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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - L'Opinione - La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
12.11.2008 Trattative con i talebani e con l'Iran: è la strategia di Barack Obama per l'Afghainistan
ma può davvero funzionare ?

Testata:Corriere della Sera - L'Opinione - La Repubblica - Il Foglio
Autore: Paolo Valentino - Stefano Magni - Elena Dusi - la redazione
Titolo: «Obama, a Kabul si cambia: «Più truppe, coinvolgere l'Iran» - Il futuro incerto dell’Afghanistan - Ma ora i bimbi vanno a scuola»

I quotidiani del 12 novembre 2008 dedicano ampio spazio alla strategia di Barack Obama per l'Afghanistan, che prevede trattative con i "talebani moderati" e con l'Iran.

Dal CORRIERE della SERA, a pagina 14, riportiamo la cronaca di Paolo Valentino:

WASHINGTON — Una nuova strategia «regionale» per la crisi in Afghanistan, attraverso il coinvolgimento dell'Iran, che affianchi l'invio di nuove truppe americane nel Paese. Un incoraggiamento al nascente dialogo del governo di Kabul con gli elementi moderati dei talebani. Un'intensificazione della caccia a Osama Bin Laden, che per l'amministrazione Bush non è più stata prioritaria negli ultimi anni.
Cominciano a prendere corpo i piani di Barack Obama, per quello che lui considera il «vero fronte della guerra al terrorismo ». Ad anticiparli, citando fonti del gruppo di lavoro sulla politica estera del presidente- eletto, è il Washington Post
in un articolo di prima pagina.
L'analisi dei consiglieri di Obama è che la politica afghana di George Bush sia stata macchiata da un eccesso di ideologia, vincoli diplomatici e dall'idea impraticabile di trasformare un Paese tribale in una moderna democrazia, invece di puntare a farne una nazione stabile, che respinga al Qaeda e l'estremismo islamico.
Il futuro presidente vuole andare avanti con la promessa, fatta durante la campagna elettorale, di inviare due o tre nuove brigate da combattimento in Afghanistan, probabilmente spostandole dal-l'Iraq, dove conta di avviare entro la primavera un lento ma costante ritiro. Obama spera che il maggior impegno americano e l'entusiasmo mostrato dagli alleati europei di fronte alla sua elezione gli permettano di convincere alcuni Paesi della Nato a seguire l'esempio degli Usa, inviando altre truppe o ampliando il loro mandato.
Secondo i suoi consiglieri, fra gli scopi dell'escalation dovrebbero essere l'offensiva militare e d'intelligence contro al Qaeda e un rilancio in grande stile della caccia a bin Laden. «È lui il nostro nemico, dev'essere lui il nostro bersaglio principale», ha detto uno di loro al Post.
Quest'ultimo obiettivo però rimane ancora vago. Nessuno nell'entourage di Obama è stato in grado di precisare in che modo intendano procedere, una volta insediato il nuovo presidente. Obama e i suoi consiglieri stanno al momento consultando i rapporti d'intelligence, messi a disposizione dalla Cia e dalle altre agenzie del contro- spionaggio.
Oltre a continuare le operazioni anti-talebani in territorio pachistano, già lanciate dall'Amministrazione Bush, la strategia di Obama contempla però anche una forte componente diplomatica, fondata sul coinvolgimento dell'Iran. «Sarebbe utile avere un interlocutore — ha detto al Post
un alto ufficiale americano —, gli iraniani non vogliono almeno quanto non lo vogliamo noi, che l'Afghanistan sia retto da sunniti estremisti».
Di più, gli strateghi di Obama vedrebbero con favore anche i tentativi di dialogo avviati dal regime afghano con i settori dei talebani interessati a una riconciliazione nazionale, sia pure a condizione che rinuncino alla violenza e accettino la nuova Costituzione.
Non è chiaro se l'Afghanistan sia stato parte del colloquio di lunedì tra George Bush e Barack Obama alla Casa Bianca. Di certo lo è stato il destino dell'industria automobilista americana, come hanno riferito ieri sia il New York Times che alcune agenzie, secondo cui il presidente- eletto e quello in carica si sono trovati in forte disaccordo: a Obama che vorrebbe aiuti immediati per Detroit, Bush avrebbe posto la condizione di un sì del Congresso all'accordo commerciale con la Colombia.
Ma la rivelazione dei contenuti del colloquio avrebbe fatto arrabbiare Bush: «Il senatore Obama sarebbe saggio a tenersi queste cose per sé», ha detto al Drudge Report un consigliere del presidente.

Da L'OPINIONE, l'analisi di Stefano Magni: "Il futuro incerto dell’Afghanistan":

Il dialogo con i Talebani “moderati” sta diventando un’ossessione. Con la nuova amministrazione Usa, stando a indiscrezioni rivelate da fonti vicine a Barack Obama al Washington Post, la strategia americana nella guerra in Afghanistan potrebbe cambiare. Non solo cercando una maggior collaborazione con le nazioni centro-asiatiche confinanti, ma anche avviando il dialogo con l’Iran per la “stabilizzazione” del Paese e aprendo un tavolo negoziale con le milizie talebane che non intendono proseguire il conflitto ad oltranza. Lo scopo è sempre lo stesso: isolare Al Qaeda. Questa politica coinvolgerà anche l’Italia e tutti i Paesi impegnati nella missione afgana. Probabilmente contribuirà a unificare le strategie della Nato, attualmente divisa fra Paesi (Usa, Gran Bretagna, Canada, Olanda e Danimarca) che combattono in prima linea e altri (fra cui il nostro) che continuano a mantenersi in una posizione di riserva: riducendo il numero dei nemici e dando la possibilità di una via di uscita diplomatica, gli Usa avranno più ragioni per chiedere a tutti un maggiore impegno nelle operazioni di guerra. Se il Washington Post centra la sua previsione e questa sarà la futura strategia americana, vuol dire che non vi saranno molte differenze rispetto all’attuale politica del segretario alla Difesa repubblicano Robert Gates. Quindi è possibile già adesso vedere quali effetti potrebbe provocare. Se ne è parlato, ieri, a Dushanbe, la capitale del Tajikistan, nell’ambito di una conferenza internazionale sulla sicurezza dell’Afghanistan. Prima di tutto, ad esprimere perplessità sulla possibile futura politica americana è lo stesso Iran.

Il suo ambasciatore a Dushanbe, Aliasgari Sherdust Safiri, ha ammonito che: “Negoziare con i Talebani permetterebbe loro di formalizzare il maggiore potere che hanno conquistato in questi anni. Se un tempo i Talebani erano un fenomeno unicamente afgano, oggi sentiamo parlare di loro anche in Pakistan. Si sono espansi anche oltre i confini dell’Afghanistan. E ora sono considerati un forte movimento anche da Islamabad”. Questa affermazione non è storicamente corretta: i Talebani, semmai, nacquero nelle scuole coraniche in Pakistan e solo successivamente conquistarono il potere in Afghanistan nei primi anni ‘90. Questa è la visione del mondo iraniana: l’Iran teme il radicalismo sunnita al potere in un Paese ai suoi confini. Ma, pur di cacciare gli occidentali, è stato disposto ad armare le milizie talebane, come dimostrano i numerosi ritrovamenti di armi iraniane in Afghanistan. Per Teheran, l’ideale sarebbe sia la partenza delle truppe Nato, sia l’indebolimento dei Talebani. Finché Washington non leverà le tende, Teheran non sarà disposta a dialogare. Per questo, una politica che miri a conciliare il dialogo con l’Iran e una trattativa con i Talebani è finora più una teoria ottimista che una possibilità pratica.

In un'intervista a Elena Dusi, Ahmed Rashid confronta l'attuale situazione in Afghanistan con quella del governo talebano.
Da La REPUBBLICA,  a pagina 39, "Ma ora i bimbi vanno a scuola" :

Sette anni fa Ahmed Rashid era a Kabul come giornalista. Uno dei pochi rimasti a seguire le notizie mentre il regime dei Taliban si sbriciolava sotto i colpi della coalizione occidentale. Oggi, con due nuovi libri al suo attivo sulla situazione dell´Asia centrale (Taliban e Caos Asia, il fallimento occidentale nella polveriera del mondo) Rashid tenta un bilancio: ciò che Kabul ha perso e cosa ha guadagnato dalla cacciata dei Taliban a oggi.
Com´è Kabul oggi?
«Tesa. Molto più pericolosa di allora. Chi ha potuto, ha abbandonato la città. Le famiglie dei diplomatici o dei membri delle organizzazioni non governative sono scappate, ovviamente. Gli stessi operatori umanitari non si azzardano a uscire dalla capitale, e così trascurano molti progetti che erano stati avviati nelle province. Muoversi per Kabul è diventato difficoltoso. Ci sono posti di blocco ovunque, le protezioni per le ambasciate e gli uffici governativi creano ingorghi continui».
I dati sulla criminalità e le esecuzioni capitali sono tutti in aumento.
«È vero, ma non possiamo fare l´errore di prendere l´epoca dei Taliban come pietra di paragone. Oggi la pena di morte esiste, ma viene comminata a seguito di un processo. Prima le esecuzioni avvenivano in pubblico ed erano completamente arbitrarie. Ora un sistema giudiziario esiste, anche se è debole e non riesce a garantire equità a tutti. Chi non ha soldi per pagarsi un avvocato, per esempio, rischia di subire una condanna anche se innocente».
L´inverno sta arrivando. Come lo affronterà Kabul?
«I problemi umanitari sono gravi in tutto l´Afghanistan. Cinque milioni di afgani, cioè un quinto della popolazione totale, soffriranno la fame quest´inverno. Colpa dell´insurrezione che ancora va avanti in tutto il paese e impedisce all´economia di organizzarsi, anche nelle cose più banali».
Cosa è migliorato rispetto al 2001?
«L´educazione, sicuramente. Oggi quasi sette milioni di bambini vanno regolarmente a scuola e questo è un balzo avanti impressionante, perché ai tempi dei Taliban non ce n´era praticamente uno con un´educazione decente. Sono anche state costruite strutture sanitarie efficienti, e il miglioramento riguarda soprattutto la salute delle donne. Oggi in ogni provincia esistono uno o più ospedali. Gran parte del merito in questo campo va agli aiuti della comunità internazionale».
Cosa è peggiorato?
«La sicurezza è peggiorata in maniera tragica».
Cosa prevede per il futuro?
«Tutti attendono di capire quale direzione prenderà la nuova presidenza americana. Il futuro in buona parte dipenderà da quanto Barack Obama deciderà di impegnarsi per il miglioramento della situazione in Afghanistan».

Sull'opportunità, sulle conseguenze e sulla possibile efficacia della trattativa degli Stati Uniti con l'Iran. si deve segnalare che il Jerusalem Post di venerdì 7 novembre cita lo storico israeliano Benny Morris, convinto che il tempo utile per un'azione militare israeliana contro l'Iran è tra il 5 novembre e il 19 gennaio, cioè tra i risultati delle elezioni presidenziali americane e l'insediamento di Barack Obama.

Questa importante opinione di uno storico i cui libri sono tradotti in italiano con molto successo, non è comparsa sui quotidiani italiani.
Come non è comparsa la notizia che la mattina dell'11 novembre il rappresentante iraniano all'Onu ha lasciato l'aula dove si commemorava la notte dei cristalli.

Da  pagina 3 de Il FOGLIO, un editoriale sulle sanzioni finanziarie al regime degli ayatollah, "Accerchiare la finanza d'Iran":

Con qualche ritardo sulla tabella di marcia originariamente prevista dall’Ue, il Consiglio dei ministri degli Esteri europei ha approvato lunedì sera un nuovo provvedimento sull’applicazione delle sanzioni contro il programma nucleare dell’Iran previste dalla risoluzione dell’Onu 1.803. Non ci sono novità drammatiche, ma la decisione aggiunge alle banche già sanzionate – Melli e Sepah – altri istituti finanziari: Mellat, Saderat, Tejarat e la Persian Development Bank. Quel che più conta è che saranno colpite anche le succursali in paesi terzi – soprattutto nel Golfo persico (dove fuggono i capitali iraniani con più facilità), nel Caucaso e in Russia – e banche che, pur non essendo iraniane o in Iran, hanno partecipazioni iraniane, come le banche Arian e Future nel Golfo e il Banco international de Desarrollo in Venezuela. Se considerate assieme alla recente iniziativa del dipartimento del Tesoro americano di bloccare le transazioni in dollari da istituti di credito americani per conto dell’Iran o di entità iraniane, queste misure hanno una portata significativa. La restrizione al credito renderà più complicata ogni operazione in Iran, dal finanziamento di attività industriali ai nuovi investimenti. Aumenta cioè la concertazione governativa per espellere l’Iran non soltanto dalla zona del dollaro, ma anche da quella dell’euro, grazie anche all’attivismo dalla presidenza di Nicolas Sarkozy. Resta una zona d’ombra: riguarda i rapporti commerciali con Teheran, che i governi europei sono molto restii a intaccare, ma che, se rivisti, porrebbero una reale ipoteca sulla sostenibilità dell’economia iraniana, già di per sé disastrata. Le pressioni di Washington sono state finora molto potenti e gli esperti si augurano che anche l’Amministrazione di Obama continui sulla linea delle sanzioni. Il bazaar iraniano ha già fatto presente al presidente Ahmadinejad – con tanto di lettera firmata da 60 economisti iraniani – che, tra sanzioni e prezzo del petrolio in continuo calo, si rischia il collasso. E’ così che il soft power diventa efficace.

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