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Il Foglio - Il Riformista - L'Opinione - Informazione Corretta Rassegna Stampa
02.12.2008 L'odio antiebraico a Mumbai, le strategie del terrorismo islamista
rassegna di analisi

Testata:Il Foglio - Il Riformista - L'Opinione - Informazione Corretta
Autore: Giulio Meotti - Helena Janeczek - Dimitri Buffa - Stefano Magni - Piera Prister Bracaglia Morante
Titolo: «La strage dei santissimi - Uccidere cuochi e rabbini - Essere ebrei oggi è un rischio come negli anni ’30 - Terrorismo islamico, questo è il suo nome - Siamo tutti a fianco dell'India contro il terrorismo»
Da pagina 1 dell'inserto del FOGLIO del 2 dicembre 2008, riportiamo l'articolo di Giulio Meotti "La strage dei santissimi":

Gli ebrei della Nariman House a Mumbai sono stati torturati prima di essere uccisi. A confermarlo sono i medici che per primi hanno esaminati i corpi. “Le vittime israeliane mostrano segni di grandi torture”, ha detto un operatore sanitario. “Ho visto molti corpi nella mia vita, ma questi era davvero massacrati. Non sono più nemmeno in grado di raccontarlo”. Una delle poche icone scampate alla furia dei terroristi islamici è un dipinto del leader della comunità Lubavitch, Mendel Schneerson, morto nel 1994. Miracolosamente intatto, quando tutto attorno è macchiato di sangue e orrendamente dissacrato. I volontari di Zaka, l’organizzazione israeliana di assistenza in caso di tragedie di questo genere, hanno trascorso lo Shabbat nell’edificio, al buio, senza mangiare né dormire, custodendo i corpi per impedire che vi venisse effettuata l’autopsia, come avrebbe voluto fare la polizia locale. E’ stato Yehuda Meshi-Zahav in persona a guidare l’operazione. Lui è l’uomo che in questi anni di Intifada terroristica palestinese ha guidato le squadre di cercatori dei resti umani dopo ogni attentato suicida per le strade di Gerusalemme e Tel Aviv.

Il rabbino Gavriel Holzberg e sua moglie Rivka, emissari del movimento Chabad a Mumbai, in India, uccisi assieme ad altri quattro cittadini israeliani, sono stati trucidati in momenti diversi. Rivka è stata ritrovata coperta da un tallit, lo scialle rituale religioso che suo marito le ha steso sul corpo prima di essere falciato a sua volta, come a voler proteggere il corpo deturpato dai terroristi. Secondo i medici, Rivka è stata ammazzata all’inizio dell’assedio. Il rabbino invece è stato trovato in uno dei piani superiori dell’edificio, assieme ad altre due vittime, anche loro religiosi, Leib Teitelbaum e Bentzion Chroman. Gavriel aveva con sé un libro della Torah ancora aperto. Mentre Chroman, che si trovava a Mumbai per fare da consigliere sul cibo kosher, è stato ritrovato accasciato sopra il suo inseparabile Talmud. Holtzberg sarebbe stato ucciso poco prima della liberazione della struttura da parte dei commando indiani.

Il piccolo Moshe, figlio del rav e della rabbanit, è stato miracolosamente e coraggiosamente salvato dalla sua babysitter, Sandra Samuel, e ha compiuto due anni il giorno dopo la strage. Ieri c’era anche lui alla sinagoga Knesset Eliyahu di Mumbai per la liturgia in memoria dei genitori. “Ima, Ima!”, ha gridato il bambino. Mamma, mamma! Ha parlato anche il padre di Rivka, il rabbino israeliano Shmuel Rosenberg. “Chabad House, a rischio crollo, sarà ricostruita. La casa che hanno costruito a Mumbai, vivrà con loro. Erano il padre e la madre della comunità ebraica di Mumbai”. “Non posso pensare a persone che siano migliori messaggere di Dio”, ha raccontato Jennifer Gammel, amica del rabbino e proveniente dalla Gran Bretagna. “Erano la bontà fatta persona, tutte le sere servivano la cena a chi la voleva. Nessuno si sentiva straniero in questa casa”. 

I funerali delle vittime si terranno oggi in Israele fra Gerusalemme e Kfar Chabad, la città fondata dagli eredi di Schneerson. Fra le bare delle vittime soltanto una non sarà avvolta dalla bandiera blu e bianca d’Israele. E’ quella del rabbino Leibish Teitelbaum, faceva parte della comunità Satmar che si oppone al sionismo e non riconosce lo stato d’Israele. Una richiesta che accresce, anziché diminuire, il valore simbolico di questa strage religiosa. Teitelbaum era un haredim, un “timorato”, e viveva a Mea Shearim, il quartiere di Gerusalemme epicentro del rifiuto dello stato d’Israele da parte di alcune comunità ortodosse identificate dalle tipiche palandrane nere indossate sia d’estate sia d’inverno e dai cappelli di pelliccia a falda larga.
Come ci dice il rabbino israeliano Stewart Weiss, fra i massimi esponenti dell’ebraismo ortodosso in Israele,  un figlio militare ucciso nei Territori palestinesi, “moltissimi haredim sono persone pie e bellissime, in cerca di Dio a loro modo. Molti sono profondamente spirituali e compiono gesti di altruismo verso i poveri e i disabili. Nessuno entra con rabbia nei loro quartieri”.

Holtzberg invece era un emissario, uno “sluchim”, del movimento Lubavitcher,  che prende il nome dalla “città dell’amore” bielorussa che divenne il centro del gruppo alla fine del XVIII secolo. Oggi i Lubavitcher gestiscono centri religiosi in 42 nazioni, da Roma a Singapore, da Tunisi alla Tasmania. Questo movimento hassidico, mistico ma non ascetico, è anche noto con il nome di Chabad, deriva dalle tre parole della Cabala “chochmah, binah e daat”, tradotte con i significati di sapienza, intelligenza e conoscenza. I Lubavitcher hanno conosciuto le più spaventose persecuzioni durante il secolo passato. E non parliamo soltanto dell’Olocausto. Oggi nei territori di quella che era l’Unione sovietica la presenza Lubavitcher è così forte che il termine Chabad sta diventando sinonimo di ebraismo. Durante la tirannia stalinista e la persecuzione degli ebrei in Russia anche dopo la morte di Stalin, i Lubavitcher furono quelli che più si adoperarono, eroicamente e subendo gravi persecuzioni, per la sopravvivenza dell’ebraismo, costruendo yeshiva, sinagoghe clandestine, bagni rituali sotterranei e organizzando l’emigrazione e la fuga di molti ebrei.

Il centro sociale e la sinagoga di rav Holtzberg divenne un punto di riferimento per gli ebrei indiani, i turisti ebrei in visita, gli uomini d’affari e gli ebrei iracheni che lì vivono. Così come nel nord di Israele i genitori di Gavriel sono responsabili di un orfanotrofio per seimila bambini. I terroristi erano preparati a compiere una strage, forse avevano perfino realizzato una perlustrazione interna del centro. L’edificio della Nariman House, adibito a centro Chabad dalla giovane coppia arrivata da New York, dovrà essere demolito poiché la struttura è pericolante e l’interno è distrutto. Le immagini diffuse dai media israeliani mostrano stanze imbrattate di sangue.

Il capo dei Chabad di Roma, Itzhak Hazan, parla di “mesirut nefesh”, in ebraico autosacrificio, per la famiglia Holtzberg trucidata nel centro ebraico di Mumbai. “Un ebreo ucciso in quanto ebreo è morto santificando il nome di Dio, si dice kiddush Hashem”, ci spiega rav Hazan. “E’ il massimo livello di santità ebraica, sono uomini e donne santissime come quelli assassinati nella Shoah. Per questo stiamo organizzando in tutto il mondo veglie e giornate di ricordo per gli Holtzberg”. Hazan riflette sul sacrificio di un giovane rabbino americano che abbandona tutti i comfort della vita occidentale per andare a vivere in India. “E’ la grande idea del nostro leader, rav Schnersoon. Ci disse di essere presenti ovunque ci fosse un ebreo. Non siamo missionari, siamo servitori in tutto il mondo, dalla Cina alla Siberia. Nel Genesi c’è scritto, Dio benedice Giacobbe e gli dice di spargersi in tutto il mondo. Io ho lasciato New York trentadue anni fa per venire qui a Roma. Dobbiamo sacrificare la nostra vita per il prossimo. Così ha fatto Gavriel Holtzberg”. 

Nel quartiere della Eastern Parkway a New York, dove si trova il centro mondiale dei Lubavitch, il rabbino Holtzberg viene ricordato come un “modesto e semplice servitore”. I membri della sua comunità dicono che non sarebbero sorpresi se si scoprisse che alcuni dei terroristi avevano trascorso un venerdì sera nel centro degli Holtzberg. “La loro casa era aperta a tutti, ebrei e non”. E si scopre soltanto ora che il centro era stato spesso minacciato dai fanatici musulmani. Eppure gli Holtzberg non si nascondevano. “L’edificio è stato colpito perché aveva una stella di David”, dice il volontario Zev Yaroslavsky. “Mia sorella accettò la missione con coraggio”, spiega il fratello di Rivka. “Non aveva paura”.

Gavriel e Rivka avevano lasciato Brooklyn per Mumbai. Avevano perso il loro primo figlio a causa di una rara malattia genetica. Il secondogenito, affetto dallo stesso morbo, è attualmente ricoverato in un ospedale israeliano, mentre il terzo, il piccolo Moshe che proprio ieri ha compiuto due anni, è stato salvato per miracolo prima che i terroristi iniziassero la mattanza. Ironia della sorte, l’ultima delle vittime ebraiche identificate è Norma Rabinovich, cittadina messicana che proprio oggi avrebbe fatto aliyah in Israele per raggiungere il figlio Manuel. Ci andrà in una bara.

Entrambi nati in Israele, gli Holtzberg erano persone “che aiutavano sempre”. Riuscivano a servire fino a settanta pasti di shabbath. La moglie di Holtzberg teneva anche alcuni corsi d’istruzione per le donne. “Non aveva paura del terrorismo, ma di non poter aiutare come voleva”, dice il rabbino Berel Wolvosky. “Un vero Mensch”, una persona d’onore, lo definisce un altro amico, Moshe Koltarsky. A chi gli chiedeva di sé, Holtzberg rispondeva: “Siamo entrati nell’esercito del rabbino”. “Gabi e Rivky hanno lasciato il comfort occidentale per diffondere l’orgoglio ebraico in ogni angolo del mondo”, commenta rav Koltarsky. “Il loro amore altruistico vivrà nelle persone che hanno conosciuto”. Gavriel era uno studente eletto. In un video si vede il rabbino e fondatore, Mendel Schneerson, che gli dona un dollaro dopo averlo istruito in un passo delle scritture. “Devi darlo in tzedakah (carità, ndr)”, aggiungeva Schneerson. Holtzberg aveva anche preso parte ai celebri “farbrengen”, le celebrazioni durante le quali si guidano i fedeli con lunghissimi discorsi e melodie che possono durare anche una notte intera.

Il rebbe Schneerson era in grado di parlare per sei ore di fila e poiché dal tramonto del venerdì a quello del sabato ai Lubavitcher non è consentito scrivere né usare registratori, un gruppo di pii studiosi doveva ricordare ogni parola: in modo da poter poi trascrivere i testi e diffonderli. Gavriel era stato educato all’idea secondo cui “ogni individuo è veicolo per l’osservanza dei precetti” e può diventare uno tzaddiq, un giusto. Ora un corso di conoscenza dell’ebraismo è stato inaugurato in memoria di questa coppia martirizzata lontano da casa. Un’altra coppia di emissari, che fa capo a Dov Goldberg, si è già trasferita a Mumbai per continuare il lavoro. Il professor Yossi Katz, geografo alla Bar Ilan University in Israele, è stato uno degli ultimi a vedere Gavriel Holtzberg. “Quando ho sentito che c’era stato un assalto alla Nariman House, ho subito capito che Gabi e Rivki erano morti. Avrebbero combattuto tutti coloro che avessero cercato di distruggere ciò che avevano costruito”. Ieri anche a Los Angeles c’è stata una commemorazione. Il rabbino Shlomo Cunin si è rivolto ai terroristi. “Noi del popolo ebraico, che crediamo nella luce, non ci fermeremo”.  La conferma è in una frase del rabbino Schneerson: “Il nostro è un unico mondo, migliorarlo in parte significa migliorarlo nel suo complesso”. Le fotografie ci mostrano sempre un Gavriel Holtzberg sorridente. Forse perché la sua prima regola era “obbedire a Dio con gioia”.

Dalla prima pagina de Il RIFORMISTA, l'articolo di Helena Janeczek "Uccidere cuochi e rabbini":

Nella città un tempo nota come Bombay, un cuoco romano ha rischiato la vita per portare il latte alla sua bambina di sei mesi, chiusa in una stanza con la madre, alimentata per tutta la durata dell'assedio con biscotti al cioccolato trovati nel frigobar. Coperto alle spalle dagli agenti indiani, Emanuele Lattanzi, chef all'Hotel Oberoi che appartiene alla catena Hilton, ha raggiunto la sua famiglia con addosso la giacca bianca inamidata con cui quella sera aveva cominciato il suo servizio. Nella stessa parte della città - Colaba, il quartiere di lusso vicino al porto e alla Gateway of India - ma in un luogo di cui la gran parte dei bombaiti ignorava verosimilmente l'esistenza, la cuoca indiana del centro ebraico scappava con il figlio del rabbino in braccio. Si chiama Sandra Samuel e lavora presso i Chabad-Lubavitch da cinque anni, ossia da quando Gavriel Holtzberg vi è arrivato da un precedente incarico in Thailandia insieme alla moglie Rivka. La cuoca ha una crocchia allentata e sghemba, le braccia dalla magrezza nervosa di chi lavora molto. Appare in un filmato di qualche anno prima mentre prepara dei panini tipici askenaziti, fatti a girella e dolci, con gli stessi capelli attorcigliati per comodità, la stessa faccia che si presume già da tempo vecchia, solo un po' meno stravolta di quella della foto in cui stringe il figlio del rabbino. Si era nascosta dentro una stanza con un altro inserviente, vi aveva passato tutta la sera, poi ha sentito «Sandra, Sandra», era Moshe che la chiamava, l'aveva visto nascere e l'aveva accudito, non ce l'ha fatta a non seguire la voce del bambino.
L'altro dipendente ha cercato di dissuaderla, ma lei è uscita dal nascondiglio, è salita al piano di sopra, l'ha trovato in una stanza dove c'erano quattro persone a terra e sangue dappertutto, non si è chiesta chi fossero e se fossero vive o morte, ha visto abbastanza per afferrare il figlio del suo datore di lavoro e fuggire. Erano passate le undici di sera, i terroristi stavano sul tetto, anche questo l'aveva visto prima di agire, ma quando è corsa fuori dall'edificio le hanno sparato dietro. Moshe aveva i vestiti sporchi di sangue e stringeva un peluche non meglio identificato di colore azzurro. Ora sta con i nonni materni venuti da Israele, ma l'unica persona a cui risponde è Sandra. Il giorno dopo essere stato salvato ed essere diventato orfano, ha compiuto due anni.
Nelle foto da cerimonia apparse sui giornali per commemorarli, Gavriel e Rivka Holztberg incarnano quasi perfettamente l'iconografia dei Chassidim ultraortodossi, così come sono iscritti in un immaginario identico nei secoli che appartiene all'Est Europa e all'occidente e sembrano la cosa più lontana da quello legato all'India. Persino Gene Wilder, rabbi yiddish che gira a cavallo fra i fuorilegge nella commedia "Scusi, dove è il West?", con la sua barba più folta e altrettanto rossa di quella del suo reale collega di Bombay, appare meno assurdo. Ma è proprio la misura della barba il dettaglio con cui il rabbino Holtzberg tradisce le aspettative. È troppo corta, è troppo giovane, il figlio di un macellaio kasher di Brooklyn. Aveva 29 anni, sua moglie 28, quando sono stati uccisi.
Nel filmino ripescato dalla tv del quotidiano israeliano Haaretz, dove si vede pure Sandra Samuel intenta a formare e allineare su una teglia i panini, gli Holtzberg risultano soprattutto questo: giovani. Al posto del grande cappello nero, Gavriel ha in testa una piccola kippah, la camicia bianca gli penzola dai pantaloni insieme ai filatteri, Rivka indossa una maglietta verde mela con dei fiorellini e ha dei capelli castani lisci e lunghi alle spalle che sembrano quelli di una qualsiasi ragazza: non la parrucca indossata dalle ortodosse dopo il matrimonio. Pur con gli occhiali, è carina.
I Chabad-Lubavitch sono arcaici e moderni, applicano una sorta di spirito missionario all'interno dell'ebraismo, l'accoglienza anche solo occasionale di chi è lontano e lontanissimo dai precetti della Torah li ha fatti diventare un movimento fortissimo e gli ha spinti in tutti gli angoli del mondo, pure in Thailandia e a Bombay. Gli Holtzberg non sono venuti principalmente per assistere le poche centinaia di vecchi scuri di pelle e donne in sari che con la loro ortodossia askenazita non c'entrano nulla, ossia quel che rimane degli ebrei autoctoni nella città che ebbe la sua prima sinagoga nel '700 e deve la sua ascesa anche alla dinastia dei Sassoon di Baghdad, mercanti e poi banchieri che fecero costruire sinagoghe, librerie e persino i docks di Colaba che ospitano ancora oggi il mercato del pesce. I Bene Israel, comunità che si ritiene giunta in India dalla Galilea due secoli prima che vi crescesse Gesù Cristo, ora sono quasi tutti immigrati in Israele, dove si confrontano con le diffidenze e discriminazioni riservate ad altre minoranze ebree "etniche". Gli Holtzberg si occupavano soprattutto di israeliani, uomini d'affari e principalmente di turisti, quel tipo di turista che viene in India per lasciarsi alle spalle le costrizioni della sua vita fra cui, nel caso specifico, il servizio militare figura ai primi posti. Passavano il loro tempo anche ad assistere i correligionari con problemi di tossicodipendenza o ad andare a visitare quelli finiti in carcere, senza domande, senza cercare di capire chi fra gli smarriti si portava dietro un trauma o era un disertore che poteva rivolgersi a loro, ma non al consolato.
Insieme ai loro, sono stati ritrovati i corpi di altri sette ebrei o israeliani, tre dei quali non hanno ancora un nome, il che forse dice qualcosa della loro identità in fuga. Nove morti il cui peso sta nel fatto che siano stati deliberatamente scovati, presi in ostaggio e uccisi, più che nel numero:anche se in proporzione è superiore a quello degli altri stranieri ammazzati, inclusi gli americani e i britannici, i quali, pur essendo stati il bersaglio prediletto, formano nemmeno un terzo delle vittime. Il resto sono indiani come Sandra Samuel, come i quattromila che persero la vita negli attentati compiuti da fondamentalisti sia islamici che indù negli ultimi quattro anni, morti che, in molti casi, lontani dalla loro terra non avevano quasi fatto notizia.
Per fare propaganda col sangue, non serve ammazzarne il più possibile, bisogna colpire quelli giusti nei posti giusti, quelli che non potranno essere ignorati o dimenticati dal resto del mondo il giorno dopo, come è accaduto alle centinaia di vittime del treno pendolare fatto saltare sempre a Bombay due anni fa. L'orrore per farsi recepire deve avvalersi di grammatiche di morte universali, grammatiche di cui fa parte l'antiebraismo, e anche se l'attacco di questi giorni, al pari dei molti precedenti, avesse mirato principalmente alla causa dell'annessione al Pakistan del Kashmir, stavolta il suo idioma è stato forte e chiarissimo. L'orrore produce un mondo unito e rattrappito dalla violenza, e genera una contrattura irreversibile. Chi fugge dai conflitti a casa propria, può finire per esserne mietuto nel luogo dove ha cercato relax e oblio, e diventa un lavoro pericoloso non solo fare il rabbino, ma pure il cuoco, un mestiere eroico e a rischio perché la sua presenza è richiesta nei templi del consumo e del capitalismo, nei luoghi da colpire, nei luoghi simbolo. Nel ristorante Towers of the World, posto all'ultimo piano delle Torri Gemelle, non si è salvato nessun cuoco, cameriere o sguattero. All'Oberoi di Bombay, lo chef Lattanzi non avrebbe mai compiuto il suo gesto di semplice amore e coraggio, se non avesse comunicato con sua moglie via sms, se sua figlia non avesse preso il biberon, e se, prima di tutto, andare all'estero non fosse una delle migliori opportunità per migliaia di cuochi italiani, un esercito sparpagliato dagli alberghi a cinque stelle alle più sperdute pizzerie in ogni angolo del mondo.
La diaspora dei cuochi italiani prima di trovare il suo eroe in Lattanzi, ha avuto il suo caduto. Antonio Amato nel maggio 2004 è stato giustiziato con tre colpi di pistola insieme ad altri dieci ostaggi ad Al Khobar, zona di estrazione del petrolio in Arabia Saudita, nel corso di un attentato qaedista al complesso residenziale per stranieri "Oasis". Aveva trentacinque anni e dirigeva da tre mesi il lussuoso ristorante "Casa mia". Veniva da Giugliano in Campania, per l'esattezza da Varcaturo, la stessa frazione sulla Domiziana dove l'11 luglio di quest'anno i casalesi hanno ucciso il gestore del lido balneare "La Fiorente", poi, nel raggio di pochi chilometri e nel giro di pochi mesi, un gestore di una sala giochi, un dipendente di un'impresa di pompe funebri, sette africani: muratori, sarti, elettricisti.

Da L'OPINIONE, l'articolo di Dimitri Buffa "Essere ebrei oggi è un rischio come negli anni ’30" :

Oggi come negli anni ’30 essere ebrei è molto pericoloso. Per carità a Mumbai ne sono morti oltre 200 di ogni credo, razza e religione. Però quello che più ha colpito la gente è stata la spietatezza con cui hanno ucciso il rabbino, la moglie e gli altri quattro ebrei nell’abitazione in cui erano asserragliati. E come questa cosa sia accettata per normale: erano ebrei non avevano scampo in partenza. Diciamocela tutta, l’Islam del fanatismo oggi è il nuovo nazismo. Se ne è accorto anche Alfonso Gianni di Rifondazione che si domanda se mai qualcuno scenderà in piazza per questi morti. Per adesso dobbiamo accontentarci di quelli che sabato, nel solito corteo pro Palestina di Roma, hanno continuato a mandare slogan di odio e lettere ai giornali in cui rimpiangono di non avere potuto bruciare le bandiere israeliane, cioè dello stato cui appartenevano i sei trucidati a Mumbai. Intanto ieri il Jerusalem Post riportava ulteriori particolari sulla dinamica dell’eccidio nella Chabad House: non tutti sarebbero stati uccisi dai terroristi, almeno due o tre di loro potrebbero essere stati ammazzati inavvertitamente dai proiettili della polizia indiana intervenuta a più riprese tra mercoledì e venerdì sera. Parlando al telefono da Mumbai il signor Haim Weingarten, il responsabile della squadra speciale israeliana per il recupero dei feriti e dei caduti, la Zaka (che però non è potuta intervenire tempestivamente in loco), ha ipotizzato che almeno due o tre dei morti della Chabad house possano essere stati fatti fuori dal fuoco amico. O presunto tale. L’unica nota positiva riguarda gli altri due cittadini israeliani che fino a domenica sera risultavano dispersi e che da oggi non sarebbero più tali.

Così anche questo doloroso capitolo delle sofferenze degli ebrei nel mondo, per il solo fatto di essere ebrei, dovrebbe considerarsi chiuso. Solo in teoria però, perché questa triste vicenda, che si è andata a inserire nel quadro ancora più tragico dell’attentato, anzi della catena degli attentati nella ex Bombay, in generale insegna al mondo libero una cosa: essere ebrei oggi significa morire per primi in caso di qualsivoglia mattanza preodinata da un qualsiasi commando di terroristi. Anche i nazisti non uccidevano solo gli ebrei. Solo che gli ebrei venivano ammazzati per primi, senza pietà. E fa specie che dal mondo arabo, in un giorno come questo, l’unico commento in merito sia quello di una nota attrice e cantante, di cui evitiamo di fare il nome, che sostiene che l’odio anti-ebraico faccia parte del Dna di ogni buon cittadino islamico. Come se tutto ciò non fosse abbastanza, ieri una mazzata per Israele è venuta dall’Europa, più precisamente da un documento interno che prefigura le future linee di accordo per una pace con i palestinesi. Nel documento redatto sotto la presidenza Ue della Francia si fa finta che sette anni di terrorismo di Hamas non ci siano mai stati e si richiede, oltre che Gerusalemme capitale dei due Stati, la riapertura della Orient House, una delle istituzioni palestinesi chiusa d’autorità nel 2001 dopo l’attentato alla pizzeria Sbarro in cui morirono oltre 25 cittadini israeliani. Era un simbolo quel luogo chiuso e nessun governo aveva mai osato riaprirlo finchè non si fosse raggiunto un accordo serio per fare cessare il terrorismo. Adesso l’Europa avverte Gerusalemme di avere deciso altrimenti.

Sempre da L'OPINIONE, l'intervista di Stefano Magni a Daniel Pipes, "Terrorismo islamico, questo è il suo nome":

I terroristi che hanno colpito Mumbai volevano fare almeno 500 vittime. In attesa di rivendicazioni attendibili e dei risultati delle indagini, sappiamo solo (dall’interrogatorio dell’unico superstite degli assalitori) che il commando si è addestrato in Pakistan. E’ dunque un’operazione coperta pakistana? O si tratta di servizi segreti deviati, che hanno agito all’insaputa del governo? Oppure è sempre Al Qaeda, che delle regioni occidentali pakistane ha fatto il suo baluardo principale? “Per ora è ancora molto difficile avere una risposta. Ma non è tanto importante sapere l’esatta matrice di questo attacco, quanto ribadire sin da ora che: si tratta di terrorismo islamico. Sono sostenitori dell’Islam radicale che hanno organizzato questa azione offensiva e il loro obiettivo finale è sempre l’instaurazione della legge coranica: la sharia”. A rilasciarci questa dichiarazione “politicamente molto scorretta” è Daniel Pipes, storico statunitense e uno dei maggiori esperti di Medio Oriente. Lo abbiamo incontrato a Senago (Milano) in occasione del Festival della Modernità di Spirali. Proprio all’indomani dei fatti di sangue indiani.

Il terrorismo islamico è difficile da comprendere. Ci si divide ancora tra chi sostiene che sia uno strumento nelle mani di Stati islamici che vorrebbero dichiarare guerra agli Usa, ma non ne hanno i mezzi. E chi invece sostiene che si tratti di un fenomeno transnazionale del tutto fuori controllo politico. Lei per quale tesi propende?
Entrambe le cose. Nessuno Stato al mondo è attualmente in grado di sfidare gli Stati Uniti. Nessuno è in grado di preparare seriamente piani per una guerra convenzionale contro le potenze occidentali. Nessuno ha navi, aerei, carri armati e tecnologia sufficienti a battere le forze armate degli Usa. In questo caso, gli Stati che vogliono sfidare la prima potenza mondiale ricorrono al terrorismo, una scorciatoia sempre pronta. O cercano di dotarsi di armi di distruzione di massa. Ma anche i singoli gruppi, non governativi e fuori legge, che vogliono dichiararsi nemici delle grandi potenze, per la loro ideologia, sono sempre ricorsi al terrorismo. Non c’è niente di nuovo in tutto questo. Nei secoli, gruppi politici antagonisti (anarchici, indipendentisti, estremisti di destra e sinistra) hanno fatto ricorso ai metodi terroristici.

La dottrina Bush si basava sull’esportazione della democrazia per estirpare il terrorismo alla radice. A sette anni dal suo inizio, si contano più successi o insuccessi?
Io sono convinto che l’esportazione della democrazia sia la missione dell’America nel mondo da quasi un secolo, non dagli ultimi sette anni. E’ dalla proclamazione dei Quattordici Punti del presidente Woodrow Wilson, nella I Guerra Mondiale, che l’America si è impegnata in questa politica. Ha avuto successo: l’Italia democratica è uno degli esempi più evidenti. L’area più difficile per la democrazia è sicuramente il Medio Oriente. Gli Usa non hanno mai provato ad estendere la loro strategia a quella zona del mondo. Il presidente Bush, dopo l’11 settembre, è stato il primo a tentare di estendere la politica americana anche a quell’area. Io ero d’accordo allora con quella decisione e lo sono tuttora. L’idea di base è molto buona. Penso solo che finora sia stata condotta con moltissime lacune: con poche informazioni, con troppa fretta e in un modo a dir poco impaziente.

Qual è il bilancio militare di sette anni di guerra al terrorismo?
Purtroppo abbiamo a che fare con un nemico che non ha un territorio, né un esercito vero e proprio. E’ dunque impossibile misurare il successo in base ai parametri tradizionali (territorio conquistato e perdite inflitte). Il terrorismo mira a influenzare l’opinione pubblica. E su questo piano, la guerra non sta andando così bene. L’errore principale è la mancanza di volontà, da parte di accademici, politici e media, di nominare il nemico. Il nemico è l’Islamismo, il radicalismo islamico. Se non si può, non si riesce o non si vuole puntare il dito contro il proprio avversario, non lo si può nemmeno sconfiggere. L’espressione “guerra contro il terrorismo” è sbagliata: si indica il mezzo usato dal nemico, non il nemico stesso.

La vittoria di Obama è il segnale che gli americani vogliono la fine della guerra all’Islamismo?
Nel 2004, Bush vinse con sei punti di vantaggio su Kerry. Oggi Obama vince con cinque punti di stacco. Non sono quei cinque-sei punti di distanza che fanno una svolta. E tra l’altro nella campagna elettorale la guerra al terrorismo è stata l’ultima delle priorità: era l’economia a far la parte del leone. Barack Obama, nel corso delle elezioni primarie, si è presentato all’elettorato come un radicale, con idee sulla politica estera vicine alla sinistra pacifista. Dalle sue dichiarazioni in campagna presidenziale e dalle scelte che ha fatto nella sua squadra, direi invece che si sta avvicinando di più alla politica realista (simile a quella di Bush senior, ndr). Io, francamente mi considero più vicino agli idealisti, a chi vuole esportare la democrazia. Ma anche il realismo politico si è rinnovato e ha i suoi punti di forza. Molto meglio avere un realista alla Casa Bianca che un membro della sinistra ideologica, come temevamo.

Scritta per INFORMAZIONE CORRETTA, l'analisi di  Piera Prister Bracaglia Morante:

Siamo tutti a fianco dell'India contro il terrorismo islamico
In questi momenti terribili di morte e di lutto, siamo vicini
 all'India e le dimostriamo la nostra solidarieta'. E' un intero
 subcontinente di oltre un miliardo di abitanti l'India che s'e'
schierata contro il terrorismo nazi-islamico, quel terrorismo che
alleva nel suo seno come vipere, i bambini  e li nutre non di latte ma
d'odio fino a che non sono pronti a seminare la morte che si augurano
apocalittica, in Occidente come in Oriente, ovunque nel mondo. E' un
odio  ingigantito dagli ingenti finanziamenti di petroldollari (gli
zaini dei terroristi erano infarciti di valuta), e alimentato dalla
 propaganda degli stati fiancheggiatori e e di coloro che civettando
con il terrorismo come in Europa, in Sudamerica e in Oriente pensano
di scamparla.
 Abbiamo seguito su Fox news  le ultime notizie dall'India e abbiamo
visto la scena di questa mattina, ripresa su un mobile phone, a
 Mumbai, dove la folla furiosa ha cercato di  immobilizzare un
terrorista, si pensa l'ultimo, che aveva appena sparato e ucciso due
 poliziotti che gli avevano intimato d'arrendersi. A quel punto la
gente s'e' inferocita e l' ha immobilizzato, percosso,  duramente e
disarmato mentre arrivavano altri poliziotti ad arrestarlo fischiando
assordantemente nel tentativo di disperdere la folla. Insieme a tanti
 episodi di eroismo di chi ha sacrificato la vita pur di portare
soccorso agli altri, c'e tanta rabbia a Mumbai  (gia' colpita con 200 morti nel 2006 da un precedente attacco terroristico ai treni che
 trasportano ogni giorno milioni di pendolari)  una citta' che e' stata
 messa in ginocchio dai terroristi che sono arrivati dal mare e l'hanno
 colpita in piu' punti nevralgici. Hanno colpito prima il centro
 ebraico della Chabad house, residenza dei Lubavitch o Chassidim,
 uomini pii, esponenti di quel movimento spirituale e intensamente
 religioso dell'Europa centro-orientale  che il premio Nobel  1978 per
 la letteratura, Isaac Singer di cultura chassidica descrive nei suoi
 racconti in jiddish. Quelli che emergono dalle sue pagine sono tanti
 ritratti di maestri di vita, poveri e in fama di santita', che nulla
 posseggono se non la forza della loro fede mistica e della
 solidarieta' umana verso gli afflitti e i pellegrini. Quanto piu'
 grandi erano le persecuzioni e la poverta' tanto piu' conforto
 cercavano nel misticismo religioso. La scena dell'eccidio nella Casa
 Chabad tra i tanti libri sacri e i Siddur ci rievoca la barbarie dei
 pogrom contro persone buone e pietose dotate di  un piu' alto grado di
 religiosita'. I Chassidim hanno pervaso la cultura ebraica e hanno
 ispirato la fantasia degli artisti, poeti, pittori e maestri del
 cinema e, nella loro scarna essenzialita'ci fanno riflettere sulla
 caducita' della vita dell'uomo che con il tempo si dilegua in polvere
 in contrapposizione all'eternita'.
E' vero, il primo bersaglio dei terroristi e' stata la Chabad House,
 poi i due hotel, un ristorante, un mercato all'aperto, la stazione dei
treni e un ospedale,  ma il loro desiderio di dominare il mondo e
sottoporlo alla legge della Shaaria sotto la spada dell'Islam sovrasta
e travalica il loro antisemitismo. I loro attacchi sono contro le
 democrazie, contro le liberta' e contro il pluralismo religioso,
 fanatici e intolleranti come sono.
 La guerra al terrore e' globale e si combatte ovunque su tutti i
 fronti, si inganna chi vuole ridurla al solo conflitto in atto nel
 Medio Oriente.

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