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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - L'Opinione Rassegna Stampa
28.04.2008 L'offensiva terroristica in Afghanistan, la partita energetica dell'Iran, il ruolo di Unifil 2
notizie e analisi sullo scenario internazionale

Testata:Corriere della Sera - L'Opinione
Autore: Franco Venturini - Gabriele Dossena - Stefano Magni
Titolo: «L'Occidente non può perdere - La nuova Opec va a Teheran - Ritirarsi? Meglio cambiare le regole per affrontare Hezbollah»

Dalla prima pagina del CORRIERE della SERA del 28 aprile 2008 un editoriale di Franco Venturini  sull'offensiva terroristica in Afghanistan

La parata militare e gli squilli di tromba, le massime autorità riunite in tribuna, la sparatoria improvvisa. Ieri l'afghano Hamid Karzai ha rischiato di finire i suoi giorni come l'egiziano Anwar Sadat nel 1981. Ma le somiglianze tra l'omicidio politico tentato a Kabul e quello compiuto ventisette anni fa al Cairo, per quanto spettacolari, finiscono qui. Perché l'Afghanistan di oggi, a differenza dell'Egitto dei primi anni Ottanta, ospita una guerra che l'Occidente non sa come vincere e non può permettersi di perdere.
La cronaca delle ultime settimane, è vero, ci racconta una storia che dovrebbe indurre all'ottimismo. La Nato ha confermato a Bucarest la sua determinazione nella lotta contro i talebani. Sarkozy manderà in Afghanistan altri settecento soldati. La vittoria elettorale di Berlusconi pone fine alla fronda della sinistra radicale e suggerisce un maggior impegno dell'Italia. La Germania farà anch'essa qualcosa dopo la scadenza del mandato parlamentare in ottobre. I caveat
sulla mobilità delle forze alleate diventeranno in linea di principio più elastici. Persino la Russia fa la sua parte, autorizzando il transito dei rifornimenti. Ma la guerra afghana, dietro queste foglie di fico, resta una sfida estremamente ardua per la coalizione atlantica come lo era già stata per l'impero sovietico e prim'ancora per quello britannico.
I talebani, autori dell'attentato a Karzai, non perdono terreno e mostrano di poter agire anche nella capitale. Gli aiuti civili che raggiungono effettivamente la popolazione sono meno della metà di quelli erogati. Dietro le polemiche interalleate sui caveat militari ve ne sono altre più discrete ma più gravi, sulle modalità operative e sull'opportunità di dialogare con la parte meno ostile dei talebani. Clamoroso è il dissenso (anche tra Usa e Gran Bretagna) sui metodi migliori per rallentare la coltura dell'oppio quando non provvede l'inverno. La sostenibilità politica delle perdite comincia a diminuire sui fronti interni dei Paesi impegnati in prima linea e sconsiglia gli altri dall'andarci. Nel Pakistan finalmente democratico affiorano tentazioni di compromesso con i gruppi estremisti tacitamente ospitati. E come se tutto ciò non bastasse, l'Afghanistan è ormai in marcia di avvicinamento alle elezioni presidenziali del prossimo anno.
L'attentato di Kabul è probabilmente il primo atto di una campagna che ci riserverà altre violenze.
Hamid Karzai, che l'anno venturo vorrebbe ottenere un nuovo mandato, è sotto assedio: gli occidentali lo accusano di debolezza, lo incalzano i «signori della guerra» presenti sul territorio ma anche nel Parlamento di Kabul, lo indeboliscono le novità provenienti dal Pakistan.
E lui, forte del fatto di non avere alternative, reagisce prendendosela con gli alleati della Nato che uccidono ancora troppi civili, che impediscono ai talebani recuperabili di farsi avanti, che non tengono nel dovuto conto l'orgoglio nazionale di tutti gli afghani. Dichiarazioni tattiche per recuperare popolarità, certo, ma purtroppo anche argomentazioni fondate.
La crisi afghana si avvia così a diventare sempre meno governabile. Tra etnìe che si temono, interessi da oppio e alleanze mutevoli, sin da oggi è difficile immaginare il recupero politico di una parte consistente dei talebani. Così come non sembra avere un gran futuro la speranza atlantica di costruirsi una exit strategy fondata sulla progressiva «afghanizzazione» del conflitto. Esattamente come avviene in Iraq, anche se McCain è l'unico candidato presidenziale Usa disposto a riconoscerlo.
Ma l'Afghanistan, diversamente dall'Iraq, è una guerra al terrorismo collettiva sin dalle origini e legittimata dopo l'Onu anche dalle dichiarazioni di Al Qaeda. In quella Kabul dove ieri Karzai ha sfiorato la morte è in gioco il concetto stesso di Occidente, e per questo lì l'Occidente non può perdere. Il che non gli impedisce di essere lontano della vittoria.

Sempre dal CORRIERE un articolo sulla riunione a Teheran del cartello dei paesi produttori di gas:

MILANO — Cartello del gas, nuova prova di forza. Mentre l'Europa sta a guardare, e nonostante le minacce lanciate dagli Stati Uniti, i grandi esportatori mondiali di "oro blu" affilano le armi e si preparano a definire l'ultimo tassello che dovrebbe sancire la nascita di una nuova Opec, del gas appunto, a somiglianza dell'organizzazione nata nel 1960 per iniziativa dei maggiori produttori di petrolio.
Oggi a Teheran si ritrovano i delegati dei 15 Paesi che un anno fa hanno dato vita al Gefc (Gas exporting countries forum) e che da soli controllano il 42% dell'export mondiale e più del 70% delle riserve di gas del pianeta. Con Russia, Iran, Algeria e Qatar in prima linea, cercheranno di trovare un accordo sull' adozione di una "carta" con le linee comuni da rispettare: dalla definizione di una formula universale per stabilire i prezzi, fino a un sistema di consultazione per la scelta del percorso dei gasdotti e ai criteri di utilizzo di forniture spot per compensare possibili carenze di approvvigionamento. Come per l'Opec del petrolio, gli obiettivi sono dunque sempre gli stessi: organizzarsi al meglio in modo da tenere costantemente sotto controllo il mercato mondiale del gas, consumi e produzione, e intervenire per condizionare l'offerta, in modo da manovrare i prezzi e massimizzare i profitti.
A lanciare la proposta, la Russia. Infatti il documento che sarà discusso oggi sarebbe stato preparato dal colosso Gazprom e dal ministro dell'Energia russo. Alcuni osservatori, viste le posizioni dell'Iran, ritengono però possibile un rinvio della sua approvazione fino alla prossima riunione del Gefc, in programma tra un mese proprio a Mosca. Incontro che potrebbe sancire la nascita ufficiale dell'Opec del gas.

Da L'OPINIONE del 28 aprile 2008, un'intervista a Fiamma Nirenstein sulla missione Unifil 2 in Libano. Meglio cambiarne le regole che ritirarla, sostiene Nirenstein.


Poniamo l’ipotesi che le forze italiane abbandonino il Libano. Israele come valuterebbe questa scelta? Lo abbiamo chiesto a Fiamma Nirenstein, neodeputata del Popolo della Libertà, giornalista da sempre vicina alla sofferenza di Israele e alla sua continua lotta per la sopravvivenza. Per quanto riguarda l’ipotesi di un ritiro del nostro contingente, ci anticipa subito che: “Israele non lo auspica. Vorrebbe semmai un intervento più attivo contro Hezbollah, un nemico sia di Israele che della democrazia libanese. Israele spera fortemente nello sviluppo della democrazia in Libano, per poter stringere un accordo di pace con il suo governo. E per ora, Israele si accontenta del minore dei mali: la presenza di una forza di pace che possa evitare un attacco immediato da parte degli Hezbollah”.

Finora, tuttavia, Unifil non ha impedito a Hezbollah di riarmarsi. Cosa potrebbe fare di più?
L’Unifil si muove in base a delle regole di ingaggio classificate: quindi non si possono conoscere a fondo. Sappiamo però che Unifil agisce in una porzione di territorio molto limitata nel Libano del Sud. Mentre le operazioni di Hezbollah si estendono anche alla valle della Bekaa e altre regioni del Libano. Sappiamo inoltre che l’implementazione della Risoluzione 1701 è interamente nelle mani dei libanesi, i quali hanno le loro ragioni per non scontrarsi con gli Hezbollah. Prima di tutto, dunque, occorre sensibilizzare l’Onu. E mi sembra che l’Onu sia già in parte sensibilizzata. E’ lo stesso Ban Ki-moon a constatare con preoccupazione il riarmo degli Hezbollah. Ed è consapevole che la vera polveriera del Medio Oriente ormai è il Libano: il confine israelo-libanese è diventato il confine avanzato dell’Iran, vista la presenza di un movimento, quale Hezbollah, che risponde direttamente a Teheran.

Ma sarebbe possibile mutare le regole della missione Unifil?
Israele ha consegnato tutti i dati nuovi all’Onu. Ha dimostrato che, con queste regole di ingaggio, i caschi blu non sono riusciti a disinnescare la miccia di un possibile conflitto. Dobbiamo rispettare, prima di tutto, il lavoro dei nostri uomini, l’élite del nostro esercito. Essi hanno agito benissimo. Se, il mese scorso, non hanno potuto far nulla contro uomini armati che portavano un carico d’armi, come abbiamo saputo due giorni fa, è solo perché hanno dovuto rispondere a ordini superiori. E’ umiliante per tutti vedere che non possono affrontare il pericolo vero, che è costituito da Hezbollah. Noi dovremmo chiederci anche: ma il Libano, che cosa vuole fare di se stesso? Il premier Fouad Siniora ha ripetuto più volte che il problema è Israele. Io credo che queste siano delle prese di posizioni politiche, comprensibili data la minaccia al suo governo. Ma non rispondono alla realtà. Il pericolo è costituito da Hezbollah, l’unica forza che potrebbe scatenare un conflitto. Israele non ha mai agito contro il Libano, se non per motivi di difesa. Quindi sarebbe il caso che qualcuno inizi a parlare ai libanesi e chieda loro che intenzioni hanno, se vogliono vedere crescere al loro interno la forza iraniana e siriana. L’Italia potrebbe parlare con il Libano, con cui mantiene ottimi rapporti.

Nel frattempo non corriamo il rischio che i nostri caschi blu vengano attaccati da Hezbollah?
Al momento non ci sono segnali concreti di pericolo. Gli articoli e gli avvertimenti contro Unifil sono il solito atteggiamento di Hezbollah, rimasto immutato dall’inizio della missione fino ad oggi. Il loro è un punto di vista estremista e antioccidentale. Non c’è nulla di che stupirsi. Il livello di minaccia è lo stesso da quando abbiamo messo piede in Libano. Se le intenzioni di Unifil sono buone, cioé mantenere la pace in Medio Oriente, prima di tutto va riconosciuta la pericolosità di Hezbollah. E questa è una scelta politica e morale molto importante. Recentemente mi sono confrontata in televisione con D’Alema. Il ministro degli Esteri è convinto che noi dobbiamo essere neutrali tra Hezbollah e Israele. Io non condivido affatto questo punto di vista. Noi non possiamo essere neutrali. Non perché siamo lì a difendere Israele, ma perché moralmente e politicamente parlando dobbiamo saper distinguere tra una democrazia che segue delle regole simili alle nostre e un movimento che impiega il terrorismo suicida. Siamo lì a dividere due paesi che sono in guerra, ma dobbiamo sapere che la guerra è scoppiata per colpa degli Hezbollah. E la chiave del problema è: riconoscere apertamente questa colpa.

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