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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - L'Opinione - Il Foglio Rassegna Stampa
06.05.2007 La crisi libanese
Hamas si schiera, la Siria sostiene Fatah al Islam , il mondo giudica con un criterio diverso da quello usato per Israele

Testata:La Stampa - L'Opinione - Il Foglio
Autore: Aldo Baquis - Stefano Magni - la redazione
Titolo: «Hamas a Beirut: state lontani dai campi - Libano, il conflitto si estende ancora - Due campi e due misure»
Hamas interviene nella crisi libanese. Schierandosi di fatto con Fatah Al Islam.
Dalla STAMPA del 5 giugno 2007, la cronaca di Aldo Baquis:

Tradizionalmente poco incline ad occuparsi di questioni estere, il governo di Ismail Haniyeh ha fatto ieri uno strappo alla regola e ha lanciato un accorato appello al governo libanese perché congeli ogni ulteriore operazione militare diretta contro i campi profughi palestinesi a Nahr el-Bared (nel Libano nord) e a Ain al-Hilwe (nel Sud). Hamas, in un documento separato, ha poi accusato l’Olp di essere rimasta in questa circostanza colpevolmente passiva e di essersi lasciata «trascinare verso soluzioni estremistiche proposte da alcune forze libanesi». La crisi in Libano, secondo l’Anp, va infatti risolta mediante la ricerca di una soluzione pacifica che «difenda il prestigio dell’esercito libanese e offra protezione per tutti i civili palestinesi e libanesi».
La determinata presa di posizione palestinese è stata innescata dall’estendersi dei combattimenti in Libano che nelle ultime due settimane sono costati la vita a oltre 40 militari, 20 civili e 60 miliziani del gruppo integralista Fatah al-Islam. Nella notte fra domenica e lunedì un’altra milizia islamica, Jund al-Sham, ha attizzato un nuovo focolare di violenza ingaggiando battaglia con l’esercito libanese ad Ain el-Hilwe (Sidone). In questi scontri si sono avuti 4 morti e una decina di feriti. Hamas ha biasimato l’esercito libanese per il suo intervento in quel campo profughi «visto che c’erano stati solo problemi trascurabili, interni». Gli accordi di Taif (con cui nel 1989 fu suggellata la guerra civile libanese) definiscono lo status dei campi profughi palestinesi e ieri, secondo Hamas, l’esercito libanese ha creato «un pericoloso precedente» che non dovrà ripetersi.
Nel frattempo ieri l’esercito libanese era messo a dura prova anche a Nahr el-Bared. Quel campo profughi è ormai diviso in tre settori: uno controllato dall’esercito, uno dai miliziani di Fatah al-Islam e il terzo da civili palestinesi protetti da miliziani di al-Fatah. In serata i combattimenti sono ripresi con grande intensità. Un’esplosione ha devastato un autobus nel rione cristiano di Baushrye. Secondo un primo bilancio sette passeggeri e passanti sono rimasti feriti. Si ingora per il momento chi possano essere i responsabili dell'attentato.
Mentre dunque la opinione pubblica palestinese palpita per la sorte dei connazionali coinvolti nei confronti armati in Libano, nella striscia di Gaza prosegue - sia pure a ritmo ridotto - il confronto con l’esercito israeliano. Nella mattinata una quindicina di blindati israeliani sono penetrati per circa due chilometri nella striscia di Gaza, accompagnati da ruspe, forze di terra ed elicotteri. «Era un’operazione di routine» ha spiegato più tardi a Tel Aviv un portavoce militare.
Per alcune ore i soldati israeliani, spintisi nelle vicinanze di Rafah, hanno interrogato numerosi palestinesi, mentre le ruspe era impegnate a livellare la zona. Nel primo pomeriggio sono rientrati in territorio israeliano. La reazione di Hamas si è manifestata con il lancio di colpi di mortaio, per il secondo giorno consecutivo, contro il valico di Erez, fra Gaza ed Israele.

Da L'OPINIONE, l'analisi di Stefano Magni sull'estensione del conflitto in Libano, e sul ruolo della Siria:

Da due settimane si temeva l’apertura di un secondo fronte dei combattimenti in Libano. Sin dai primi giorni di lotta attorno al campo profughi di Nahar el Bared, tra l’esercito regolare libanese e la milizia di Fatah al Islam, anche un’altra milizia in odore di Al Qaeda, Jund al Sham, concentrata nel campo profughi palestinese di Ain al Halwa (presso Sidone), aveva dato chiari segni di ostilità. Prima era stato proclamato uno sciopero generale nel campo, poi le milizie avevano diffuso un comunicato contro il governo libanese, accusato di essere parte di una vasta cospirazione cristiana anti-islamica. Alla fine, come era prevedibile, ieri sono scoppiati i primi combattimenti. Secondo fonti della difesa libanese, nella notte tra domenica e lunedì un miliziano di Jund al Sham ha lanciato una bomba a mano contro un check point dell’esercito regolare. Dopo l’esplosione è iniziato lo scontro a fuoco vero e proprio, proseguito fino alla mattina di ieri. Due soldati regolari sono stati uccisi, altri tre sono feriti, poi i due gruppi islamici coinvolti (non solo Jund al Sham, ma anche Usbat al Ansar) e i regolari hanno concordato un cessate il fuoco grazie alla mediazione delle fazioni palestinesi del campo profughi.

Ma questo breve scontro potrebbe essere solo l’inizio di un’escalation. Perché in altri due campi profughi palestinesi, quello di Rashidiye e quello di Burj al Shamali, nei pressi di Tiro (dunque molto vicino al contingente italiano della missione Unifil), i guerriglieri si stanno “scaldando”, presidiando gli ingressi con squadre armate. I piani di azione di Fatah al Islam erano molto più estesi di quanto non si possa immaginare. In quanto cellula di Al Qaeda, anche il gruppo “libanese” puntava al megaterrorismo: secondo il quotidiano An Nahar, il gruppo stava pianificando attentati contro le ambasciate occidentali e soprattutto mirava a distruggere il tunnel di Shekka, che collega Tripoli a Beirut, in modo da isolare il Nord del Paese e tentare di prenderne il controllo. Sia prima che dopo i combattimenti attorno a Nahr el Bared, il gruppo integralista si è “limitato” a far esplodere autobombe nei quartieri cristiani di Beirut. Probabilmente se non fossero scoppiati accidentalmente gli scontri con l’esercito regolare libanese, Fatah al Islam sarebbe diventata un’insidia molto maggiore.

Ma il tempismo con cui questi gruppi hanno agito ha dell’incredibile: i primi scontri sono scoppiati mentre presso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si ricominciava a discutere sull’istituzione del Tribunale Penale Internazionale per il processo sul caso Hariri, l’ex premier assassinato nel febbraio del 2005. L’estensione del conflitto avviene in questi giorni, proprio all’indomani della costituzione del Tribunale. E da qui la vecchia domanda: la Siria sta dirigendo gli scontri in Libano, come accusano i gruppi dell’opposizione libanese? Il regime di Assad ne avrebbe tutto l’interesse, in modo da ostacolare l’inchiesta sull’omicidio di Hariri che a sua volta farebbe emergere realtà troppo scomode, al punto da mettere in crisi la sopravvivenza stessa dell'apparato di sicurezza di Damasco. Tuttavia il mondo dell’intelligence tende ad escludere la responsabilità siriana e dal 2002, gli Stati Uniti considerano il Paese come un alleato nella guerra contro Al Qaeda. La tesi che è alla base di questo atteggiamento è: il regime di Assad è laico, nemico degli integralisti islamici (basti pensare al massacro dei Fratelli Musulmani a Hama) e nel caso specifico di Fatah al Islam, ha fucilato quattro dei suoi esponenti. Tuttavia sono tanti i casi storici in cui il regime di Damasco si è alleato con gruppi integralisti sunniti. E la mente militare di Hamas (emanazione diretta dei Fratelli Musulmani), Khaled Meshaal, è a Damasco.

E vi sono precedenti di esecuzioni di membri dei gruppi integralisti alleati. L’analista Walid Phares, riassume la possibilità di un’alleanza stretta fra Siria e gli integralisti di Al Qaeda che operano in Libano, in tre termini arabi: Khid’a (illusione), Taqiya (dissimulazione) e Darura (necessità). In base al primo principio, tutti i legami diretti sono tenuti in modo informale e non documentato. In base alla dissimulazione, sia il regime che il suo alleato negano l’alleanza. Il principio della necessità fa sì che due gruppi tradizionalmente nemici possano allearsi contro un nemico comune, giudicando molto più immediato e grave il pericolo costituito da quest’ultimo. E così, gli integralisti di Fatah al Islam e degli altri gruppi islamisti condannano il regime nazionalista siriano, i suoi alleati sciiti e gli "apostati" sunniti, ma per necessità (combattere contro il governo libanese e poi eventualmente contro Israele) accettano l’appoggio di una potenza esterna “meno nemica”. Il regime siriano è ancor più in stato di necessità: deve tassativamente allontanare il momento della sua crisi (che potrebbe scoppiare sull’onda del processo Hariri) portando il disordine fuori dai suoi confini.

Dal FOGLIO un editoriale sui due pesi e due misure usati per giudicare la lotta di Iasraele contro il terrorismo e quella di un governo arabo:

L’assedio libanese a Nahr el Bahred continua e inizia ora la battaglia anche nel campo palestinese di Ain el Hilweh. Non sono scene nuove, i due campi sono stati assediati da Hezbollah già nel 1983, quando Arafat vi ritornò, dopo la fuga da Beirut. A Tell al Zatar, palestinesi e siriani, nel 1975, fecero un migliaio di morti. Di Sabra e Chatila si sa tutto. Si sa anche, ma non si dice, che i feddayn, quelli di Arafat ieri e quelli di al Qaida oggi, praticano una cinica tattica, unica al mondo: usano i civili come scudo. Non si può sconfiggerli, se non uccidendo innocenti. Quando lo fa Israele il mondo grida indignato, quando lo fanno soldati arabi, come oggi, come a Tell al Zaatar, come a Sabra e Chatila, il politically correct finge di non accorgersene o sposta l’attenzione. Ma perché esistono ancora campi palestinesi impiantati 60 anni fa, ormai unici al mondo di quel periodo? La risposta è semplice e non riguarda Israele: perché i paesi arabi rifiutano di dare la cittadinanza ai palestinesi, com’è invece avvenuto per tutti gli altri profughi del mondo. Non i libanesi, non i ricchi sauditi, non gli emirati. “La nostra arma saranno i profughi”, disse Nasser, e così è stato: i campi sono serbatoi di disperazione e di reclutamento mantenuti al servizio ieri dell’Olp e oggi della Siria e di Osama. Chi pretende che Israele debba accogliere i rifugiati guardi a Nahar el Bahred e ad Ai el Hilweh: capirà perché Nasser parlava di arma dei profughi e perché per Gerusalemme il problema è irrisolvibile e non solo dal punto di vista demografico.

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