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Il Foglio - L'Opinione Rassegna Stampa
03.09.2007 Se Hollywood combatte contro l'America
campagna cinematografica per perdere la guerra in iraq

Testata:Il Foglio - L'Opinione
Autore: Giuliano Ferrara - Stefano Magni
Titolo: «A quanto pare il cinema si è molto rincretinito - Hollywood tradisce i GI’s»
Segnaliamo ai lettori l'editoriale di Giuliano Ferrara del 3 settembre 2007, dalla prima pagina del FOGLIO "A quanto pare il cinema si è molto rincretinito", sui film antiamericani al Festival del cinema di Venezia

Da l'OPINIONE del 31 agosto 2007, un articolo sullo stesso tema:


Ne vedremo delle belle nelle nostre sale cinematografiche, nei prossimi mesi. Vedremo soldati americani che stuprano una ragazzina irachena e, già che ci sono, sterminano anche tutta la sua famiglia. Vedremo un povero chimico egiziano che viene rapito e torturato dalla Cia in una località segreta. Vedremo un soldato americano che, tornato a casa, viene torturato e ucciso da altri militari americani perché sapeva troppo dei crimini commessi in Iraq. Insomma: saremo invasi da film di propaganda islamica prodotti dai regimi più anti-occidentali della Lega Araba, dagli Iraniani, dalla Tv palestinese contro l’odiato nemico infedele? No? No: sembra incredibile, ma le trame di cui sopra non sono quelle di film arabi e islamici, ma la sintesi delle prossime grandi produzioni di Hollywood.

Proprio oggi, alla 75^ edizione della Mostra Cinematografica di Venezia, verrà presentato il primo e più atteso prodotto di questa nuova campagna propagandistica alla rovescia: “Redacted” di Brian De Palma (mica un Micheal Moore qualsiasi!), sul massacro della famigliola irachena. Sempre a Venezia sarà proiettato anche “In the Valley of Elah”, con un cast di prima schiera (Tommy Lee Jones, Susan Sarandon e Charlize Theron), sull’omicidio del soldato “che sapeva troppo”. Ma non saranno gli unici: è già prevista e attesa l’uscita, nei prossimi mesi, di “Emerald City” di Paul Greengrass, tratto da “Imperial Life in the Emerald City” di Rajiv Chandrasekaran, giornalista di origine indiana, molto prudente quando si trattava di intervistare figure vicine al regime di Saddam, ma coraggiosissimo nel condannare la Coalizione. E poi è in arrivo un film di cassetta, diretto da Robert Redford e interpretato da Tom Cruise e Maryl Streep, questa volta contro la Guerra in Afghanistan: “Lions for Lambs”. E infine “Rendition” (rapimento), anche questo un film di cassetta con un cast di prima scelta (il premio Oscar Reese Witherspoon e il pluri-decorato Jake Gyllenhaal) sul rapimento del chimico egiziano (ogni riferimento ad Abu Omar è puramente casuale?).

E’ un caso che passerà alla storia, perché è la prima volta in assoluto che Hollywood si schiera apertamente contro l’esercito americano quando una guerra è ancora in corso. Durante la II Guerra Mondiale tutti i registi americani sostennero attivamente il morale delle truppe, degli ufficiali così come dei singoli GI's (coscritti). Stesso dicasi per la Guerra di Corea e anche per la Guerra del Vietnam: prima di vedere film critici sulle guerre asiatiche combattute dagli Americani si deve attendere il 1979 (quattro anni dopo la fine della guerra) con “Apocalypse Now” e addirittura la seconda metà degli anni ‘80 per assistere alle prime vere e proprie condanne contro l’intervento militare (“Lettere dal Vietnam”, “Vittime di guerra”, “Platoon” e “Full Metal Jacket”), nessuna delle quali, però, oltrepassa i limiti della propaganda esplicita anti-americana. Ora la priorità è abbattere il morale delle truppe? E per quale motivo? Gli episodi reali di eroismo di singoli soldati americani non mancano. La causa per cui combattono gli Americani (portare la libertà a popoli sottomessi da dittature e combattere i terroristi che minacciano le vite dei cittadini americani) potrebbe essere abbastanza nobile da ispirare intere saghe. Eppure chi mostra eventi che non mettono in cattiva luce gli Americani (come Greengrass con “United 93” o l’Oliver Stone di “World Trade Center”) viene accolto con un po’ di scetticismo e tanta ostilità dei critici, mentre passa solo il messaggio puramente anti-americano.

Viene da chiedersi se non sia definitivamente tramontata la mitologica “lobby ebraica” di Hollywood odiata da Marlon Brando e Mel Gibson a vantaggio di una nuova, ricchissima, potente, lobby araba. Ma non si può trarre questa conclusione, perché i Sauditi hanno più interesse a condizionare un ambiente politico-diplomatico e a penetrare negli istituti universitari tramite associazioni a loro vicine, per ottenere condizioni vantaggiose, mentre non si lanciano in un campo estraneo alla loro cultura quale il cinema. Teheran ha già invitato con tutti gli onori l’attore Sean Penn, ma non ha la forza di cambiare la testa ai cineasti di Hollywood. La realtà sotto gli occhi di tutti è che i critici, i registi e i produttori hollywoodiani sono proprio convinti che il nemico è a Washington e che nelle prossime elezioni alla Casa Bianca non deve più risiedere un presidente repubblicano. E’ fin incredibile leggere l’intervista rilasciata al quotidiano Guardian da Jerry Sherlock, direttore della New York Film Academy, che dichiara: “Penso che (l’uscita di questi film, ndr) sia una gran cosa, perché i film influenzano la gente. La verità ci rende liberi, dopo tutte le balle (sic!) che ogni giorno ci vengono raccontate da Washington, da Cheney...”. La loro foga anti-repubblicana è tale da attaccare anche la minoranza dei mormoni, sinora rispettata o trascurata, con un film ad hoc contro di loro (“September Dawn”, su un massacro avvenuto ben 150 anni fa, quando una comunità di mormoni attaccò una carovana di coloni) proprio nel momento in cui Mitt Romney, mormone, si presenta come uno dei più papabili candidati di destra. Stiamo a vedere se la battaglia politica dei cineasti sarà condivisa e premiata anche dal pubblico e (l’anno prossimo) dagli elettori americani.

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