBERO - Carlo Panella : " I palestinesi l'hanno capito: la Siria è il nemico"


Carlo Panella

È sconvolgente la verità finalmente emersa sugli incidenti tra palestinesi e soldati israeliani scoppiati sul Golan domenica scorsa: è stata una ignobile trappola. organizzata da palestinesi al soldo del regime di Damasco che hanno caricato su autobus centinaia di profughi palestinesi dai campi in cui sono rinchiusi in Siria, li hanno portati sul Golan e li hanno spinti a gettarsi oltre il confine, assicurando loro una copertura che si sono ben guardati dal garantire. Ovviamente l’esercito israeliano ha reagito violentemente ad una invasione che aveva tutte le caratteristiche di un atto di guerra e - temendo che nella folla vi fossero dei kamikaze - ha aperto il fuoco, uccidendone una ventina. Quasi tutti i media italiani, con poche eccezioni hanno dipinto i fatti come prova della cieca violenza israeliana. Ma la verità che ha dell’in - credibile è emersa due giorni dopo. I parenti di otto giovani morti sul Golan, durante i loro funerali nel campo profughi di Yurmuk, nella periferia di Damasco, si sono infatti scagliati contro i dirigenti del Fplp-Cg, il gruppo palestinese che aveva organizzato la trappola, per impedire di partecipare ipocritamente alle esequie; questi hanno reagito sparando; la folla inferocita allora si è diretta verso la sede nel campo del Fplp-Cg e l’ha bruciata. La battaglia ha contrapposto - per l’ennesima volta - palestinesi a palestinesi e sul terreno sono rimasti altri 14 morti. La vera versione dei fatti, si noti bene, non proviene da Israele, ma da fonti palestinesi. Netta è la testimonianza resa alla Adn Kronos dal palestinese Ahmad S., che era stato domenica sul Golan e che ha guidato la rivolta di Yurmuk,: «Siamo stanchi di essere manipolati; per anni il regime siriano e i partiti all’in - terno del campo ci hanno impedito di recarci nel Golan e anche per le visite personali avevamo bisogno di un permesso speciale; la gente di Yarmuk accusa il regime siriano e soprattutto il Flpl-Cg, capeggiato da Ahmad Jibril, vicino ai servizi segreti siriani, di non aver protetto abbastanza i palestinesi che ingenuamente avevano accettato di recarsi nel Golan con bus messi a disposizione dal Flpl- CgG stesso». Chiarissime anche le ragioni di questo ennesimo episodio in cui un regime arabo usa dei palestinesi come carne da macello per creare un “caso” da usare contro Israele. Il regime di Damasco ha tutto l’interesse oggi a trovare delle valvole di sfogo per la crisi drammatica che sta attraversando un Paese in cui da due mesi le sue squadre speciali stanno mettendo a ferro e fuoco decine di città per schiacciare il contagio della “rivolta araba”, al prezzo di più di 1200 morti. Ecco allora che tutte le organizzazioni a libro paga di Beshar al Assad (il Fplp-Cg di Ahmad Jibril, Hamas ed Hezbollah), lavorano da giorni per creare di nuovo un clima di guerra con Israele. Sono 50 anni che i profughi palestinesi sono cinicamente usati dai regimi arabi come carne da macello ad uso e consumo delle proprie mire. «I profughi palestinesi sono la nostra atomica», sosteneva Nasser e infatti - come fossero bombe a tempo - sono ancora tenuti dai regimi arabi in una situazione di semischiavitù nei campi. In Siria sono 500.000 i profughi palestinesi, rinchiusi nei campi, come in tutti i Paesi arabi senza diritto di cittadinanza (concessa solo dalla Giordania), senza diritti sindacali quando e se trovano un lavoro, senza diritto di comprarsi una casa o di aprire attività commerciali fuori dai campi. Ma l’Europa, tanto pronta a condannare Israele, di questo sconcio scandalo, non si occupa né si preoccupa.

L'OPINIONE - Stefano Magni : " Siria, i palestinesi sparano sui loro profughi "


Stefano Magni

Una notizia davvero difficile da comprendere nella sua brutalità: palestinesi rifugiati in Siria sparano sui compatrioti che celebravano i funerali dei manifestanti caduti negli scontri al confine con Israele. E’ una storia che non potrebbe essere compresa da tutti coloro che considerano lo Stato ebraico come l’unica fonte di oppressione e morte del popolo palestinese. Meglio tornare indietro di due giorni per capire quel che è avvenuto nel campo profughi di Yarmouk. Domenica, nel giorno della Naksa (la sconfitta di Siria, Egitto e Giordania nella Guerra dei Sei Giorni contro Israele), i palestinesi sono stati coinvolti in un tentativo estremo di passare, disarmati, il confine dello Stato ebraico. L’esercito israeliano ha reagito sparando e il numero delle vittime è ancora sconosciuto. Lunedì, durante la celebrazione delle vittime, i palestinesi hanno protestato contro gli uomini dell’Fplp-Cg, filo-siriani e appoggiati dal dittatore Bashar al Assad. Due i motivi della manifestazione: i familiari e amici delle vittime accusano l’Fplp-Cg di aver mandato i palestinesi al massacro sui confini israeliani. Secondo: li accusano di aver fatto il gioco di Assad, quando molti palestinesi appoggiano la causa degli insorti che da due mesi lottano contro la sua dittatura. L’Fplp-Cg, tutt’altro che democratico, ha sparato sulla folla. Almeno 14 persone sono rimaste sul terreno. Probabilmente più di quelle provocate dai militari israeliani domenica scorsa.

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Se spara Israele, se spara la Siria. Il doppiopesismo sul Medio Oriente "


Antonio Ferrari

Fa più notizia l’israeliano che uccide un palestinese o il siriano che uccide un suo fratello? Salvo qualche lodevole eccezione, lo spazio che i media internazionali hanno dedicato al «tiro al bersaglio» sulle alture del Golan, con gli israeliani che sparavano, dopo aver intimato l’alt, a coloro che avevano oltrepassato le barriere spinate del confine, è molto maggiore di quello riservato agli oltre cento poliziotti siriani giustiziati dagli agenti del loro stesso Paese. Forse perché si erano rifiutati di reprimere violentemente una manifestazione di protesta. In pratica, non volevano sparare ad altezza uomo (o ad altezza bambino). Due pesi e due misure? Vero, anzi è molto peggio. Per tre ragioni. La prima è che dello sconfinamento dei palestinesi si sa quasi tutto. E cioè che è stata Damasco a chiedere a due leader dell’estremismo palestinese, Ahmed Jibril e Maher Taher, di violare il confine del Golan, nell’anniversario della sconfitta araba nella Guerra dei 6 giorni. La seconda è che in Siria, da mesi, è in corso una brutale repressione con oltre mille morti, migliaia di feriti e almeno ottomila arrestati. Il tutto lontano dallo sguardo dei mass media. Ai giornalisti è vietato l’ingresso nel Paese, e le informazioni filtrano solo grazie al coraggio di pochi volontari arabi ben mimetizzati, e alle mille vie di fuga informatiche della rete. La terza ragione è che neppure gli amici della Siria sono disposti a credere alle menzogne diffuse dal regime, che continua a definirsi vittima di un complotto. Il premier turco Erdogan, che aveva chiesto all’amico Bashar el Assad di avviare subito radicali riforme, ora si definisce triste e sconsolato. Ogni giorno centinaia di siriani fuggono nei Paesi confinanti, rischiando la vita. Fuggono in Libano, in Iraq, e ovviamente in Turchia, la cui frontiera è a pochi chilometri dalla città-teatro dell’ultima strage tra fratelli. Ecco perché, in un black out coatto di informazioni, è necessario non tacere.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " La Siria soffoca la rivolta con la tecnologia iraniana "


Maurizio Molinari

È l’Iran a fornire a Damasco la tecnologia necessaria per individuare ed arrestare i leader delle proteste: la rivelazione coincide con l’arrivo sul tavolo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu della risoluzione di condanna della Siria per le violenze contro i civili che avrebbero già causato oltre 1100 vittime.

La ricostruzione della cooperazione fra Teheran e Damasco è contenuta in un documento d’intelligence occidentale che «La Stampa» ha potuto esaminare. Si tratta della richiesta formulata da Liwa Ali Mamluk, capo della sicurezza siriana, al comandante della Forza Al Qods iraniana, Qassem Soleimani, di ottenere la consegna di «materiali per la sorveglianza fotografica aerea» che consentono di individuare singole persone nella folla, sfruttando le caratteristiche dei volti per dare un’identità precisa. Sin dall’inizio delle proteste di piazza in Siria, le forze di sicurezza hanno seguito la tattica di fotografare i manifestanti per poterli arrestare e interrogare ma la nuova tecnologia arrivata da Teheran - con un volo di linea dell’Iran Air atterrato a Damasco - consente un livello più alto di sofisticazione. Può essere infatti montata a bordo di ricognitori aerei e droni senza pilota, consentendo la trasmissione a terra di immagini capaci di far identificare con rapidità i leader delle proteste. Si tratta di un metodo che, secondo il documento, l’Iran ha già adoperato per bersagliare di arresti il movimento di protesta dell’«Onda Verde» e proprio sulla base di tale successo Damasco lo avrebbe richiesto, ottenendo dall’ayatollah Ali Khamenei il via libera alla fornitura. Liwa Ali Mamluk ritiene che il movimento di protesta in Siria sia ormai molto indebolito e punta a sfruttare la tecnologia iraniana per assestare il colpo fatale, riuscendo a catturare o eliminare i leader che ancora gli sfuggono. Proprio tale stretta cooperazione con Teheran spiega la decisione dell’amministrazione Obama di colpire con sanzioni ad personam Qasem Soleimani e il suo braccio destro Muhsen Shaziri, responsabile delle unità operative, in quanto coinvolti nella «violazione dei diritti umani in Siria». Tanto in occasione del discorso sul Medio Oriente pronunciato al Dipartimento di Stato che durante il recente viaggio europeo Barack Obama ha denunciato il sostegno fornito dall’Iran alla repressione in Siria.

È in tale cornice che Francia e Gran Bretagna hanno presentato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il testo di una risoluzione di condanna per la «repressione condotta dal regime di Bashar Assad» sottolineando la necessità di «individuare i responsabili» e di garantire un’« azione umanitaria a sostegno dei civili» perché «la violenza in atto può costituire un crimine contro l’umanità». Alcuni media Usa intanto sollevano dubbi sull’esistenza della blogger Amina Arraf che sarebbe stata arrestata a Damasco.

CORRIERE della SERA - Stefano Montefiori : " Londra e Parigi all’Onu: Condanniamo la Siria "


Bashar al Assad

Il ministro degli Esteri francese Alain Juppé tenta un nuovo miracolo diplomatico: una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che condanni il regime siriano senza attirarsi il veto della Russia e della Cina, così come gli era riuscito a metà marzo con la Libia. Ieri notte Francia e Gran Bretagna hanno presentato al Palazzo di Vetro di New York una bozza che verrà votata nel fine settimana o lunedì. L’obiettivo minimo è portare allo scoperto le posizioni dei singoli Stati, facendo ricadere su chi votasse «no» la responsabilità morale dell’inazione di fronte ai massacri. Ma Juppé non dispera di vincere le resistenze, soprattutto della Russia, e di fare quindi approvare il testo che chiederà a Bashar Assad di fermare la sanguinosa repressione del suo popolo. Per riuscirci, i diplomatici francesi e britannici hanno messo a punto un documento che chiede agli Stati di non vendere armi a Damasco, ma evita di menzionare esplicitamente un embargo; e la Siria viene sì condannata, ma al regime viene lasciata ampia possibilità di tornare sui suoi passi. «Siamo già rimasti intrappolati nella situazione della Libia— aveva detto due giorni fa il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov —. Un esame della crisi siriana al Consiglio di sicurezza deve porsi come obiettivo la soluzione dei problemi attraverso mezzi politici, e non invece creare le condizioni per un altro conflitto armato» . L’obiettivo quindi è convincere Mosca che la risoluzione non sarà il preludio a nuovi bombardamenti, stavolta contro un suo storico alleato strategico nella regione, ma una inevitabile presa di posizione della comunità internazionale contro le stragi. «Oggi a New York la Gran Bretagna e la Francia presenteranno un progetto di risoluzione che condanna la repressione, chiede conto delle responsabilità e invita Damasco a concedere l’accesso degli aiuti umanitari — ha detto ieri il premier britannico David Cameron davanti al Parlamento di Londra —. E se qualcuno voterà contro quella risoluzione o farà uso del suo veto, dovrà risponderne alla sua coscienza» . Martedì il ministro francese Juppé aveva avuto a Washington un lungo colloquio con il Segretario di Stato americano Hillary Clinton proprio sull’opportunità o meno di sfidare la Russia a svelare le sue carte. La dichiarazione di Cameron indica che si è deciso di andare avanti, e di obbligare Mosca a patire il danno di immagine che le verrebbe da un sostegno sia pure indiretto ai massacri. La sensazione è che la crisi siriana sia arrivata a un punto di svolta: tre mesi di repressione hanno provocato 1.300 morti, Damasco ieri ha inviato l’esercito verso il nord del Paese dove le forze dell’ordine si sarebbero unite ai dimostranti, e migliaia di profughi abbandonano la città di Jisr al-Shughour per cercare scampo attraverso il confine con la Turchia. Juppé è convinto di ottenere almeno 11 voti favorevoli su 15, ma solo 9 sono certi (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Portogallo, Bosnia, Gabon, Nigeria, Colombia); Sudafrica e Brasile voteranno probabilmente a favore nonostante qualche dubbio, ma restano gli scogli di Cina, India, Libano e Russia.

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