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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - L'Unità Rassegna Stampa
02.03.2010 Per Ian Buruma il burqa è sexy
Lo dica alle donne afghane costrette a metterlo per evitare il linciaggio...

Testata:Corriere della Sera - L'Unità
Autore: Ian Buruma - Gabriel Bertinetto
Titolo: «No al burqa ma è sbagliato vietarlo con una legge dello Stato»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/03/2010, a pag. 17, l'articolo di Ian Buruma dal titolo " No al burqa ma è sbagliato vietarlo con una legge dello Stato ", preceduto dal nostro commento. Dall'UNITA', a pag. 28, l'intervista di Gabriel Bertinetto a Malalai Joya dal titolo " Porto il burqa per salvarmi, voglio l’Afghanistan libero ", preceduta dal nostro commento. Ecco i due pezzi:

CORRIERE della SERA - Ian Buruma : " No al burqa ma è sbagliato vietarlo con una legge dello Stato "


Ian Buruma e il suo ideale di donna sexy.

Buruma è contrario a proibire il burqa per legge e, per quanto riguarda la Francia, scrive : "  Non si capisce come mai le usanze ebraiche o altre forme di devozione cristiana siano più compatibili con i valori repubblicani ". La società francese è laica. Per questo nei luoghi pubblici sono assenti tutti i simboli religiosi. Quella contro il burqa non è una crociata anti islamica, ma la decisione di applicare la legge senza fare distinzioni. Il burqa è fuori legge perchè rende irriconoscibile chi lo indossa e perchè va contro i valori delle democrazie occidentali.
Buruma scrive : "
Non spetta al governo francese il compito di interpretare la tradizione islamica.". E infatti non è quello l'obiettivo di Sarkozy, La legge contro il burqa non ha lo scopo di interpretare la tradizione islamica, quanto favorire l'integrazione degli immigrati islamici e sradicare un simbolo di segregazione. 
"
Esiste sempre un equilibrio delicato tra opinioni condivise e libertà individuali. Ci sarà ancora chi condanna l'omosessualità, ma ben pochi cittadini europei invocherebbero leggi apposite per proibirla.". Il paragone è inappropriato. Essere omosessuali non ha nulla in comune con l'essere integralisti islamici . L'omosessuale, in quanto tale, non discrimina le donne,  se lo fa lo fa indipendentemente dalla sua omosessualità. Chi costringe la moglie a mettere il burqa, invece, sì.
Buruma azzarda un altro paragone assurdo: "
 è lecito tuttavia imporre un certo tipo di abbigliamento per certe professioni, senza vietare un determinato indumento a tutti, indiscriminatamente. In fin dei conti, chi ha mai visto giudici e insegnanti che si presentano al lavoro in bikini? ". A parte che il bikini non è imposto a nessuna donna dall'uomo di casa, in ogni caso se è vero che nessuna donna se lo metterebbe per andare al lavoro, non si può dire lo stesso delle donne costrette dal marito a mettere il burqa per poter uscire di casa.
Buruma scrive : "
Che cosa fare allora di quelle usanze che noi giudichiamo illiberali, se non è possibile vietarle per legge? Talvolta è preferibile non fare nulla. Vivere a contatto con valori estranei ai nostri è il prezzo da pagare per una società pluralistica, ma per spegnere i focolai di conflittualità basterebbe garantire a tutti i cittadini un buon livello di istruzione.". Come no, visto che il problema è di poche e in nome dell'islamicamente corretto, la soluzione ideale e far finta di nulla e " far leva, perché no, anche sull'umorismo. Non che la satira debba per forza mostrarsi ostile, come nel caso delle vignette danesi ".
Le vignette danesi non erano ostili, ma satiriche. La satira non piace mai a chi ne è preso di mira, si sa. Ma l'unico elemento ostile della vicenda è stata la reazione islamica. Il disegnatore delle vignette su Maometto, Kurt Westergaard è costretto a vivere blindato e continua, a distanza di anni, a subire attacchi da fondamentalisti islamici, e la sua vita è tuttora a rischio. 
Buruma conclude l'articolo così : "
Di recente, una marca tedesca di biancheria intima ha diffuso una pubblicità dal tocco delicato e coinvolgente. Nel filmato si vede una splendida donna che si ammira allo specchio, prima di infilarsi, con evidente compiacimento, un paio di slip molto sexy di pizzo nero e fissare le calze alle giarrettiere. Con un ultimo gesto, si ammanta con il burqa, lasciando scoperti solo due occhi stupendi, accentuati dal mascara. Lo slogan pubblicitario recita: "Tutti hanno il diritto a sentirsi sexy." ". Ecco fin dove può arrivare il maschilismo dell'autore dell'articolo. La donna deve indossare biancheria di pizzo con giarrettiere, truccarsi gli occhi con molto mascara e poi, ciliegina sulla torta, coprirsi con un burqa, in modo che solo l'uomo di casa possa godere di simili meraviglie.
Se davvero Buruma crede che una donna possa condividere la sua visione di libertà, allora delle donne non ha capito niente.
Si legga l'intervista (che segue) di Gabriel Bertinetto a Malalai Joya, una donna afghana ex deputata e minacciata di morte dai talebani. Lei il burqa è obbligata a metterlo, ma eviterebbe di farlo. Lo indossa solo per rendersi irriconoscibile ai suoi aspiranti assassini. E' sexy anche questo? Nascondersi per evitare di finire lapidate per essersi battute per i diritti della donna in Afghanistan?
Buruma magari può anche chiederle se si trucca pesantemente gli occhi e se sceglie biancheria di pizzo nero, sempre per essere libera di sentirsi sexy, si capisce...
Ecco l'articolo di Buruma:

I l parlamento francese vuole vietare il burqa nei luoghi pubblici. Il burqa è diverso dall'hijab, il foulard che copre i capelli, già bandito dalla scuola pubblica francese, dove è proibita qualsiasi "ostentazione" di simboli religiosi. Il burqa invece è il velo integrale che copre anche il viso, in uso nei paesi arabi a stretta osservanza islamica, e oggi adottato anche da donne non arabe di fede musulmana. In Francia si tratta di circa 1900 donne su un totale di quasi sei milioni di musulmani, e quasi nessuna proviene da paesi dove il burqa fa parte dell'abbigliamento tradizionale femminile.

Il motivo per cui i parlamentari francesi, dai comunisti ai conservatori, hanno dato pieno appoggio a questo divieto è da ricercarsi nell'opinione assai diffusa che indossare il burqa "va contro i valori della Repubblica." Nella celebre frase del presidente francese, Nicolas Sarkozy, il burqa "non è ammissibile in Francia." Per questa ragione alle immigrate che si coprono il viso è stata rifiutata la cittadinanza francese. Le femministe, comprese alcune donne delle comunità musulmane, hanno appoggiato il divieto perché considerano il burqa un'usanza degradante per la dignità femminile. E un deputato comunista del parlamento, André Gerin, ha lanciato il monito, che terrorismo ed estremismo possono benissimo "nascondersi sotto il velo."

In realtà, solo i socialisti si sono rifiutati di votare a favore del decreto parlamentare. Nemmeno a loro piace il burqa, ma sono convinti che non serve a nulla combatterlo a suon di leggi.

A mio avviso i socialisti hanno ragione. A prescindere dal fatto che il governo francese si ritrova oggi ad affrontare problematiche ben più gravi e impellenti che non lo stile sartoriale di poche centinaia di donne, qui è in gioco la libertà individuale. Alcune donne sono certamente costrette a coprirsi dietro pressioni familiari o della loro comunità. Lo stesso dicasi per le donne ebree ortodosse, che devono radersi il capo e portare la parrucca dal giorno del matrimonio. Non si capisce come mai le usanze ebraiche o altre forme di devozione cristiana siano più compatibili con i valori repubblicani, per non parlare degli ideali femministi, rispetto ai precetti del salafismo. E' peraltro inammissibile che la donna sia costretta a coprirsi.

Ma costringerla a non coprirsi? Una francese, che ha adottato il burqa di propria iniziativa, ha protestato: "Dicono che la Francia sia un paese libero, ma oggi le donne hanno il diritto di togliersi i vestiti, non di metterseli." Un'altra contestatrice ha affermato, "Se ci costringono a toglierlo, ci toglieranno una parte di noi stesse. A questo punto preferisco la morte."

Alcuni musulmani, compresi diversi religiosi, sostengono che velare il volto non è in realtà una tradizione islamica. L'imam egiziano Sheikh Mohammad Tantawi vuole proibire l'uso del velo che nasconde il volto nelle scuole del suo paese. Ma questo non spiega perché le donne francesi non possano accedere a uffici postali, banche, scuole o altri luoghi pubblici indossando il burqa. Non spetta al governo francese il compito di interpretare la tradizione islamica.

Si potrebbe sostenere che i governi nazionali devono far rispettare le leggi comuni, non i valori. Eppure, sebbene le democrazie in generale siano meno propense della Repubblica francese a imporre "valori nazionali" ai loro cittadini, la legge non può essere totalmente disgiunta da valori comuni. Il matrimonio con un unico coniuge in Europa è una norma legale e al contempo culturale. E le prese di posizione sulla discriminazione sessuale, di genere e razziale subiscono trasformazioni con il passar del tempo che si rispecchiano nella legislazione. Esiste sempre un equilibrio delicato tra opinioni condivise e libertà individuali. Ci sarà ancora chi condanna l'omosessualità, ma ben pochi cittadini europei invocherebbero leggi apposite per proibirla.

Nel complesso, le scelte individuali devono essere consentite, purchè non arrechino danno ad altri, anche se non incontrano il favore di tutti. Sarebbe davvero fastidioso assistere allo svolgimento di funzioni pubbliche da parte di magistrati, insegnanti, forze dell'ordine con il volto coperto; è lecito tuttavia imporre un certo tipo di abbigliamento per certe professioni, senza vietare un determinato indumento a tutti, indiscriminatamente. In fin dei conti, chi ha mai visto giudici e insegnanti che si presentano al lavoro in bikini?

Vorrei ricordare poi un altro motivo, di ordine pratico, che sconsiglia di vietare il burqa. Se vogliamo davvero integrare gli immigrati nella società occidentale, occorre incoraggiarli a muoversi in pubblico il più possibile. Vietare il burqa costringerebbe questa minuscola minoranza di donne a restare chiuse in casa, rendendole ancor più dipendenti dai loro uomini per qualunque scambio con il mondo esterno.

Che cosa fare allora di quelle usanze che noi giudichiamo illiberali, se non è possibile vietarle per legge? Talvolta è preferibile non fare nulla. Vivere a contatto con valori estranei ai nostri è il prezzo da pagare per una società pluralistica, ma per spegnere i focolai di conflittualità basterebbe garantire a tutti i cittadini un buon livello di istruzione. E far leva, perché no, anche sull'umorismo. Non che la satira debba per forza mostrarsi ostile, come nel caso delle vignette danesi. Di recente, una marca tedesca di biancheria intima ha diffuso una pubblicità dal tocco delicato e coinvolgente. Nel filmato si vede una splendida donna che si ammira allo specchio, prima di infilarsi, con evidente compiacimento, un paio di slip molto sexy di pizzo nero e fissare le calze alle giarrettiere. Con un ultimo gesto, si ammanta con il burqa, lasciando scoperti solo due occhi stupendi, accentuati dal mascara. Lo slogan pubblicitario recita: "Tutti hanno il diritto a sentirsi sexy."

Non solo siamo davanti a una pubblicità spiritosa e di grande impatto visivo, ma dalle mie personali osservazioni nei centri commerciali del Medio Oriente, devo ammettere che riflette accuratamente la realtà. Certo, si può benissimo immaginare, come fa il parlamentare comunista, che sotto il burqa si nasconda un estremista o un aspirante terrorista. Ma lo stesso vale per un giovanotto in jeans, o per una donna in tailleur. Forse troppo spesso dimentichiamo che la persona sotto il burqa è semplicemente una donna.

L'UNITA' - Gabriel Bertinetto : " Porto il burqa per salvarmi, voglio l’Afghanistan libero "

A Malalai Joya, che si dichiara dispiaciuta che Obama stia seguendo in Afghanistan le orme di Bush, consigliamo la lettura dell'ultimo numero di Newsweek dove si può leggere che è stato grazie a lui se l'Iraq sta lentamente diventano una democrazia. Chissà che un giorno, grazie agli Usa e alla lotta contro il terrorismo, non possa accadere lo stesso in Afghanistan. Ecco l'intervista:


Malalai Joya

Al collo pendeun medaglione con una scritta in inglese: «Usa via dall’Afghanistan ora». Potrebbe essere uno slogan talebano. Ed è invece la parola d’ordine di Malalai Joya, deputata espulsa dal parlamento di Kabul per avere osato denunciare quanto l’assemblea legislativa del nuovo Stato afghano sia infestata dalla presenza di ex-signori della guerra. Costoro, alleati di Karzai, non sono meglio dei seguaci del mullahOmar,dice Malalay all’Unità. E gli americani sono solo degli occupanti. Lei vive da anni in sostanziale clandestinità per le minacce di morte di estremisti religiosiedex-signori della guerra. Eppure continua a difendere i deboli e a denunciare i criminali. Checosalaspinge asuperare la paura? «Ho visto e vedo spargimenti di sangue, violenze contro le donne, occupazione straniera.Mi sono caricata sulle spalle la responsabilità di lottare per la mia gente. Certo la mia vita è cambiata radicalmente dopo che nel 2003, delegata alla Loya Jirga (assemblea tradizionale afghana), dissi apertamente che in quel luogo erano presenti troppi delinquenti noti per avere rovinato la nazione, protagonisti della guerra civile che dilaniò l’Afghanistan tra il 1992 ed il 1996. La mia vita è quotidianamente a rischio. Sonocostretta a cambiare casa in continuazione, a indossare il burqa per non essere riconosciuta, e girare scortata da amici fedeli. Ma non potrei rassegnarmi a tacere. A me e altri democratici è negato l’accesso ai media locali. Ma continuiamo a lottare ». In condizioni così difficili, cosa può fare concretamente? «Mi batto per i diritti umani, sono in collegamento con organizzazioni che svolgono attività sociali. Ora poi molti giovani premono perché si dia vita ad un partito. Il Parlamento è stato permeuna tribuna da cui rivolgermi ai connazionali finché nel 2007 mi hanno espulsa per avere detto che molti deputati erano indegni di ricoprire quel ruolo. Quando non sono in patria, trovo altre tribune da cui parlare». Lei sostiene che gran parte dei membri del governo che stanno attorno a Karzainonsono affatto meglio dei talebani. Se nonc’è una parte dalla quale schierarsi, dov’è la soluzione? «In una realtà così disperante io continuo ad avere tanta speranza. Per la forza che noto nel popolo afghano, per la vitalità della resistenza democratica. Siamo una nazione che ha subìto e cacciato prima gli inglesi, poi i russi. Ora siamo sotto gli americani. Dopo l’Iraq hanno occupato l’Afghanistan. E l’hanno fatto per i loro interessi strategici ed economici. È triste vedere che Obama segue il cammino di Bush». Non teme che le cose peggiorino se i contingenti stranieri si ritirano? Il paese potrebbe ripiombare nella guerra civile come nell’interregno fra il regime comunista e quello talebano? «Ma la guerra civile c’è già adesso. La propaganda la presenta come guerra contro il terrorismo. Nonostante la presenza internazionale la vita degli afghani non è affatto più sicura. Gran parte del denaro che dall’estero arriva in Afghanistan finisce in mano agli ex-signori della guerraed ai narcotrafficanti. La condizione delle donne non è migliorata, siamo finiti dalla padella nella brace». Intendo dire che senza la presenza dellaNatoedegli Stati Uniti in particolare, i peggiori elementiche si annidano nell’amministrazione Karzai potrebbero avere il sopravento... «Ora abbiamo tre nemici. Se uno se ne va, ne restano due. Sapremo come regolarci con loro. Li conosciamo. Non ci lasceremo ingannare». Niente compromessi allora? «Non possiamo venire a patti con uno Stato che è una caricatura della democrazia. Non avrebbe senso. Le elezioni popolari sono la base della democrazia, non c’è dubbio, ma devono essere libere davvero». E sui tentativi di negoziato con i talebani che giudizio dà? «Sbagliati. Usa e Nato sembrano pronti a compromessi con la gente peggiore. Come si fa a riconciliarsi con persone che non chiedano prima perdono per tutto il male che hanno fatto? Prendano esempio da Nelson Mandela. Il regime razzista ammise le proprie colpe, ecco perché ci fu riconciliazione in Sudafrica». I fautorideldialogoritengonocheservirebbe a inserire un cuneo fra gli oltranzisti e i moderati. Non pensa che la tattica ed i compromessi a volte in politica servanoperlomenoalimitare i danni? «Comesipuò dialogare con Mussolinio con Pinochet?Nonesistono talebani moderati. Sappiamo bene chi sono i talebani e cosa hanno fatto». La lotta che lei propone contro tutti i responsabili del disastro afghano, compreso il governo attuale, può essere pacifica ed avere successo? «Sì, la nostra è una resistenza non violenta. Combattiamo a mani vuote. Manifestiamo nelle strade. Ma la pazienza dei miei connazionali, delle vittime di tante violenze e soprusi, è messa a dura prova. Quando dico che gli autori dei crimini contro l’umanità dovrebbero essere portati davanti ad un tribunale, a volte mi sento rispondere, che sarebbe troppo poco e bisognerebbe metterli in gabbia e mostrarli come esempio di ciò che gli esseri umani non dovrebbero essere. La lotta per il cambiamento deve essere pacifica,maalla lunga il popolo potrebbe sollevarsi contro i carnefici. Anche mio padre a suo tempo prese le armi contro l’oppressione sovietica». Nellasuaautobiografia lei ricorda di essere stata paragonata a Galileo, vittimadiattacchiedenigrazionesoloperessere riabilitato inepocasuccessiva. Lechiedo: preferisce essere una perfetta profeta o un’imperfetta realizzatrice? «Naturalmente vorrei vedere i risultati del mio impegno mentre sono in vita. Ed è vero che non basta parlare, bisogna mettere in pratica le proprie idee. Intendo dire che non è inutile morire per una buona causa. Le tue idee vivranno per sempre a beneficio del tuo popolo. Nasceranno tante altre Malalai, e tante già ce ne sono. Io non sono un’eroina, ho solo il vantaggio di essere più conosciuta di altre che lottano nell’oscurità». Lei,citando MarthinLuther King, sostiene che la verità disarmata e l’amore incondizionato vincono sempre. Serve anche un progetto politico però. Qual è il suo? «Portare i criminali davanti a una corte internazionale. Garantire diritti umani a ciascuno. Ottenere la partenza delle truppe straniere e l’invio di veri aiuti umanitari. Ecco alcuni degli obiettivi».

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