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Il Foglio - L'Opinione Rassegna Stampa
24.07.2007 L'islam che ha vinto in Turchia è davvero moderato ?
perché Erdogan resta un'incognita

Testata:Il Foglio - L'Opinione
Autore: la redazione - Stefano Magni
Titolo: «Il mistero Erdogan - Un’incognita chiamata Erdogan»
Dal FOGLIO del 24 luglio 2007:

Un islam di governo, risorgente e incravattato. Il premier Tayyip Erdogan straripa nel paese che ospitò il califfato, leader di una Turchia dove si ammazzano i preti, è vietato girare in tonaca e la laicità è instrumentum regni a disposizione di un’élite illuminata che si ritrova al potere l’islamismo moderato cosiddetto. I giornali occidentali sono pieni di titoloni sulla vittoria dell’“islam moderato”. Strana definizione per Erdogan, virtuoso che si vanta di non bere e fumare, sposato a una donna orgogliosa dell’hijab e che crede che “non si può essere sia musulmani sia laici”. Erdogan ha paragonato la democrazia a un tram, “la prendi quando ti serve e poi, arrivato dove volevi andare, ne scendi”. L’islam moderato turco, se esiste, deve far luce su don Santoro e i martiri di Malatya, i cristiani “incaprettati”, legati mani e piedi dietro la schiena, e sgozzati. Prima di meritarsi il titolo di “moderato”, Erdogan deve dire che fa causa comune con i non musulmani contro il negazionismo islamista. Deve ricevere il Papa all’aeroporto. Essere orgoglioso del generale che chiuse gli harem, abolì la poligamia, adottò il calendario gregoriano e l’alfabeto latino, bastonò l’islamismo califfale e installò una Costituzione che ancora oggi rassicura noi “infedeli”. Deve onorare la passione occidentalista di Atatürk, uno dei più grandi statisti del XX secolo. Ha ragione il filosofo Roger Scruton quando dice che gli europei possono trattare con loro soltanto se usano il metodo kemalista contro la nuova mullahcrazia.

Da L'OPINIONE

Il partito islamico turco, l’Akp, ha stravinto le elezioni, come previsto: ha ottenuto il 46,4% dei voti conquistando 340 dei 550 seggi della Grande Assemblea Nazionale, il parlamento monocamerale turco. Erdogan può così formare un governo monocolore. E tutti sono soddisfatti, sia in patria (dove è la prima volta dagli anni ‘60 che si viene a creare una maggioranza di governo così stabile) che all’estero: i mercati finanziari hanno reagito positivamente all’esito delle elezioni di domenica (+5% nella Borsa turca), così come tutti i principali capi di Stato occidentali, dal Vaticano all’Unione Europea. Romano Prodi si è complimentato con l’omologo turco che promette riforme, unità nazionale e il mantenimento della laicità della Turchia. Complimenti anche dai vecchi nemici greci: il premier Costas Caramanlis ha dichiarato che il successo dell’Akp è una “vittoria per la democrazia”.

Eppure tante “cassandre” stanno incrociando le dita e temono che il secondo mandato di Erdogan realizzi l’incubo di una Turchia islamizzata. Le incognite sono almeno quattro. La prima è: chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica? Dopo aver ritirato la candidatura di Abdullah Gul, Erdogan ha accettato di trattare con l’opposizione laica e di proporre una nuova lista di papabili anche al Chp, il secondo partito turco. Tuttavia, Erdogan non aveva ancora ottenuto un successo così strepitoso nel momento in cui adottò questo atteggiamento moderato. Un politico islamico eventualmente eletto alla presidenza della Repubblica, per la prima volta nella storia contemporanea turca, avrebbe la possibilità di trasformare radicalmente il paese, non ponendo più il veto a tutte le proposte di legge (come quella contro l’adulterio) che erano state bocciate dal suo predecessore, nominando un nuovo capo di Stato Maggiore dell’esercito, nuovi rettori nelle università, nuovi diplomatici e membri dell’alta corte. “Si pensa che una presidenza dell’Akp, abbinata con un governo dello stesso partito, possa drammaticamente mutare l’equilibrio del potere interno alla Turchia” rileva l’analista israeliano Heymi Bahar, del Global Research of International Affairs.

Secondo: gli affari esteri della Turchia sinora sono stati gestiti in base agli interessi dei militari. I pilastri delle alleanze con Israele e gli Stati Uniti sono stati garantiti dai militari turchi e dalla loro inimicizia nei confronti dei regimi arabi e islamici. Un nuovo equilibrio di potere potrebbe cambiare questa attitudine, come dimostra anche il recente accordo (che risale appena al 19 luglio scorso) tra il governo di Ankara e il regime di Teheran per la fornitura di 30 milioni di metri cubi di gas. Alle immediate proteste di Washington, Erdogan ha risposto che la Turchia non ha alcun bisogno di un permesso statunitense per stipulare un accordo “promettente” con l’Iran. Terzo: Erdogan promette in effetti che l’azione del governo non avrà nulla a che spartire con gli affari religiosi. Ma in Turchia, come fa rilevare il dissidente iraniano Amir Taheri, l’Islam è rimasto sinora così moderato proprio perché è lo Stato laico che controlla le moschee, l’attività dei loro imam, il contenuto ogni singolo testo religioso e persino l’identità di ogni pellegrino che si reca alla Mecca. Una separazione di Stato e moschea porterebbe paradossalmente alla soluzione meno auspicabile: un minor controllo sull’Islam turco e una maggior libertà di azione delle fondazioni e delle organizzazioni più radicali.
Infine, ma non meno importante, è il timore che Erdogan possa aver dissimulato un pensiero islamico radicale con una politica solo superficialmente laica. Si teme che l’attuale premier fosse sincero nel momento in cui sosteneva “Grazie a Dio sono per la legge islamica”, oppure: “non si può essere laici e musulmani al tempo stesso”.

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