domenica 28 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Giornale - Il Foglio - La Stampa - L'Opinione Rassegna Stampa
05.12.2007 Sull'atomica iraniana Israele non abbassa la guardia
le analisi di Fiamma Nirenstein, Rolla Scolari, Francesca Paci e Stefano Magni

Testata:Il Giornale - Il Foglio - La Stampa - L'Opinione
Autore: Fiamma Nirenstein - Rolla Scolari - Francesca Paci - Stefano Magni
Titolo: «Israele: La Cia sbaglia Gli ayatollah avranno l'atomica entro il 2009 - Il fronte israeliano - Israele: pronti a fare da soli - Iran nucleare, la Cia se ne lava le mani»

A pagina 14 Il GIORNALE del 5 dicembre 2007 pubblica l'analisi di Fiamma Nirenstein:

Gerusalemme - «Devastante»: a Gerusalemme così definiscono, anche se sottovoce, la pubblicazione del rapporto delle agenzie di intelligence americane, secondo cui l’Iran fermò il progetto atomico nel 2003. La nazione minacciata di morte da Ahmadinejad ad ogni emissione di fiato è molto preoccupata, anche se il premier Olmert dice che col presidente Bush si era già concordato, proprio sulla base del nuovo rapporto, che sia «vitale intensificare gli sforzi per prevenire l’Iran dallo sviluppare il potere nucleare», e assicura: «Seguiteremo a farlo con i nostri amici americani». Ehud Barak ha accusato il colpo più realisticamente: «Se anche l’Iran avesse arrestato per un certo periodo il programma nucleare, oggi sappiamo che l’ha ripristinato, e parliamo di una parte del programma a cui l’intelligence americana non ha accesso, checché ne dicano i servizi dei nostri antichi alleati».

Anche molti capi militari, come Ghiora Eiland, pensano che se gli Usa recedono dal loro ruolo di testa di ponte per la durezza delle sanzioni e soprattutto «se la deterrenza di un possibile attacco militare alle installazioni - dice Eiland - non permarrà, la bomba sarà pronta ben prima che ci si aspetti».

Il messaggio ha acquistato subito lo status di una presa di posizione politica: questo per Israele risulterebbe devastante in senso addirittura fisico, dato che come è noto la bomba ha un suo obiettivo preferito, Israele e il popolo ebraico. Ci sono due possibilità: o i servizi segreti, e non sarebbe la prima volta, hanno deciso di affossare la politica di Bush, oppure sta vincendo quella che potremmo individuare come la linea di Condi Rice. L’idea, in questo secondo caso, è quella espressa dai ben otto viaggi di Condi in Medio Oriente alla ricerca del consenso arabo che ha permesso la conferenza di Annapolis per creare un’aureola pacifista all’amministrazione. Questo, alla faccia di chi crede che la lobby ebraica guidi la politica americana.

Se si va a leggere lo stesso rapporto, esso in ogni caso non dichiara affatto un cessato allarme: prevede infatti che, anche se nel 2003 c’è stata un’interruzione probabilmente dovuta a pressioni politiche, l’attività è probabilmente ripresa in siti nascosti, così da promettere l’arma atomica per un periodo fra il 2009 e il 2015. Previsioni distanti di poco più di un anno da quelle israeliane, che invece prevedono che Ahamadinejad avrà l’arma nucleare nel 2009. Inoltre il rapporto stesso dice che nel 2006 fu ripresa la costruzione di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, e che nel 2007 c’è stato un grosso salto in avanti con l’attività della centrale di Natanz. Quanto alle intenzioni politiche dell’Iran, il rapporto non incita affatto a non esercitare pressioni: al contrario, prevede che solo una vera svolta politica fermerà l’Iran dalle armi nucleari. Si insiste nel dire che è molto difficile avere informazioni precise, perché probabilmente Ahmadinejad lavora in siti coperti.

Una volta stabilito dunque che nel documento non c’è scritto che l’Iran non è più pericoloso, resta il rischio molto verosimile che esso invece venga interpretato in questo modo specie dall’Europa e in particolare dall’Italia. Il senso di mancanza di responsabilità a favore di un comodo appeasement può risolversi nel materializzarsi della bomba nel 2010 nelle mani di uno stato integralista, irresponsabile, genocida, sostenitore di Hamas e degli hezbollah, capace, infine, di ricattare il mondo intero con la minaccia di spingere il bottone rosso.
Ma le novità di questi giorni hanno un risvolto psicologico enorme: Israele, se mai dovesse decidere che la sua vita ormai è esposta a un pericolo estremo e si avviasse a colpire le strutture atomiche khomeiniste, potrebbe trovarsi completamente sola.

Dalla prima pagina del FOGLIO

Gerusalemme. Israele era già al corrente delle nuove stime dell’intelligence americana sul programma atomico iraniano. Secondo il rapporto reso pubblico lunedì scorso, Teheran avrebbe congelato nel 2003 il proprio programma, ma non l’arricchimento dell’uranio. Le informazioni contraddicono precedenti documenti dei servizi segreti degli Stati Uniti secondo cui, dopo un temporaneo arresto nel 2003, i lavori atomici iraniani sarebbero poi ripresi nel 2005. Il premier israeliano, Ehud Olmert, e il ministro degli Esteri, Tzipi Livni, conoscevano da alcuni giorni le informazioni. Funzionari americani li avevano infatti messi al corrente dei risultati poche ore dopo il termine della conferenza internazionale sul medio oriente, tenutasi ad Annapolis, nel Maryland, il 27 novembre. Israele prende nota, ma per il paese, avvertono dall’ufficio del primo ministro, non cambia nulla: Teheran e i suoi piani atomici rimangono il pericolo numero uno: “La minaccia dell’Iran nucleare non deve esser sottovalutata”, ha detto il premier Olmert. Al contrario, ha aggiunto, il rapporto americano enfatizza la necessità d’imporre ulteriori sanzioni economiche al regime pericolante ma pericoloso degli ayatollah. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, concorda solo in parte con le nuove informazioni dell’intelligence americana: conferma infatti una pausa del programma iraniano nel 2003, ma sostiene che si sia trattato di un’interruzione soltanto temporanea. Secondo i servizi segreti – spiega – Teheran sta ancora portando avanti tutti i suoi piani e non soltanto quelli per il nucleare civile. Del resto Mahmoud Ahmadinejad, il presidente iraniano, durante le sue arringhe ha già promesso più volte davanti a microfoni e telecamere di voler cancellare Israele dalla cartina geografica e per il governo Olmert, l’opposizione e l’intero establishment politico israeliano il regime di Teheran resta la maggior minaccia strategica per il paese. “Questa è esattamente una di quelle questioni sulle quali Israele non può permettersi di prendere rischi”, ha detto il ministro delle Infrastrutture, Benjamin Ben Eliezer, alla notizia del nuovo rapporto dell’intelligence americana. Ephraim Kam, vicedirettore del Jaffee Center for Strategic Studies ed esperto di questioni strategiche, ritiene che queste nuove stime americane siano state una sorpresa per Israele, nonostante Olmert e Livni siano stati messi a conoscenza del rapporto giorni fa. “Ridurranno le possibilità di un’operazione militare americana contro l’Iran – dice al Foglio Kam – e anche per Israele sarà più difficile agire”. Le informazioni appena rilasciate potrebbero rafforzare la posizione russa e cinese nei confronti del dossier nucleare iraniano: i due governi potrebbero fare leva sul rapporto per opporsi alle sanzioni. Mosca e Pechino sono sempre state ritrose sulla questione dell’assedio economico contro Teheran, chiesto invece a gran voce da Stati Uniti e Gran Bretagna. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha da poco sostenuto che non ci sono abbastanza prove dell’esistenza di un programma atomico iraniano in stadio avanzato. Ora trova una sponda di legittimità nella Cia. A breve termine, la prima conseguenza del rapporto d’intelligence americano sarà la maggior fatica nei negoziati antinucleari. Potrebbero essere rallentati gli sforzi americani e britannici per convincere il resto della Comunità internazionale a imporre un terzo pacchetto di sanzioni all’Iran, che intanto sfrutta il momento favorevole per continuare l’arricchimento dell’uranio su scala industriale e che ieri ha dato un ovvio benvenuto alle nuove stime dei servizi americani. Il rischio è un congelamento degli sforzi internazionali, spiega al Foglio Jonathan Spyer, esperto d’Iran e minacce strategiche al Centro interdisciplinare d’Herzeliya. “Israele manterrà le sue posizioni. Se la comunità internazionale si ritira dal dossier iraniano, il paese rimarrà isolato. Di certo, intraprenderà una campagna per convincere il resto del mondo della gravità della minaccia nucleare iraniana”. Ricorda però Spyer che il nuovo rapporto non dice che l’Iran non otterà l’atomica o non ha più intenzione di farlo; al contrario spiega che Teheran potrebbe sviluppare armi nucleari. Siamo di fronte a un cambio di grado, non di genere”.

Da pagina 15 della STAMPA, un articolo di Francesca Paci:

Sarà pur vero, come dice l'amico americano, che l'Iran è meno pericoloso oggi di 4 anni fa, ma Israele non ha intenzione di abbassare la guardia. «Anche a costo di difenderci da soli»: parola del ministro della Difesa Barak.
Il rapporto del National Intelligence Estimate (NIE), l'intelligence statunitense, che data la sospensione del programma nucleare di Teheran alla fine del 2003 riducendone la minaccia, giunge a pochi giorni dalla conclusione del vertice di Annapolis, da cui la Repubblica degli ayatollah era stata intenzionalmente esclusa. Più delle buone intenzioni di pace con i palestinesi, Israele aveva portato a casa dal Maryland la convinzione di aver messo a segno un punto importante contro l'Iran, spiazzato dalla partecipazione annunciata dei Paesi arabi e da quella inaspettata della Siria. Il nuovo studio americano spariglia le carte e rinforza il timore israeliano che Washinghton possa, a un certo punto, imboccare una strada geopolitica autonoma rispetto all'alleato storico.
I contenuti del rapporto erano noti a Gerusalemme. «Si sapeva tutto dall'estate, Olmert ne ha parlato ad Annapolis con Bush», osserva Meir Javedanfar, analista di origine iraniana. Un conto però sono gli 007, altra cosa se le carte diventano pubbliche e rafforzano il presidente iraniano Ahmadinejad, già pago d'essersi fatto fotografare al summit di Doha, lunedì, a braccetto con il re saudita Abdullah, partner «moderato» d'Israele al tavolo della Road Map.
«Nonostante il rapporto del NIE la Casa Bianca non diminuirà la pressione su Teheran», afferma il premier israeliano Ehud Olmert, citando le garanzie offerte da George W. Bush. E comunque, se anche la posizione americana si ammorbidisse «Israele applicherà ogni sforzo necessario, con o senza alleati, per prevenire lo sviluppo delle armi nucleari iraniane». Su questo la Knesset fa quadrato: «Non ci facciamo abbindolare dalla diplomazia internazionale», dice il ministro delle infrastrutture Ben Elyezer.
«Può darsi che nel 2003 Teheran abbia interrotto il suo piano militare», ammette il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak. Ma a distanza di quattro anni, aggiunge, i reattori hanno ripreso a lavorare: «Anche noi abbiamo la nostra intelligence e ci risulta che il programma nucleare è ripreso alla grande, gli scienziati iraniani potrebbero realizzare la bomba già nel 2010». Secondo Barak «il rapporto americano è stato realizzato in una condizione di grande incertezza». In parte, probabilmente, rispecchia i dubbi della Casa Bianca, alle prese con il caos iracheno e poco propensa a un'ulteriore opzione militare. Ma Israele, insiste Barak, è pronto ad andare avanti «anche da solo».
«Adesso sarà molto più difficile che gli Stati Uniti attacchino l'Iran, finisce la stagione degli ultimatum e ne inizia una di negoziati», nota Meir Javedanfar. Non è escluso, insinua, che dietro il rapporto ci sia Teheran: «Sono stati gli 007 degli ayatollah a diffondere informazioni sulle armi chimiche di Saddam e indirizzare la guerra americana dove a loro serviva».

Da L'OPINIONE, l'analisi di Stefano Magni:

Israele appare più sola che mai: da Washington sta arrivando il chiaro messaggio che l’atomica iraniana non è più un’emergenza da affrontare urgentemente. La pietra dello scandalo è la pubblicazione del nuovo rapporto del National Intelligence Council (la cinghia di trasmissione tra l’intelligence e la politica) “Iran: Nuclear Intentions and Capabilities”, contenente inedite analisi sulla capacità e le intenzioni nucleari dell’Iran che contraddicono le stime pubblicate sino al 2005. Tuttavia il documento dell’intelligence non invita affatto a sottovalutare il pericolo costituito dall’Iran, contrariamente alla sua eco nei media internazionali, dove si incomincia a paragonare la questione nucleare iraniana alle “inesistenti” armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Se letto senza lenti pregiudiziali, l’unica differenza sostanziale tra il rapporto divulgato due giorni fa e il suo predecessore del 2005, riguarda la stima sulle reazioni dell’Iran. Se nel 2005 l’intelligence era convinta che l’Iran fosse del tutto non influenzabile dalla comunità internazionale, ora il dato nuovo è che nel 2003 (da notare: l’anno della guerra in Iraq), proprio a causa della pressione internazionale, il regime di Teheran avrebbe sospeso il suo programma nucleare militare.

La lezione che si può trarre è: le sanzioni (e le minacce concrete) possono funzionare. Ma ciò non esclude che, in questi stessi mesi, Teheran possa riprendere il suo programma nucleare. E anche l’affermazione che il programma sia stato effettivamente sospeso nel 2003 è fondata su ipotesi, giudicate “molto attendibili”, ma pur sempre ipotesi. Su quest’ultimo punto, i redattori del rapporto 2007 non riescono a fornire alcuna risposta definitiva. Si limitano a sostenere che l’Iran ha continuato ad arricchire uranio (utile anche per fabbricare armi nucleari) e che una bomba atomica potrebbe essere pronta in un periodo di tempo molto vago che va dal 2009 al 2015. Riassumendo, fino al 2005 l’intelligence americana dichiarava “l’Iran è un pericolo nucleare”, mentre adesso si corregge con un “forse l’Iran è un pericolo nucleare”. Sebbene il rapporto del National Intelligence Council (Nic) fornisca poche informazioni certe, il danno politico che sta provocando a Israele è immenso. Perché di tutte le informazioni e stime contenute nelle otto scarne pagine del documento, sta passando un solo messaggio: non è prioritaria la difesa di Israele da una possibile minaccia di distruzione nucleare.

Il governo Olmert ha immediatamente reagito, spiegando che il pericolo iraniano è ancora concreto e che, semmai, seguendo le indicazioni del Nic, occorre inasprire le sanzioni per scongiurarlo. La stessa risposta è stata fornita più tardi dal presidente George W. Bush: l’Iran resta un pericolo e le sanzioni funzionano. Il ministro della difesa Ehud Barak, laburista, ha espresso un parere che enfatizza alcune delle conclusioni dell’intelligence americana: “L’Iran sta probabilmente continuando il suo programma per costruire una bomba atomica” - è stato il suo primo commento, aggiungendo che il rapporto del Nic è stato redatto “in un clima di grande incertezza”. Barak ha assicurato che l’opzione militare contro l’Iran continuerà ad essere presa in considerazione e non si è pronunciato sul possibile cambiamento della politica estera americana: “non è il nostro lavoro fare stime di questo tipo in merito alla posizione americana. Il nostro dovere è di parlare il meno possibile. Le parole non fermano i missili”. In compenso, contemporaneamente, è proprio l’Iran di Ahmadinejad a presentarsi come il vincitore della partita.

Dopo essere stato escluso dalla conferenza di pace di Annapolis, il presidente della Repubblica Islamica è tornato a fare la voce grossa, iniziando a chiedere un risarcimento: “Gli Americani ci hanno messo molta pressione e hanno manipolato l’opinione pubblica mondiale contro di noi” - ha dichiarato ieri il suo portavoce Gholam-Hossein Elham - “con le loro accuse prive di fondamento. E quindi devono pagare un prezzo per questo. Il mondo intero sa che l’Iran non ha fatto neanche un passo contro il diritto internazionale e che tutti i siti nucleari sono monitorati dall’Aiea”. Quindi: “Gli Stati Uniti devono rivedere la loro posizione”. Poi Ahmadinejad, sempre nella giornata di ieri, è passato direttamente alle accuse contro l’Onu e contro le sanzioni internazionali, dichiarando che: “Nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu alcuni membri godono di speciali privilegi, dato che decidono simultaneamente le incriminazioni, agiscono come pubblica accusa, emettono un verdetto come un giudice e godono di piena immunità”. E quindi: “Il sistema in vigore nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu è un simbolo di ingiustizia, i cui effetti colpiscono il mondo intero”.

Come è stato possibile che l’intelligence americana, con la sua politica di comunicazione pubblica, abbia messo in dubbio le conclusioni precedenti e fornito un alibi così forte ad Ahmadinejad? Il corrispondente del quotidiano israeliano Haaretz, Amir Oren, è convinto che si tratti, non di una svolta nella politica estera americana (che è ben poco prevedibile), quanto di una lite tutta interna a Washington, tra la Cia e la Casa Bianca. Secondo Oren, il significato politico del rapporto del Nic sarebbe: “Se il presidente George W. Bush e il vice-presidente Richard Cheney insistono col portare il paese in guerra contro l’Iran, è un loro diritto democratico, sempre che riescano ad ottenere l’approvazione del Congresso. Ma non possono illudersi di compiere questa scelta sulla base delle stime investigative della Cia. L’Iraq non si ripeterà più”. La Cia, in pratica, si starebbe comportando come Ponzio Pilato: se ne vuole lavare le mani. L’importante è salvare la faccia dopo la brutta figura fatta in Iraq prima della guerra, per la quale si è presa il grosso della colpa. “La Cia è così offesa con Bush” - conclude Amir Oren - “che è pronta a entrare in conflitto con il presidente, per aiutare un altro presidente. Non Ahmadinejad, perché Dio lo proibisce, ma il prossimo inquilino della Casa Bianca. Ma probabilmente il risultato sarà l’opposto di quanto previsto: una politica fortemente rivoluzionaria dell’Iran e una forte determinazione di Bush e Cheney ad agire, nonostante quel che dicono le agenzie di intelligence”.

Per inviare una e-mail alla redazione del Giornale, del Foglio  della Stampa e dell'Opinione cliccare sul link sottostante


lettori@ilgiornale.it
lettere@ilfoglio.it
lettere@lastampa.it
diaconale@opinione.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT