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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio-L'Opinione Rassegna Stampa
11.04.2009 Iraq, Siria, politica estera Usa
l'opinione del Foglio, le analisi di Stefano Magni, Dimitri Buffa

Testata:Il Foglio-L'Opinione
Autore: Stefano Magni-Dimitri Buffa
Titolo: «Attenzione, stiamo perdendo l'Iraq-Perchè è un errore dare retta a Damasco-Hilary Clinton non sa decidersi sull'Iran, ma intanto blocca Israele»

Iraq, Siria, la politica estera Usa. Tre argomenti controversi, analizzati dal FOGLIO e dall' OPINIONE, oggi, 11/04/2009.  Il primo con un editoriale, il secondo con due articoli di Stefano Magni e Dimitri Buffa.   Eccoli:

Il Foglio- " Attenzione, stiamo perdendo l'Iraq "

Ieri il presidente Obama ha chiesto al Congresso altri 83,4 miliardi di dollari per le guerre in Iraq e in Afghanistan. Bene. Ma a Baghdad, dove è appena stato in visita, la nuova Amministrazione sta pregiudicando i risultati “straordinari” – secondo lo stesso Obama – ottenuti dai soldati durante il mandato di quella precedente. E’ un incredulo New York Times a fare notare che da quando Ryan Crocker, il ferrigno ambasciatore amico del generale David H. Petraeus, ha lasciato il suo incarico il 13 febbraio scorso, non è stato ancora rimpiazzato. Il successore scelto da Obama, Christopher Hill, aspetta ancora la conferma del Senato a maggioranza democratica. Si può discutere se Hill sia la scelta migliore. Il suo negoziato ingarbugliato sull’armamento nordcoreano è stato un buco nell’acqua: fatto nel Pacifico, 1.400 km a ovest delle coste giapponesi, dal missile balistico intercontinentale testato domenica scorsa. Non si può invece lasciare l’ambasciata a Baghdad, la più grande e fortificata del mondo, vacante per due mesi. L’Iraq di oggi non è quello del 2007. Il governo è autonomo e forte, e i problemi con il terrorismo ora sono i suoi. Gli americani ormai arrestano i sospetti soltanto se hanno un mandato firmato da un giudice iracheno e consegnano i prigionieri a carceri irachene. La stessa Zona verde è affidata a forze di sicurezza locali, una prodigiosa delega in bianco sulle proprie vite fatta dagli occidentali al governo di Baghdad. Ma proprio ora sono necessarie presenza e diplomazia pressantissima sul premier Nouri al Maliki. Perché non ha ancora inquadrato i Figli dell’Iraq, i sunniti volontari anti al Qaida che oggi si considerano emarginati, nei ranghi dell’esercito e della polizia? Perché li fa sentire come “walad shabb chai” – il ragazzino che porta il tè? Già tra quelli ricresce il risentimento, riprendono le violenze, si ritirano fuori le armi. E le esternazioni concilianti di Obama verso l’Iran sciita non fanno che aumentare le loro preoccupazioni. Ieri il comandante Odierno ha detto al Times che le truppe americane potrebbero dover aumentare la loro presenza in due città, Mosul e Baquba, invece che disimpegnarsi entro giugno come promesso dalla Casa Bianca. L’Iraq è un piano inclinato, bisogna farlo pendere dalla parte giusta. Trascuri la diplomazia, e si scivola indietro alle armi. Ieri, proprio a Mosul, i terroristi hanno ucciso cinque soldati americani con un camion bomba.

L'Opinione- Stefano Magni: " Perchè è un errore dare retta a Damasco ", intervista con Roger Bou Chahine, direttore dell'Osservatorio Geopolitico Mediorientale.

Ieri a Roma è stato accreditato il nuovo ambasciatore della Siria, Khalil Jawad, proprio all’indomani della visita del ministro degli Esteri Franco Frattini a Damasco. La repubblica araba è tornata al centro dell’attenzione della politica estera italiana. Il titolare della Farnesina, nel corso del suo viaggio mediorientale, ha definito (da amico di Israele) l’occupazione israeliana del Golan come il maggior problema da risolvere, ha auspicato la ripresa dei negoziati indiretti fra Gerusalemme e Damasco, ha definito “possibili” nuove elezioni libere e democratiche in Libano, dove Hezbollah (ancora armato e sostenuto dai siriani) è ancora in minoranza, ma ha potere di veto sul governo moderato di Siniora. Usa e Italia sono ormai concordi nell’affermare che la Siria sia un elemento di stabilità nella regione. Un osservatore politico libanese, Roger Bou Chahine (direttore dell’Osservatorio Geopolitico Medio Orientale, Ogmo) non condivide affatto tanto ottimismo: “E’ un buonismo che dimentica due guerre in meno di due anni, gli omicidi politici in Libano, anni di sponsorizzazione del terrorismo da parte del regime di Damasco”.

 

 

 

Lei condivide l’idea che la restituzione del Golan sia centrale per riavviare il dialogo fra Siria e Israele?

 

Se Israele si dovesse ritirare anche domani dal Golan, ci dobbiamo attendere che il regime siriano smetta di foraggiare terrorismo e partiti islamici armati? Saremmo nel paese delle meraviglie. Nemmeno due mesi dopo una guerra veramente distruttiva tra Israele e Hamas che ha portato alla distruzione di Gaza, tutto quello che sanno produrre i governi europei e americano è un incontro a Sharm el Sheik per parlare di ricostruzione e pace. Sono tantissimi, incalcolabili gli errori politici commessi da Israele durante la guerra a Gaza, che ha provocato un dolore difficilmente sanabile. Hamas è un’organizzazione armata ancora viva e in grado di combattere, impedisce qualsiasi pacificazione da parte palestinese. Gli europei e gli americani, tornano oggi, a sottovalutarne la minaccia. Si torna a dare credito a regimi e gruppi estremisti, ma questi ultimi vogliono solo riarmarsi e riorganizzarsi durante le tregue, sanno che l’unica speranza che hanno di vincere la guerra è convincere gli occidentali a promuovere il “dialogo”.

 

 

 

Che possibilità ci sono che in Libano si svolgano elezioni libere e democratiche, come auspica il ministro Frattini?

 

Il ministro degli Esteri italiano ha affermato che riterrà legittimo qualunque governo vinca nelle prossime elezioni. Questo sarebbe un discorso valido in caso di elezioni pacifiche con partiti che accettano la democrazia, ma non in Libano. Non si può eliminare Hezbollah, che è ancora armato. E allora, si può parlare di democrazia? E’ un errore grave. Frattini non lo aveva mai commesso prima. Saranno anche i nuovi dettami della politica estera americana ed europea (e l’Italia non vuole essere fuori dai giochi): soldi, ricostruzione e distensione con i regimi più radicali. Ma nulla ci impedisce di dire che questa strategia è sbagliata.

 

 

 

D’altro canto, però, anche la Siria, negli ultimi anni, ha dato prova di voler dialogare molto di più con l’Occidente rispetto al passato. Merito della distensione?

 

Non tanto per la distensione, quanto perché Damasco teme che molti suoi scheletri nell’armadio vengano scoperti. Proprio questa settimana il governo libanese ha fornito al Tribunale Penale Internazionale all’Aja tutto il materiale d’inchiesta sull’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri del 2005. I lavori per il processo sono già partiti. E il regime di Damasco resta sempre l’indiziato numero uno, sa che il Tribunale Internazionale chiederà la testimonianza e forse anche l’arresto dei suoi gerarchi e per questo lotterà fino alla fine, per lo meno per la protezione del suo presidente Assad. Sembra che tutti i governi occidentali stiano al loro gioco per mantere a tutti costi la “stabilità”. Ma quale stabilità? Da quando Bashar al Assad è al potere, negli Usa si sono succedute tre differenti amministrazioni. Eppure gli Usa sono in piedi. Sembra invece (a dare ascolto alle cancellerie occidentali) che la sostituzione della leadership siriana con un’altra comporti il crollo di tutto il Medio Oriente. E questo è assurdo. Un cambio di regime a Damasco farebbe bene soprattutto al popolo siriano, più ancora che ai popoli che subiscono la sua aggressione.

 

 

 

Perché la Siria ha conquistato così tanto credito in Occidente?

 

Soprattutto per le sue promesse per la stabilizzazione dell’Iraq. Questo ha dato a Damasco un credito molto alto (agli occhi degli americani) e ora se lo sta rigiocando in un momento molto difficile. E’ chiaro che la Siria è fondamentale per il Medio Oriente. E’ chiaro che, se solo il suo regime cambiasse idea, Hezbollah e Hamas andrebbero in frantumi... ma non possiamo negare che ogni milizia, ogni organizzazione terroristica ha una sua sede in Siria. Damasco sta conducendo il gioco più violento e allo stesso tempo fa sognare le capitali occidentali, facendo loro credere di poter risolvere tutto.

L'Opinione- Dimitri Buffa: " Hilary Clinton non sa decidersi sull'Iran, ma intanto blocca Israele"

"We don't know what to believe about iranian program". Non sappiamo cosa credere a proposito del programma (nucleare, ndr)iraniano. Hillary Clinton è visibilmente irritata dall'avere appreso dai quotidiani di mezzo mondo che oggi il boia Ahmadinejad ha inaugurato l¹ennesima centrifuga maxi per
l¹arricchimento dell¹uranio nella fabbrica governativa di Ishafan e che a Teheran ormai la bomba atomica e cosa fatta. Ciò nonostante la politica dell'amminsitrazione statunitense di Obama verte ancora su questo dialogo
tra sordi e sui passi per bloccare ogni possibile iniziativa militare
israeliana, come un blitz per bombardare i reattori. A tale proposito solo
due giorni fa il vice di Obama, Joe Biden, che pure è considerato un "amico"
dalla comunità ebraica mondiale è stato molto categorico parlando di "ill advised", più o meno "consigli o iniziative malati" riferendosi al piano del primo ministro Netanyahu che non esclude l'opzione militare per frenare l'atomica iraniana.
 E così si ritorna al "non so cosa credere" della Clinton. Bella politica estera. Si è passati rapidamente da un estremo all'altro: dall'asse del male al "chi se ne frega di Israele".
Eppure, sempre ieri, come riportava un articolo di prima pagina del sito internet del "Jerusalem Post", l'autorevole quotidiano giapponese "Nikkei" ha  rivelato una storia top secret su cui stanno indgando tutte le intelligence occidentali: quella di una nave da cargo nord coreana approdata dopo un lungo tragitto nell¹oceano indiano proprio in un imprecisato porto iraniano per scaricare uranio arricchito per le centrifughe che ieri Ahmadinejad ha mostrato in televisione. Fiero di sé e di come sta conducendo le trattative diplomatiche con il mondo, che vorrebbe convicerlo, blandendolo, a non farsi l¹atomica con cui ha promesso di cancellare Israele dalla carta geografica mondiale. Niente da dire: se la politica economica di Obama è ancora tutta da verificare nelle aspettative miracolistiche che il
mondo dei suoi fan le attribuisce, quella estera, già verificata sul campo, è un incubo per chi ha a cuore le sorti di Israele e dell'occidente in generale. Senza per questo volere essere teo e neo con, ma neanche "con" nel senso francese della parola. Adesso le trattative, mentre in realtà si è di fatto aperto, anzi riaperto, il fronte con la Nord Corea, che ha subodorato la possibilità di strappare qualche altra generosa concessione a mr. Obama, passano al consiglio di sicurezza Onu che ha invitato, senza che per ora arrivasse una risposta in merito, l'Iran al solito tavolo delle trattative. Ma i segnali contraddittori, "flip-flop", che vengono proprio da Obama sono ormai l'assicurazione sulla vita di tutti i dittatori e di tutti gli stati canaglia del mondo. Come giudicare sennò l¹apertura al criminale Omar al Bashir proprio nel momento che il tribunale dell'Aja si diecide a un
"indictement" contro di lui e a un mandato di cattura? E come valutare l'inchino dello stesso Obama al re saudita e con lui all'Islam sunnita di certo non moderato di un paese che prevede la lapidazione per le adultere?
Certe volte la politica estera di Obama sembra fatta proprio dalla chiesa di quel suo reverendo, sconfessato in campagna elettorale, che guarda caso faceva parte della nazione americana dell'Islam di Louis Farrakhan. Insomma è come avere Malcom X alla presidenza degli Usa. E c'è poco di cui stare allegri.

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