lunedi` 29 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Foglio - L'Opinione Rassegna Stampa
08.03.2005 Natan Sharansky a Milano spiega perché il mondo arabo sarà democratico
e la fragilità delle "società della paura"

Testata:Il Foglio - L'Opinione
Autore: Amy K. Rosenthal - Stefano Magni
Titolo: «Bush è il vero dissidente perchè crede in un mondo arabo democratico - Le armi del mondo libero contro gli stati dittatoriali»
IL FOGLIO di martedì 8 marzo 2005 pubblica a pagina 2 un articolo di Amy K. Rosenthal sulle idee dell'ex dissidente sovietico, oggi ministro israeliano, Natan Sharansky.

Ecco l'articolo, "Bush è il vero dissidente perchè crede in un mondo arabo democratico":

La libertà è di tutti e quando un popolo ha l’opportunità di scegliere tra una società basata sulla paura o una società libera sceglierà la democrazia". Ne è convinto Natan Sharansky, ex dissidente dell’Unione Sovietica, rilasciato da Michail Gorbaciov nel 1986, dopo nove anni in un carcere del Kgb, oggi ministro per gli Affari della diaspora nel governo di Ariel Sharon. Con Ron Dermer,Sharansky ha pubblicato "The case of democracy"che, su esplicita ammissione dello stesso George W. Bush, è un testo di riferimento per il secondo mandato presidenziale. Nel weekend è stato ospite della Comunità ebraica di Milano: sul suo blog, Davide Romano ha raccontato la serata in compagni di questo "indomito combattente per la libertà", che "ha mantenuto intatta quella tensione morale che lo porta a collaborare con i dissidenti dei vari regimi e a confrontarsi con le audience più disparate". "Non si può mai forzare a essere libero un popolo che non lo vuole, ma è sempre possibile imporre le dittature – dice Sharansky al Foglio – Purtroppo il mondo libero non di rado appoggia i regimi, credendo di potervi trovare comodi alleati. Nel mio libro ho provato a dimostrare che le dittature sono in realtà molto deboli verso il popolo che dominano, perché consumano tutte le loro energie nel controllo delle masse. La sola cosa che il mondo libero può fare smettere di appoggiare queste società fondate sulla paura: in questo modo le dittature possono crollare da dentro senza uno sparo e senza il sacrificio di un soldato". Al primo posto, nel manifesto per la democrazia mondiale di Sharansky, c’è l’esigenza di una "moral clarity" globale: "Una società libera spesso può essere ingiusta, teatro di violazioni dei diritti umani, ma ci sono i mezzi per salvaguardarli, per esempio attraverso le istituzioni. Invece una società basata sulla paura è sempre ingiusta e noncurante dei diritti umani". I critici di Sharansky dicono che è impossibile fare una politica estera basata su un concetto etico, lui ribadisce: "Non si deve predicare la democrazia. Tutte le buone politiche sono costruite su interessi pragmatici: non ci sono differenze tra morale, valori e interessi. E’ nell’interesse della sicurezza comune coltivare la libertà degli altri. Per questo i paesi che fanno parte del mondo libero non devono sostenere i dittatori". L’"uomo giusto" è, secondo Sharansky, Bush, che "ha iniettato una robusta dose di ‘moral clarity’ nella politica internazionale, con un messaggio chiaro: la via verso la sicurezza viaggia insieme con la libertà e la democrazia". Il cammino lungo questa strada non è esente dalle grida delle Cassandre.
"Ci sono molti scettici che dicono che il mondo arabo non è adatto per la democrazia e che gli arabi non vogliono vivere liberi – spiega Sharansky – Ma, esaminando i recenti sviluppi in Iraq, in Egitto e in Libano, abbiamo visto che non è vero. Sono sicuro che questi risultati sono una diretta conseguenza del messaggio forte mandato dal presidente Bush nel discorso sullo Stato dell’Unione del mese scorso". Sharansky è convinto che "nel momento in cui ci fosse dissenso interno e solidarietà dall’esterno, gli
stati arabi cambierebbero la loro politica". E si dice certo di come "i cambiamenti che stiamo vedendo in molti di questi paesi porteranno nel mondo arabo la libertà e la democrazia, esattamente come è accaduto in altre parti del mondo". Il presidente americano è l’indiscusso liberatore del mondo arabo. Di più. Bush è dipinto come "un vero dissidente, perché spesso i leader condizionano le loro scelte al consenso popolare: i dissidenti invece vivono per le loro convinzioni". E di convinzione, Sharansky ne ha una: Bush non ha mai smesso, nonostante le critiche, di incentrare i suoi messaggi sull’importanza della democrazia come metodo per garantire pace e sicurezza. E’ necessario poi fare attenzione alle scosse dell’effetto domino: "L’abbiamo visto in Ucraina, in Egitto e durante le elezioni in Iraq: è questo ciò che accade quando un popolo è incoraggiato da un messaggio dal mondo libero, e in particolare da Bush. Sono felice che le cose stiano cambiando, perché, in questi anni, sono stato uno dei pochi a sostenere che il mondo arabo può vivere in libertà e democrazia come altri nel mondo. Ero lì a dire che ci sono sempre i dissidenti, ma nel mondo libero non li si voleva sentire e si continuava a vederli come una minaccia per i ‘friendly dictators’". A chi considera Israele la più grande minaccia alla pace nel mondo, Sharansky risponde: "E’ sempre facile ripetere i più tragici, imperdonabili e terrificanti sbagli del passato, cercando di assecondare i dittatori e di accollare ai paesi democratici tutte le responsabilità". La cosa più difficile, e che richiede coraggio, è dichiarare davvero guerra ai dittatori.
Un cronaca dell'incontro con Sharansky a Milano si trova nell'articolo di Stefano Magni "Le armi del mondo libero contro gli stati dittatoriali", che riprendiamo da L'OPINIONE on-line:
E’ facile invitare al dialogo con i dittatori rimanendo comodi, a casa propria, in un Paese democratico. La prospettiva cambia per chi, negli anni ’70, ai tempi della distensione e del dialogo con l’Unione Sovietica, era rinchiuso in un Gulag siberiano e pregava ogni giorno perché quel regime crollasse, perché il Mondo Libero cessasse di dialogare con i carnefici e tendesse una mano ai dissidenti, a chi soffriva per le proprie idee o per la propria religione. Anatolj Sharansky era una di queste vittime della repressione sovietica e dell’indifferenza occidentale: carcere duro a Lefertovo, nove anni di Gulag solo per non aver mai rinunciato alla sua identità ebraica, per essersi rifiutato di diventare un omologato "uomo sovietico". Liberato per l’intervento di Reagan nel 1986, consegnato alle autorità statunitensi a Berlino Ovest, tornato in Israele quando agli Ebrei russi era ancora proibito emigrare, tradotto il suo nome in Nathan, Sharansky è entrato a far parte più volte del governo di Gerusalemme, sia con governi laburisti che likudisti, anche come vice-premier. Nell’attuale esecutivo di Sharon è ministro per Gerusalemme e gli Affari della Diaspora. Domenica 6 marzo scorso, Sharansky era a Milano, presso la scuola della Comunità Ebraica, nell’ambito di un suo giro di visite in università e scuole dei Paesi europei. La sua è una missione che ha uno scopo pratico ben preciso: "Credo che sia giunto il momento di guardare in faccia questo nuovo nemico che sta spargendo ovunque odio nei confronti di Israele. E’ un nuovo tipo di antisemitismo, sostenuto soprattutto dai musulmani e da esponenti politici del mondo arabo. Ci sono coloro che non fanno altro che alimentare questo pregiudizio contro di noi e che coordinano i loro sforzi con i progressisti europei, con coloro, cioè, che dovrebbero difendere i diritti umani. Due giorni fa, parlavo in un’università di Amsterdam, di fronte a 300 studenti, molti dei quali di origine araba. Il discorso di presentazione era stato preparato da un giovane docente dell’università: dopo due minuti di riassunto della mia vita, mi ha chiesto come mai un ministro di un Paese che è diventato fascista e che viola i diritti umani, viene qui a parlarci della libertà. Io ho iniziato davvero a parlare di libertà: ho detto loro che vengo dall’unico Stato genuinamente libero in tutto il Medio Oriente, da uno Stato che, benché in guerra, rispetta profondamente i diritti umani".
Poco conosciuto in Europa, Sharansky è stato subito accolto a braccia aperte da Bush, il quale, dopo aver letto il suo ultimo saggio, "The Case for Democracy", gli telefonò e gli chiese: "Se Lei fosse presidente degli Stati Uniti, al mio posto, come si comporterebbe?". "Bene – gli rispose – Sappia che in una società fondata sul terrore, tutte le energie dei leader politici vengono spese per controllare i propri cittadini, per tenere sott’occhio quello che succede nel loro Paese. Questo fa sì che si debbano trovare dei nemici e che contro di essi vi sia una perpetua guerra santa. Nelle società libere, al contrario, i leader politici dipendono dai loro cittadini e quindi possono ricorrere alla guerra solo come ultima ed estrema risorsa. Le società del terrore sono per loro natura più aggressive, perché strumentalizzano l’odio e la paura, ma sono internamente molto deboli: il regime deve spendere troppe risorse per controllare la sua popolazione, tanto da impoverirsi. E’ soprattutto questo che ha permesso a noi dissidenti nell’Urss di sopravvivere così a lungo: la convinzione che, prima o poi, questa enorme macchina della repressione sarebbe andata in pezzi. Le più grandi vittorie della libertà non sono mai state ottenute con la forza delle armi. La pace e la liberazione di noi Ebrei sovietici è avvenuta solo quando il maggior rappresentante del Mondo Libero, cioè il Congresso degli Stati Uniti, ha detto a chiare lettere che non ci sarebbe stato più libero scambio con l’Unione Sovietica, se non ci fosse stata, da parte di Mosca, una libera emigrazione. E poi venne il grande discorso del presidente Reagan, in cui definiva l’Urss come l’Impero del Male: questo ci rendeva ancora più ottimisti. In carcere, da una cella all’altra, ci scambiavamo messaggi, dicendoci che il leader del Mondo Libero, finalmente ci stava aiutando".
Secondo Sharansky, molti Paesi liberi avevano prolungato l’esistenza dell’Unione Sovietica con una sconsiderata politica di "distensione". Nel ’93, la stessa Israele e gli Stati Uniti avevano ripetuto l’errore con Arafat: "Un sedicente processo di pace per cui, per promuovere la cosiddetta pace si affermò l’idea che Arafat dovesse diventare un dittatore e detenesse pieni poteri. Non dico un leader forte: no, proprio un dittatore! Mi ricordo che, all’epoca, il premier israeliano sosteneva che andasse bene che Arafat non fosse democratico, perché così avrebbe potuto combattere il terrorismo di Hamas meglio di quanto non avremmo potuto fare noi. Io ero convinto che, così facendo, avremmo solo contribuito a creare un nemico ancora peggiore, il cui potere sarebbe stato incontrollabile. Pensate a come si sono evolute le cose: è un esempio tristissimo del prezzo che si deve pagare se si vuole accettare una dittatura". Stessa analisi e stesso suggerimento anche nel caso di Abu Mazen: "Il Mondo Libero doveva far sentire la sua voce, molto chiaramente e spiegare ad Abu Mazen che un sostegno sarebbe giunto, solo ed esclusivamente in cambio di una democratizzazione". La regola da seguire con le dittature è sempre la stessa: "Tutte le volte che un regime cade è quando c’è un’alleanza fra i dissidenti che vivono al suo interno e i leader del mondo libero, un legame fra gli interessi nazionali e i diritti umani. Quando il Papa diede il suo appoggio incondizionato a Solidarnosc, la Polonia riuscì a liberarsi dal regime di Jaruzelski. Quando Reagan incominciò a sostenere i dissidenti, il regime sovietico cadde in poco tempo. Con il discorso dello Stato della Unione, Bush ha parlato soprattutto ai dissidenti nel mondo. So che molti di voi possono chiedersi dove siano tutti questi dissidenti nelle autocrazie arabe… beh, non è un caso che vi siano state massicce dimostrazioni a Beirut nei giorni scorsi. E alcuni giorni fa mi sono incontrato con alcuni dissidenti egiziani: per la prima volta si stanno organizzando in vista di elezioni, dato che Moubarak è stato costretto ad annunciarle. Non è un caso nemmeno il fatto che la Siria, per la prima volta, stia incominciando a parlare di un ritiro delle sue truppe dal Libano. Secondo me, se vogliamo davvero un processo di pace nel Medio Oriente, dobbiamo fondarlo su principi di democrazia".
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio e L'Opinione. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.



lettere@ilfoglio.it
diaconale@opinione.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT