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L'Opinione - Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.05.2011 Hamas e Fatah uniti contro Israele
Analisi di Stefano Magni, Paolo Lepri

Testata:L'Opinione - Corriere della Sera
Autore: Stefano Magni - Paolo Lepri
Titolo: «Hamas e Fatah uniti contro Israele - L'accordo Hamas-Fatah serve alle leadership, non al popolo»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 05/05/2011, a pag. 13, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " Hamas e Fatah uniti contro Israele ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 48, l'articolo di Paolo Lepri dal titolo " L'accordo Hamas-Fatah serve alle leadership, non al popolo ".
Ecco i due pezzi:

L'OPINIONE - Stefano Magni : " Hamas e Fatah uniti contro Israele "


Stefano Magni

Pace fatta fra Hamas, Fatah e altre 11 fazioni palestinesi. La firma dell’accordo è avvenuta ieri al Cairo. C’era Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese. C’era anche Khaled Meshaal, leader di Hamas in esilio, il più intransigente fra gli intransigenti della guerra a oltranza contro Israele. La guerra fra Fatah e Hamas era scoppiata nel 2007 il movimento integralista islamico palestinese aveva preso il potere nella Striscia di Gaza con un colpo di stato militare. Con l’accordo di ieri “Voltiamo per sempre la pagina nera della divisione”, come ha dichiarato Abu Mazen. Aggiungendo provocatoriamente che ora spetta allo Stato ebraico “scegliere fra la colonizzazione e la pace”. Il problema del mancato raggiungimento della pace, però, non è mai stato il conflitto fra Fatah e Hamas. Ma l’assoluta volontà del secondo di continuare la guerra contro Israele senza compromessi, fino alla totale distruzione dell’“entità sionista”. E anche lo scopo dell’accordo di ieri, secondo il leader islamista Khaled Meshaal, è chiaro: “Il nostro comune nemico è Israele, lo dobbiamo combattere per mezzo della forza e della diplomazia”. Forse solo l’aggiunta di “diplomazia” alle consuete formule politiche e retoriche di Hamas (che ha sempre e solo parlato in termini di “forza”) dimostra una certa accettazione di un compromesso. “Noi dobbiamo avviare una nuova strategia” - spiega Meshaal - “Non vogliamo dichiarare guerra, stiamo solo affermando i nostri diritti. Vogliamo far pressione su Netanyahu così che Israele li riconosca”. Sembrano parole pronunciate da un uomo convertito alla causa dei diritti umani. Ma nello statuto di Hamas, mai modificato, si legge che questi “diritti” consistono nella costituzione di uno Stato in tutta la Palestina (dal Giordano al Mediterraneo), previa cacciata degli ebrei. Il movimento islamico palestinese (inserito nella lista nera europea delle organizzazioni terroriste) non ne ha mai fatto mistero. Così come non ha mai negato il suo sostegno allo jihadismo globale: da Hamas sono giunte subito dichiarazioni di cordoglio per la morte di Bin Laden. Più ambiguo il ruolo di Fatah, che quella morte l’ha salutata ufficialmente come un successo della lotta anti-terrorismo, ma non ha impedito al suo braccio armato (Brigate Martiri di Al Aqsa) di esprimere informalmente il proprio cordoglio (per poi ritrattarlo a sua volta, anche se tardivamente). Fatah dice una cosa e ne lascia intendere un’altra anche per la questione mediorientale, proprio come ha fatto per la morte di Bin Laden. Formalmente accetta il principio dei “due popoli in due Stati”. Ma non ha mai rinunciato al suo “piano a fasi”: prima la nascita di uno Stato palestinese vicino a Israele, poi distruzione di Israele, con le buone o con le cattive, con la guerra o con la demografia, dopo il rientro di 4 milioni di profughi.

CORRIERE della SERA - Paolo Lepri : " L'accordo Hamas-Fatah serve alle leadership, non al popolo "

L’impressione è che la vita sia altrove, come direbbe Milan Kundera, guardando le immagini dell’accordo con cui Al Fatah e Hamas hanno messo ieri fine alla recente storia di sanguinosi scontri e profonde divisioni che hanno lacerato in maniera irreversibile il campo palestinese. Viene da chiedersi infatti se Abu Mazen e Khaled Meshaal non siano ormai soltanto i leader di due fazioni che (al di là del fascino della retorica o peggio ancora dell’estremismo religioso) hanno sempre meno in comune con una ampia parte popolazione della Cisgiordania e di Gaza: una popolazione che sogna libertà e modernità non meno delle folle che hanno rovesciato altri regimi non lontani. Insomma, tutto lascia credere che l’intesa del Cairo sia stata pensata anche per prolungare la vita a leadership logorate (nel caso di Abu Mazen non solo certamente dall’inefficienza e della corruzione ma anche dalla scelta del governo Netanyahu di rimandare sine die l’impegno per una soluzione della questione palestinese) e solo l’effettivo svolgimento di elezioni libere entro un anno (previste nel documento concordato) potrebbe effettivamente aprire un reale spiraglio di speranza. Certo, non tutti sono uguali. Non sono uguali un uomo come il presidente palestinese che, bene o male, è ancora il portavoce (a volte coraggioso) di una legittima causa nazionale e il sinistro Meshaal, capo in esilio di un’organizzazione che ha definito l’eliminazione di Bin Laden un episodio della «politica di oppressione americana contro gli arabi e i musulmani» . Qualcuno però, come ha fatto in passato Amos Oz, potrebbe dire cha la pace si fa con i nemici. Una regola, questa, che dovrebbe valere sia in Palestina sia in Israele. La pace non dimentichiamola. Il mondo è stanco di aspettare all’infinito e questa attesa ha sempre giocato a favore del fanatismo di Hamas: un fanatismo che però può essere sconfitto. Come ricorda giustamente il Financial Times, c’è ormai consenso internazionale sulla possibilità di attuare un accordo (in linea con l’iniziativa Clinton e il piano dei Paesi arabi) che preveda la nascita di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale e l’acquisizione da parte di Israele di una serie di insediamenti nei pressi della città santa. Ma questa volta Obama deve muoversi con molta più forza che nel passato.

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