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Il Giornale - L'Opinione Rassegna Stampa
18.07.2007 La pericolosa apertura di D'Alema ai terroristi di Hamas
i commenti di Livio Caputo e Stefano Magni

Testata:Il Giornale - L'Opinione
Autore: Livio Caputo - Stefano Magni
Titolo: «A braccetto coi terroristi - D'Alema contro Al Fatah»
Dal GIORNALE del 18 luglio 2007, l'editoriale di Livio Caputo:

«È sbagliato regalare ad Al Qaida movimenti come Hamas ed Hezbollah. Hamas si è reso protagonista di atti terroristici, ma è anche un movimento popolare: per l'Occidente non riconoscere un governo eletto democraticamente, magari mentre andiamo a braccetto con qualche dittatore, non è una straordinaria lezione di democrazia». Se Massimo D'Alema ripetesse queste parole, buttate là quasi casualmente durante una festa dell'Unità a San Miniato, nel corso del suo odierno incontro con il plenipotenziario del «Quartetto» Tony Blair, ci troveremmo di fronte a un gravissimo - e per quanto ci risulta, non concordato - strappo nella politica estera italiana, a una fuga in avanti che non solo ci pone al di fuori delle nostre alleanze tradizionali, ma rinnega addirittura gli impegni solennemente assunti dal governo italiano quando Hamas vinse le elezioni palestinesi e costituisce un autentico schiaffo per Israele, dove Prodi si è appena recato in visita ufficiale.
La cosa è tanto più grave, in quanto fu proprio l'Italia, durante il suo ultimo semestre di presidenza dell'Unione Europea, a chiedere e ottenere che Bruxelles includesse Hamas nell'elenco delle organizzazioni terroristiche. Per soprammercato, la dichiarazione dalemiana contiene un'autentica bestialità: che Al Qaida possa infiltrarsi in Hamas è perfettamente possibile, tant'è vero che lo stesso Abu Mazen ha già denunciato la sua presenza a Gaza; ma che ci possa essere un accordo tra l'organizzazione di Osama Bin Laden, severa custode dell'ortodossia sunnita, e Hezbollah, una struttura rigidamente sciita che prende i suoi ordini da Teheran, è pura fantapolitica a uso dei militanti diessini.
Bisogna dire che l'uscita di D'Alema non costituisce proprio un fulmine a ciel sereno: con la sua famosa passeggiata di Beirut a braccetto di un esponente di Hezbollah durante la guerra del Libano aveva indicato chiaramente a chi vanno le sue simpatie in quella parte del mondo; le sue continue punture di spillo nei confronti di Israele lo hanno già messo più volte in rotta di collisione con la comunità ebraica italiana; e, nei giorni scorsi, sia lui, sia - un po' a sorpresa - Piero Fassino, avevano espresso riserve sulla opportunità di incardinare il processo di pace esclusivamente sul presidente Abu Mazen e su Fatah, cercando di isolare Hamas e il suo «feudo» di Gaza. Per questo, Fassino era stato anche attaccato da Piero Ostellino sul Corriere della Sera , cui ha ritenuto dovere rispondere con un articolo piuttosto capzioso che il quotidiano milanese gli ha tuttavia doverosamente pubblicato in prima pagina.
Solo con le parole di lunedì, tuttavia, il nostro ministro degli Esteri ha varcato il Rubicone. Se esse rappresentano la nuova linea italiana, significa che: 1) primi assoluti al mondo, rinneghiamo la linea ufficiale adottata concordemente da Usa, Ue, Russia e Onu, che nessun rapporto deve essere intrattenuto con Hamas fino a quando non rinuncia alla violenza, riconosce formalmente Israele e accetta tutti gli accordi già conclusi tra lo Stato ebraico e l'Anp; 2) che ci dissociamo dalla iniziativa appena lanciata da Bush di una Conferenza di pace comprendente Israele, il legittimo governo palestinese, la Giordania, l'Egitto e l'Arabia Saudita, ma con l'esclusione di Hamas; 3) che facciamo finta di ignorare che Hamas si è impadronita di Gaza con un sanguinoso golpe, e perciò si è messa da sola fuori legge pur avendo vinto le elezioni; 4) che, infine, vogliamo andare contro anche gli altri Paesi arabi, oggi tutti concordi nel ritenere che Hamas rappresenta un pericolo per la stabilità della regione che va isolata con un cordone sanitario.
Per completare l'opera, D'Alema non propone neppure una alternativa valida (forse perché non ce ne sono). Che cosa si propone di negoziare con i fondamentalisti, fino a quando questi si rifiutano perfino di riconoscere il diritto di Israele all'esistenza? Non ha ancora imparato che l'unico modo di ottenere qualcosa in Medio Oriente è da posizioni di forza, e che cambiare ora la linea del Quartetto significherebbe l'ennesima resa all'estremismo e alla violenza? Non si rende conto che l'unico a plaudire alla sua iniziativa è stato il campione di tutti i nostri nemici, Oliviero Diliberto? Non c'è davvero male per il ministro degli Esteri di un governo in agonia: l'unica consolazione è che, nelle capitali che contano, nessuno gli darà retta.

Da L'OPINIONE, l'analisi di Stefano Magni:

Hamas sarebbe un “Movimento terrorista, ma anche popolare, che rappresenta tanta parte del popolo palestinese”: colpiscono queste affermazioni del Ministro degli Esteri D’Alema pronunciate alla Festa dell’Unità di San Miniato lo scorso 16 luglio. Hamas sarebbe una forza voluta dal popolo? A parte la contraddizione di un partito totalitario “popolare” (anche Hitler, seguendo lo stesso criterio, visto che fu eletto nel 1933, potrebbe essere definito “popolare”?), a Gaza Hamas ha conquistato il potere con la forza, dopo sette mesi di guerriglia metropolitana, rifiutandosi di affrontare le elezioni anticipate chieste dal presidente Abu Mazen il 15 dicembre 2006. Elezioni che il partito islamista avrebbe molto probabilmente perso. Infatti Hamas, soprattutto a causa della sua politica religiosa estremamente repressiva, aveva già bruciato buona parte del consenso palestinese conquistato negli anni precedenti con una forte campagna moralizzatrice contro la corruzione dell’Autorità Palestinese.

Hamas, insomma, ha ripetuto la strategia di un partito che D’Alema conosce molto bene: quello bolscevico di Lenin che, vista la mala parata elettorale, sciolse con la forza l’Assemblea Costituente e prese definitivamente il potere nel gennaio del 1918.
Con questa strategia la democrazia c’entra ben poco. Hamas, nella sua conquista del potere, non ha badato al rispetto dei diritti dei Palestinesi. Secondo la denuncia di Human Rights Watch, non solo molti militari fedeli ad Al Fatah sono stati passati per le armi dopo che si erano arresi, ma nel corso dei combattimenti del golpe di Gaza anche centinaia di civili inermi sono stati usati come scudi umani, non sono stati rispettati neppure i feriti e gli ammalati (con gli ospedali occupati e usati come basi) e i Palestinesi non musulmani sono stati perseguitati. I cristiani, in particolar modo, hanno dovuto subire il saccheggio e la devastazione di chiese, scuole e asili.

Secondo D’Alema “La comunità internazionale deve evitare che movimenti come Hamas e Hezbollah possano finire tra le braccia di Al Qaeda”. Dovremmo dunque turarci il naso nel nome di una strategia del “divide et impera”? Niente affatto, perché, stando allo stesso presidente palestinese Abu Mazen, è proprio Hamas che sta facendo da apripista ad Al Qaeda. Il primo a complimentarsi per la vittoria golpista del partito islamista a Gaza è stato Al Zawahiri, leader ideologico della rete del terrore. Sul piano formale il premier di Hamas, Haniye, ha rinnegato il sostegno dichiarato di Al Zawahiri e anche la liberazione del giornalista Johnston della BBC viene fatta passare come vittoria di Hamas su Al Qaeda. Ma le parole di Abu Mazen, pronunciate il giorno prima del suo incontro con Romano Prodi, non lasciano spazio a dubbi: “Il movimento di Hamas protegge Al Qaeda e le sta permettendo di infiltrarsi nella striscia di Gaza”. D’altra parte sia Hamas che Al Qaeda condividono la stessa visione radicale sunnita dell’Islam, lo stesso disegno strategico per la rinascita di una nazione islamica unita. “Il fondamento profetico è il messaggio del profeta Maometto: l’Islam entrerà in ogni casa e si diffonderà in tutto il mondo” affermava l’ex ministro degli esteri di Hamas, Al Zahhar, lo scorso 25 marzo. E il portavoce parlamentare del partito islamista, il 20 aprile scorso pronunciava pubblicamente questa preghiera: “Rendici vittoriosi sugli infedeli.

Allah, sconfiggi gli Ebrei e i loro alleati, sconfiggi gli Americani e i loro alleati, contali e uccidili tutti fino all’ultimo uomo, non lasciarne vivo nemmeno uno”. Questa ideologia comune di Hamas e Al Qaeda, tra l’altro, demolisce un altro dei cardini della politica estera dalemiana: sedersi attorno a un tavolo con forze estremiste e armate come Hamas. Sono proprio i movimenti islamisti che non hanno mai accettato la trattativa. Il partito islamico palestinese non ha mai accettato gli accordi di Oslo del 1993 e solo il 9 aprile scorso, il portavoce ufficiale di Hamas dichiarava che: “Libereremo la Palestina, tutta la Palestina. E la Palestina non sarà liberata con negoziati, comitati e decisioni politiche, ma solo con il fucile e con i razzi Qassam”. E anche sul quotidiano di partito Al Risalah, il 23 aprile scorso, si poteva leggere chiaramente una difesa ad oltranza della strategia della violenza: “Abbiamo sentito più di una volta condanne o denunce contro le operazioni di resistenza armata e le bombe di Hamas e delle altre branche della resistenza palestinese.

Tutti devono sapere che noi commettiamo questi atti perché è il nostro Signore a comandarli, non li commettiamo secondo la nostra volontà. E il popolo deve sapere che lo sterminio degli Ebrei è un bene per gli abitanti del mondo”. Le dichiarazioni di D’Alema che legittimano Hamas (che tuttora rientra nella lista nera europea delle organizzazioni terroristiche) sono solo il frutto di un macroscopico errore di percezione? Il momento in cui sono giunte fa pensare piuttosto a una scelta politica ben precisa: il giorno stesso, infatti, il presidente Bush proponeva una conferenza di pace per il Medio Oriente che escludesse i movimenti estremisti. Pur di dare addosso all’“alleato” di Washington, D’Alema ha fornito una legittimazione non richiesta al movimento di Hamas, abbandonando anche i tradizionali alleati della sinistra italiana: i Palestinesi “laici” e “progressisti” (e le virgolette sono d'obbligo) di Al Fatah, eredi di Arafat.

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