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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera -L'Opinione - La Repubblica Rassegna Stampa
12.12.2007 Al Qaeda nella terra del Maghreb
due analisi fondate sui fatti, e una che non lo è

Testata:Corriere della Sera -L'Opinione - La Repubblica
Autore: Guido Olimpio - Bernardo Valli - Stefano Magni
Titolo: «Il gruppo salafita punto di coesione nel Nordafrica - Una minaccia per l'Europa - Intervista a Gianandrea Gaiani / Perché Al Qaeda ha colpito ad Algeri»

Dal CORRIERE della SERA del 12 dicembre 2007, l'analisi di Guido Olimpio sull'attentato dell'11 dicembre in Algeria:

WASHINGTON — Le ultime reclute qaediste assomigliavano a una squadra di calcio. Quattordici uomini, sui trent'anni. E la loro passione, prima che scoccasse l'ora della Jihad, era il pallone. Si trovavano spesso dentro un piccolo stadio dove giocavano e parlavano. Poi hanno dato l'ultimo calcio al pallone e si sono uniti ai terroristi di «Al Qaeda nella terra del Maghreb». Forze fresche per la nuova ondata di attacchi, decisa — sembra — dal contestato leader Abdel Malik Droukdel. Con loro sono arrivati anche dei giovani militanti, arruolati nei villaggi a sud della capitale. Molti non hanno ancora 18 anni, ma sono già pronti per andare incontro alla morte. Uno di loro — un quindicenne — è stato impiegato in settembre in un attacco suicida contro una caserma: la sua età ha tratto in inganno le sentinelle che non lo hanno fermato.
Con questa falange eterogenea, il gruppo ha reagito all'offensiva delle forze dell'ordine.
Da settembre a oggi il suo gruppo ha perso molti pezzi importanti. Il tesoriere Abu Yahia, l'emiro di Algeri Abu Bassir, l'uomo delle comunicazioni Abu Abderrahamane, incaricato di montare i video con le operazioni e inviarli ad Al Jazeera. Sono stati eliminati anche numerosi responsabili militari e diverse cellule smantellate. Perdite rese ancora più gravi dalla contestazione nei confronti di Droukdel. Alcuni luogotenenti lo hanno messo in discussione criticando la sua scelta di fondere il movimento con Al Qaeda seguita dal ricorso ai kamikaze. Svolta oltranzista che ha accresciuto l'isolamento politico della banda. Ad ottobre si è diffusa la voce della sua destituzione (il suo posto sarebbe stato preso da Ahmed Haroun): una notizia confusa, forse legata alla guerra di propaganda delle autorità per provocare contrasti tra gli integralisti.
La risposta non si è fatta attendere ed è stata spietata. Le bombe richiamano il piano elaborato qualche mese fa da Droukdel. 1) La fazione deve diventare il punto di riferimento regionale per gli integralisti in Nord Africa. 2) C'è totale sintonia con Al Qaeda-centrale (ossia quella di Osama) alla quale ha giurato fedeltà. 3) Il disegno politico da nazionale diventa transnazionale. 4) Gli attacchi devono essere condotti nei centri urbani e portare i segni incontrovertibili del qaedismo: operazioni multiple, uso di kamikaze, obiettivi simbolici (come le Nazioni Unite), nessuna garanzia per i civili. Una svolta che avvicina molto i qaedisti locali a quanto fatto da Al Zarqawi in Iraq dopo il 2003. Tra le prime azioni del tagliatore di gole ci fu proprio un attentato contro la sede Onu a Bagdad e ieri gli estremisti algerini lo hanno copiato. Secondo l'intelligence il prossimo passo è quello di convincere i volontari partiti per combattere con la resistenza in Iraq a tornare in Patria. In Algeria c'è una battaglia in corso, eppure la causa irachena è più popolare. Droukdel ha lanciato un appello ai «ghazis », i cavalieri sacri, affinché si mettano a disposizione del suo gruppo. Una manovra seguita dal reclutamento di elementi stranieri. Tra le file di Al Qaeda nel Maghreb vi sono tunisini, marocchini, maliani e mauritani addestrati in campi mobili creati nell'area sahariana.
Il successivo passo, temuto negli ambienti della sicurezza, è un attentato contro istituzioni straniere. L'ideologo qaedista Al Zawahiri, in settembre, ha esortato i mujaheddin algerini a espellere spagnoli e francesi. Un invito interpretato come un ordine ad attaccare gli europei ovunque sia possibile.

Da L' OPINIONE, l'analisi di Gianandrea Gaiani, intervistato da Stefano Magni:

Due forti esplosioni, hanno devastato il centro di Algeri ieri mattina. La prima autobomba, guidata da un attentatore suicida (secondo il ministero degli interni algerino) è stata fatta detonare nel quartiere universitario di Ben Aknoun, nei pressi della sede della Corte Suprema algerina. Ha ucciso un gran numero di studenti e anche bambini di dodici anni, travolti dall’esplosione mentre si recavano a lezione a bordo di uno scuolabus. Dopo dieci minuti è esplosa la seconda autobomba, nei pressi della sede dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, l’Acnur. Secondo il ministero degli interni algerino, il bilancio complessivo è di 22 morti (tra cui 12 impiegati e funzionari dell’Onu) e 177 feriti. Al Qaeda ha rivendicato l’attentato nel pomeriggio stesso, ma la sua “firma” era evidente sin da subito: ieri era l’11 dicembre e il giorno 11 è diventato una drammatica costante nella scelta dei giorni per gli attentati della rete islamica del terrore. Come interpretare questo nuovo atto di terrorismo dell’organizzazione di Bin Laden? Ne abbiamo parlato con l’esperto militare Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa.

Dottor Gaiani, perché Al Qaeda ha deciso di colpire in Algeria?
Era un attentato annunciato da tempo. Il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, affiliato ad Al Qaeda, dichiarava da tempo di voler colpire il governo algerino e la presenza nel paese di interessi internazionali che lo sostengono. Algeri sta conducendo azioni militari contro i campi di addestramento dei Salafiti.

Al Qaeda ha anche colpito l’Onu, ma perché proprio l’Alto Commissariato per i Rifugiati?
Difficile che si possa pensare ad un’azione mirata contro l’Acnur, che in Algeria si occupa soprattutto dei profughi Saharawi, provenienti dall’ex Sahara occidentale, regione secessionista del Marocco. L’Acnur non è certo stato colpito perché gestisce i campi profughi nel Sud del paese, ma in quanto agenzia delle Nazioni Unite che, da quanto si è visto anche quattro anni fa (l’attentato contro la sede dell’Onu a Baghdad nell’agosto del 2003), sono nel mirino di Al Qaeda. L’Onu non è allineato con gli Stati Uniti, né con l’Occidente in generale, ma è sempre “presenza internazionale”, un’istituzione che riconosce un governo algerino giudicato illegittimo e blasfemo perché non segue i precetti coranici fino in fondo.

Un partito affiliato ai Fratelli Musulmani è parte integrante del governo algerino e negli ultimi anni sono state proclamate molte leggi religiose. Questo non basta a renderlo legittimo agli occhi dei terroristi islamici?
Non è mai stato sufficiente, soprattutto da quando il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (Gspc) ha sostituito il Gia (Gruppo Islamico Armato) nella conduzione delle azioni armate contro il governo di Algeri. Per gli estremisti islamici del Maghreb, qualsiasi partito, anche di ispirazione islamica, che collabori con il governo di Algeri, viene considerato come traditore. Il Gspc è favorevole solo alla lotta armata, non ha mai accettato alcuna proposta di negoziato.

L’attività di Al Qaeda è sempre più visibile nel Maghreb, un fronte che sino a poco fa era ignorato. Come si spiega?
Qui da noi si è sempre parlato poco delle attività terroristiche nel Sahara e nel Maghreb, ma non è mai stato un fronte secondario. I rapporti dell’intelligence americana riferiscono già da anni che il 25% dei terroristi che si fanno esplodere sotto la bandiera di Al Qaeda in Iraq, provengono dal Nord Africa. Sempre l’intelligence statunitense ha individuato un trasferimento massiccio di Al Qaeda dai campi in Iraq e in Siria a quelli del Sahara nordafricano. Proprio perché la pressione sulla Siria è forte e in Iraq il controllo americano è sempre più intenso. I fatti dicono chiaramente che la pressione terroristica sull’Iraq sta scemando, anche perché Iran e Siria non hanno più così tanto interesse a rischiare un confronto con gli Stati Uniti e, nonostante le loro attività, la Coalizione in Iraq è riuscita ad ottenere ugualmente una serie di brillanti successi sul campo. Il territorio desertico nordafricano, invece, offre garanzie migliori al terrorismo, perché si tratta di aree scarsamente popolate, con aree immense difficilmente controllabili e confini che esistono solo sulla carta.

I governi locali, inoltre, hanno scarso controllo del territorio: si pensi alla Mauritania, all’Algeria meridionale, al Mali... Gli Stati Uniti, subito dopo l’11 settembre, hanno avviato l’operazione Trans-Sahara Counter Terrorism Initiative, una piccola “Enduring Freedom nordafricana” che vede coinvolti una decina di paesi del Maghreb. Gli Americani forniscono non solo armi, ma anche consiglieri militari e addestramento nelle attività di anti-terrorismo e i governi locali rispondono dando agli Stati Uniti la disponibilità di basi per le forze speciali. Non dimentichiamo che uno degli scopi fondamentali di tutta l’Operazione Enduring Freedom consiste proprio di impedire ad Al Qaeda di insediarsi in un nuovo territorio, dopo che è stata sloggiata dall’Afghanistan alla fine del 2001. Noi, di solito, siamo attenti alle grandi campagne, come l’Iraq e l’Afghanistan, ma la strategia statunitense sfugge nel suo complesso. L’offensiva etiope in Somalia e le operazioni in Nord Africa, servono a impedire che alcune zone africane diventino dei veri e propri emirati di Al Qaeda. Il terrorismo sta reagendo a questa strategia.

Se Al Qaeda colpisce di più in Nord Africa e meno in occidente, vuol dire che è più debole? O che ha cambiato la scelta dei suoi obiettivi per motivi politici e ideologici?
La strategia vincente contro Al Qaeda è quella adottata dagli Stati Uniti: portare il fronte lontano dai nostri confini. La guerra contro il terrorismo inizia con l’attacco alle Torri Gemelle, mentre adesso si sviluppa con attentati di più ridotte dimensioni in Iraq, in Medio Oriente e nel Nord Africa. Questo non ci mette al riparo da atti di terrorismo eclatanti anche dalle nostre parti: le bombe a Madrid e a Londra sono ancora vive nella nostra memoria. Non credo, quindi, che Al Qaeda abbia deciso di non toccare più l’Occidente. Credo però che, colpire una città europea o americana, sia ora molto più difficile. Mentre organizzare un attentato ad Algeri con due autobombe è, per loro, molto più semplice.


Su La REPUBBLICA Bernardo Valli trae dall'attentato la conclusione che saranno le "società islamiche", da lui apparentemente confuse con i regimi,  a  sconfiggere il fondamentalismo islamico.
Dimenticando che attentati per abbattere regimi "laici" come quello di Bouteflika non sono certo una novità.
E dimenticando  le responsabilità  soriche del Fln algerino nell'ascesa del fondamentalismo (corruzione,  fallimento economico, abolizione degli spazi di dissenso e confronto democratico, diffusione della stessa propaganda d'odio che alimenta l'incendio fondamentalista: reponsabilità non dissimili da quelle di Fatah nell'ascesa di Hamas).
Ecco il testo:

Quando il terrorismo colpisce e insanguina l´altra sponda del Mediterraneo, l´Europa non può che sentirsi minacciata. E´ come se il soffio delle esplosioni facesse tremare le porte di casa. Anche perché l´imponente flusso migratorio, legale o clandestino, accomuna sempre più il destino dei paesi affacciati sullo stesso mare, e gli intensi scambi del mondo globale accorciano, anzi bruciano le distanze.
Il vivere tutti in «tempo reale» ci coinvolge nella stessa paura. E non ci fa mai del tutto estranei ai drammi, al dolore altrui. I due attentati, che ad Algeri hanno fatto decine di morti, hanno accentuato un timore non certo nuovo.
Hanno rianimato i ricordi delle stragi di Istanbul, di Casablanca, di Madrid, di Londra, oltre a quelle più recenti avvenute sempre ad Algeri.
Accresce il malessere il fatto che gli autori del massacro di ieri abbiano agito - cosi sembra - sotto l´insegna di Al Qaeda. Un´insegna probabilmente soltanto simbolica, poiché, come si ripete da tempo, più che una vera e propria organizzazione, con una gerarchia precisa capace di muovere ovunque le sue truppe, Al Qaeda sarebbe una nebulosa, in cui si inseriscono «idealmente», conservando la propria autonomia, vari gruppi di diversa origine e nazionalità, orgogliosi di poter usare quel marchio, per noi sinistro e per loro prestigioso. Si suppone persino che i terroristi di Algeri abbiano agito il giorno "undici" per evocare l´11 settembre di New York.
La strage di Algeri sollecita tuttavia un altro sentimento, che direi più giusto, più razionale, di quello suscitato dal timore che il terrorismo trabocchi sulla nostra sponda. Mi riferisco alla dovuta solidarietà nei confronti di un paese, di una società, che nel passato decennio ha sconfitto l´ondata integralista, vale a dire ha vinto una guerra civile, che poteva concludersi con la nascita di un´Algeria islamista. E allora sì che l´Europa sarebbe stata concretamente minacciata. Con gli emiri sgozzatori della jihad, nella sua versione magrebina, al potere ad Algeri, a due passi da noi, l´intera area del Mediterraneo avrebbe cambiato faccia.
Coloro che continuano a uccidere sono i resti del dannato passato in cui decine di migliaia di algerini furono massacrati. I meandri della storia recente di quel coraggioso paese restano in larga parte inesplorati. La giusta politica «di riconciliazione» promossa dal presidente Bouteflika ha cercato di cancellare le ferite della guerra civile. Ma è stato come stendere un velo su un mare di sangue, e su tante vendette irrisolte. L´essenziale è tuttavia che un popolo caparbio, orgoglioso, non facile da domare (come ben sanno i colonizzatori francesi sconfitti), dopo essersi lasciato affascinare da un islamismo presentatosi come rivoluzionario, come un´alternativa a un socialismo arabo fallimentare, ha saputo respingere la sinistra utopia dell´islamismo. E ha restaurato un sistema politico, non certo basato su una democrazia esemplare, ma in cui i partiti non possono richiamarsi alla religione. Questo sta a dimostrare che il vero argine all´islamismo terrorista sono le stesse società musulmane.
I recenti attentati in Algeria, anche se non tutti rivendicati, stando agli esperti, sono stati promossi e attuati da quella che si autodefinisce l´"Ala delle rete Al Qaeda nel Maghreb". La quale un tempo si chiamava "Gruppo salafita per la predicazione e la lotta", formato negli ultimi anni Novanta da dissidenti estremisti del Gruppo islamico armato. Il Gia della guerra civile. La genealogia del terrorismo ci riporta sempre a quell´epoca. L´adesione ufficiale ad Al Qaeda degli algerini, contrari alla politica «di riconciliazione», è stata annunciata lo scorso anno, in occasione dell´anniversario dell´11 settembre, da Ayman Al Zawahiri, vice di Osama Bin Laden, cioé numero due di Al Qaeda. L´emiro algerino del Gruppo salafita, Abu Mussab Abdel Wadud, ha risposto subito, il giorno dopo, con una lettera solenne, impegnandosi a seguire Osama Bin Laden «fino al martirio». I motivi che lo spingevano a questa obbedienza «erano conformi al Corano e alla tradizione del Profeta». L´unione, sia pure ideale, tra gli algerini alla macchia e Al Qaeda sarebbe avvenuta dopo lunghe trattative e sarebbe stata favorita dalla guerra in Iraq, dove si è formata o rafforzata l´internazionale terrorista.
Gli islamisti non costituiscono più un´alternativa all´attuale Repubblica. Ma fanno ancora proseliti. E nonostante le perdite subite, il loro movimento clandestino è in grado di lanciare operazioni e attentati che esercito e polizia non riescono a impedire. Essi sono abbastanza forti per avvelenare l´esistenza di uno dei più ricchi paesi africani. Grazie al petrolio e al gas (del quale l´Italia è uno dei principali consumatori) l´Algeria ha il prodotto interno lordo più importante del continente, dopo quello del Sudafrica. Conosce anche una travolgente natalità. Un algerino su tre ha meno di quindici anni. E gli adolescenti rappresentano la più grande risorsa per il terrorismo.
L´8 settembre un attentato-suicida contro una caserma di guardie costiere, a Dellys, sul litorale a Est di Algeri, ha fatto trenta morti. Il kamikaze è risultato essere un ragazzo di quindici anni. Si chiamava Nabil Belkacemi, e aveva come nome di guerra quello di Abu Mussab al-Zarqawi, ex capo di Al Qaeda in Iraq. A convincerlo a sacrificarsi sarebbe stato l´imam di una moschea della periferia d´Algeri, per questo finito in carcere. La polizia continua a scoprire adolescenti implicati in azione terroristiche, dopo avere seguito corsi in campi clandestini di addestramento. Pagati 20 o 30 euro (2000 o 3000 dinari) per ogni operazione, quei ragazzi vengono battezzati con nomi di "martiri" sacrificatisi in Afganistan e in Iraq. E se non diventano kamikaze funzionano come informatori. Per avere svolto questa attività tredici adolescenti, tra i 14 e i 16 anni, sono stati condannati il 23 settembre a tre anni di carcere con la condizionale. E poi affidati agli psicologi.


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