martedi` 07 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Foglio - La Stampa - L'Opinione Rassegna Stampa
28.01.2009 Barack Obama si rivolge al mondo islamico
l'intervista ad al Arabiya, l'analisi di Daniel Pipes e quella di Stefano Magni

Testata:Il Foglio - La Stampa - L'Opinione
Autore: la redazione - Francesco Semprini - Stefano Magni
Titolo: «In medio oriente Obama ha le orecchie tese e la mano aperta - Troppo arrendevole con gli ayatollah»
Dal FOGLIO del 28 gennaio 2009, l'intervista di al Arabiya al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, a pagina 3:

L’inviato Mitchell e l’ascolto Domanda (D) - Ci parli del ruolo che vuole giocare in medio oriente, lancerà proposte e parametri come ha fatto qualche suo predecessore? O farà pressioni sulle parti perché arrivino alle loro soluzioni, come il suo ultimo predecessore? Barack Obama (BO) - La cosa più importante è che gli Stati Uniti mostrino il loro impegno fin da subito. George Mitchell, inviato per il medio oriente, è una personalità di grande statura, uno dei pochi che hanno esperienza internazionale nel mediare i processi di pace. Gli ho detto di iniziare ascoltando, perché molto spesso gli Stati Uniti iniziano i loro rapporti dettando regole – nel passato anche sul medio oriente – pur non conoscendo sempre gli elementi coinvolti. Quindi: ascoltiamo. Mitchell parlerà con le parti e poi mi farà rapporto: a quel punto formuleremo risposte specifiche. L’iniziativa saudita D - (…) C’è un piano arabo, un fattore regionale che va considerato. E lei l’ha indicato. Ci sarà un cambiamento dei paradigma? BO - Considerando la proposta fatta dal re saudita Abdullah – non sono d’accordo con tutti gli aspetti del piano, ma c’è voluto molto coraggio a portare avanti un progetto così significativo. Ci sono idee in tutta la regione su come dovremmo perseguire la pace. Credo sia impossibile per noi pensare soltanto al conflitto israelo-palestinese senza considerare quel che succede in Siria o in Iran o in Libano o in Afghanistan o in Pakistan. Tutte queste cose sono correlate. (…) Stiamo prendendo in considerazione la regione nella sua interezza e stiamo mandando un messaggio al mondo arabo e al mondo musulmano in cui diciamo che siamo pronti a iniziare d’Iuna partnership basata sul mutuo rispetto e sul mutuo interesse, su cui potremo fare progressi. Israele è un alleato forte degli Stati Uniti. Non smetterà di esserlo. E continuerò a pensare che la sicurezza di Israele sia essenziale. Ma credo anche che ci siano israeliani che riconoscono che sia importante raggiungere la pace. Saranno disposti a fare sacrifici se il momento è giusto e se c’è una seria partnership dall’altra parte. Lo stato palestinese D - (…) C’è ancora la possibilità di vedere uno stato palestinese nella prima Amministrazione Obama? BO - Penso che sia possibile vedere uno stato palestinese – non indicherò alcun elemento temporale – che sia contiguo, che permetta lo spostamento delle persone, il commercio con gli altri paesi, la creazione di attività commerciali che migliorino lo stile di vita delle persone. (…) Sul fondo di questi discorsi c’è la domanda: un bambino che vive nei Territori palestinesi potrà stare meglio? Ha un futuro? E un bambino israeliano potrà confidare sulla sua sicurezza? Se riusciamo a rendere la loro vita migliore e a guardare avanti, senza pensare soltanto alle guerre e alle tragedie del passato, abbiamo l’opportunità di fare progressi. Il discorso al mondo arabo D - Sta organizzando un discorso al mondo musulmano nei primi cento giorni della sua presidenza in una capitale islamica e tutti si chiedono quale possa essere (…). ∫BO - Il mio compito è far sapere agli americani che il mondo musulmano è pieno di gente straordinaria che vuole vivere la sua vita e vedere un futuro per i suoi figli. Il mio compito verso il mondo musulmano è quello di fargli sapere che gli americani non sono dei nemici. Abbiamo fatto molti errori, ma se si guarda alla storia, l’America non è nata come un paese coloniale e fino a venti-trent’anni fa c’era un rapporto di rispetto con il mondo arabo – non vedo perché non dovremmo ristabilirlo. (…) Non sarò d’accordo con tutto quello che alcuni leader musulmani potranno dire, ma vedrete in me uno che ascolta, che porta rispetto, che vuole promuovere gli interessi non soltanto degli Stati Uniti, ma anche della gente normale che soffre (…). D - Ha deciso la capitale in cui parlerà? BO - Non ho intenzione di lanciare la notizia proprio in questo momento. Il riarmo iraniano D - Gli americani vivranno mai con un Iran nucleare? Se no, quale direzione vuole prendere per impedire il riarmo? BO - Ho già detto che vogliamo essere sicuri di utilizzare tutti gli strumenti del potere americano, inclusa la diplomazia, nel nostro rapporto con l’Iran. Il popolo iraniano è un grande popolo, la civilizzazione persiana è una grande civilizzazione. Ma l’Iran non si sta muovendo in modo da portare pace e prosperità nella regione: le minacce a Israele; la ricerca dell’arma nucleare (…); il sostegno a organizzazioni terroristiche nel passato – nessuna di queste cose è stata utile. Ma è importante per noi mantenere l’intenzione di parlare con l’Iran, di esprimere con chiarezza dove sono le differenze ma anche dove ci sono potenziali vie di progresso. Nei prossimi mesi metteremo a punto il quadro generale del nostro approccio. Come ho detto durante il mio discorso d’insediamento, se i paesi come l’Iran vogliono schiudere il loro pugno, troveranno una mano tesa da parte nostra.

Da La STAMPA, a pagina 7 , l'analisi di Daniel Pipes, intervistato da Francesco Semprini:

Davanti alle telecamere di Al-Arabiya Barack Obama ha abbassato la guardia nei confronti dell’Iran». Per Daniel Pipes, tra i massimi esperti di Medio Oriente e Islam, e fondatore del Middle East Forum, l’apertura diplomatica da parte del presidente è un segno di debolezza perché «non è stata accompagnata da una opportuna condanna dei programmi atomici di Teheran».
Perché Obama ha scelto Al-Arabiya per la sua prima intervista tv da presidente?
«Ci sono due motivi, il primo è raggiungere in modo chiaro e diretto il mondo musulmano moderato, l’altro è evitare Al-Jazeera».
Perché ?
«Perché è la televisione del Qatar, uno Stato in sintonia con l’Iran, Al-Arabiya al contrario non ha un grande legame con la Repubblica Islamica».
Eppure Obama ha mostrato un’apertura a Teheran?
«Sull’Iran è stato troppo debole. E’ la parte dell’intervista che mi è piaciuta di meno perché l’apertura nei confronti di Teheran non è stata accompagnata dalla conferma di una condanna forte allo sviluppo di armi atomiche».
C’è un legame tra l’intervento del presidente e il viaggio di George Mitchell in Medio Oriente?
«Credo proprio di sì, è stata un’operazione condotta su un doppio binario. Da una parte l’immagine, con Obama che tende la mano al mondo islamico attraverso uno dei principali network arabi. Dall’altra la sostanza con la volontà di mettersi subitro al lavoro».
Un intervento convincente, non trova?
«E’ stato un segnale di cambiamento nei toni dei rapporti tra America e musulmani. Un messaggio rivolto del resto soprattutto ai palestinesi per confermare il cambiamento delle politiche Usa in Medio Oriente».
Un’altra rottura con l’amministrazione Bush?
«In teoria si, anche se è troppo presto per dirlo. Del resto tutto ciò che ha iniziato a fare in questa prima settimana il presidente è una chiara rottura con l’era Bush».
Dobbiamo aspettarci un’apertura ad Hamas?
«Lo escludo».
L’approccio di Obama potrebbe fare breccia anche negli ambienti che gravitano intorno ad al-Qaeda?
«Assolutamente no, al-Qaeda considera Obama e gli Stati Uniti nemici da distruggere, lo dimostra il tenore dei messaggi dei leader della rete terroristica divulgati poco prima del suo insediamento».
La strategia del presidente rischia di creare malumori in Israele?
«Nulla di ciò che ha detto nell’intervista potrebbe preoccupare la classe politica dello Stato ebraico».

L'analisi di Stefano Magni da L'OPINIONE:

Dov’è il cambiamento? Il presidente degli Usa Barack Obama, nella sua prima intervista rilasciata alla Tv Al Arabiya, si è rivolto ai musulmani, dicendo loro che la causa del terrorismo non è l’Islam: “Ci sono organizzazioni estremiste, anche musulmane - in passato anche di altre religioni - che usano la fede come giustificazione della loro violenza”. Quasi quattro anni fa, nell’ottobre del 2005, George W. Bush aveva partecipato a una cena Iftar (il pasto celebrato alla fine del periodo di digiuno del Ramadan) e aveva dichiarato: “Dobbiamo essere molto chiari sui nemici che stiamo fronteggiando: gli assassini che stroncano vite innocenti di uomini, donne e bambini, sono seguaci di un’ideologia violenta, molto differente dalla religione dell’Islam”. Il discorso è lo stesso. Non c’è discontinuità fra Bush e il suo successore. L’unica differenza concreta è semmai nella comunicazione scelta da Obama: “Il mio lavoro” - ha dichiarato ieri - “è comunicare il fatto che gli Stati Uniti hanno preso un impegno nel promuovere il benessere nel mondo musulmano, che il linguaggio che usiamo è quello del rispetto”. Ricordando il fatto che: “Io ho dei parenti musulmani e ho vissuto in una delle più grandi comunità islamiche del mondo”, riferendosi all’Indonesia. In questo caso, la “mano tesa” ai bravi musulmani contro i terroristi dovrebbe apparire più sincera, se a tenderla è un Obama invece che un Bush. Obama ha eliminato il discorso religioso dalla sua politica.

Ha ribadito, anche nell’intervista ad Al Arabiya, di considerare l’America come un melting pot di religioni e non credenti. Bush, al contrario, era orgogliosamente cristiano. Obama si presenta quale agnostico, vuole il dialogo tra fedi. Bush era religioso, voleva il dialogo con altre fedi. Vedremo quale dei due percorsi si rivelerà più funzionale. Ci sono poche svolte anche nella politica nei confronti dell’Iran. Obama applica, nei confronti di Teheran, la stessa logica che ha contraddistinto il suo discorso inaugurale: “Se apre il suo pugno, incontrerà la nostra mano tesa”. La nuova amministrazione si impegnerà ad aprire il dialogo con l’Iran, come promesso in campagna elettorale. E’ bene ricordare che la seconda amministrazione Bush parlava già della riapertura di un’ambasciata degli Stati Uniti dopo trent’anni di assenza. Obama renderebbe più esplicito quel che Bush aveva già fatto, anche su questo fronte. Idem dicasi per il processo di pace: il nuovo presidente ribadisce la stessa linea di sempre (due popoli in due Stati), con il coinvolgimento di tutti gli attori regionali interessati e della comunità internazionale. Sia nel caso dell’Iran che in quello della Palestina, c’è una sola parola di differenza fra l’amministrazione Bush e quella Obama: democrazia. La vecchia Casa Bianca auspicava, per il Medio Oriente, due popoli in due democrazie. Anche l’avvio di una nuova attività diplomatica in Iran veniva giustificato dall’ex esecutivo come un modo per dare voce alla popolazione iraniana e promuovere la democrazia al suo interno. Nell’intervista di Obama non c’è invece alcun accenno ai principi della democrazia, quasi fosse diventata una vergogna, un sopruso. Un bel paradosso per un presidente espresso dal Partito Democratico.

Per inviare il proprio parere al Foglio, La Stampa e L'Opinione cliccare sulla mail sottostante


lettere@ilfoglio.it
direttore@lastampa.it
diaconale@opinione.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT