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Il Giornale Rassegna Stampa
23.01.2023 Israele, un coro di allarmi infondati
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 23 gennaio 2023
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 23/01/2023, l'analisi di Fiamma Nirenstein.

A destra: Benjamin Netanyahu

PM Netanyahu Appoints Fiamma Nirenstein as Ambassador to Italy | Prime  Minister's Office
Fiamma Nirenstein

La piazza di Israele secondo la corrente narrativa di giornali anche importanti come il New York Times e in Italia come La Stampa di Torino o fogli ideologici come il Manifesto, protesta contro il pericolo che Israele correrebbe di abbandonare la strada della democrazia, di diventare preda di una banda di pregiudicati irresponsabili che la vogliono trasformare da un Paese multiculturale, democratico e stabile nonostante il pericolo continuo in un odioso bandito globale.  Ma questa versione dei fatti  è contraddetta da se stessa e da tutti i media israeliani e internazionali che la sostengono:  quando mai un governo tende all’autocrazia dopo una vittoria elettorale molto decisa, con dubbi sul ruolo democratico delle dimostrazioni e della libertà di espressione consentirebbe senza remora alcuna, per giorni e giorni, il ripetersi ossessivo di slogan guidati, di dotte dissertazioni di intellettuali, di cipigliose affermazioni di ufficiali ancora in carica contro il governo appena eletto? Quando mai, a memoria d’uomo, un giornalista, e ce ne sono qui a migliaia, è stato interdetto dalla sua diatriba quotidiana contro Netanyahu? Non se ne conosce il nome. È tuttavia qui è in corso una vera, non disputabile, contestazione di piazza contro i volti di questo nuovo governo, 64 seggi su 120, e contro le proposte di legge avanzate, specie quella relativa alla riforma della Corte Suprema. I motivi sono antichi, ripetuti negli anni, e in niente simili all’ispirazione di un putsch. Il giudice Aharon Barak ne promosse negli anni ‘90 una riforma che ne ha fatto l’arbitro indisputabile della vita di Israele, ed oggi fra gli altri si è levato per denunciare la presunta “catena velenosa” che porterà alla caduta dello Stato di Diritto. Ed è logico: è la sua stessa creatura che viene messa in discussione, e gli duole. È la stessa creatura che da quando il cosiddetto “Bagaz” fu da lui riformato collezionò le due caratteristiche l’hanno resa possesso definitivo di una sola parte politica, la sua, quali che siano state le vicissitudini e le alternanze del Paese: un sistema elettivo in cui “amico chiama amico” ovvero, a differenza da tutti gli altri Paesi del mondo, solo i giudici con processo non pubblico, si interessano dell’elezioni dei giudici senza doverne dar conto alla piramide politica, e in secondo luogo, hanno la possibilità del tutto irrevocabile di stabilire l’”irragionevolezza” (non meglio definita) di una legge, e quindi di cassarla. La proposta di legge del nuovo ministro della Giustizia Yariv Levin, che propone il possibile recupero a maggioranza delle leggi eliminate per motu proprio dal “Bagaz”e la scelta dei giudici secondo criteri in buona parte di proporzione politica, e comunque di trasparenza, è stata dichiarata da tutti i leader del governo precedente, da Yair Lapid, a Benny Gantz (un po' meno in realtà) un tentativo di colpo di stato autoritario. I toni esagitati non si distanziano affatto da quelli che accompagnano la campagna di odio per Netanyahu ormai da anni, che in questi giorni si sono fatti ancora più alti ottenendo l’esclusione di Arieh Deri, il leader di Shas il partito religioso sefardita, un moderato di grande esperienza politica con tuttavia una pena scontata per problemi fiscali, dal ruolo di ministro. E’ vero, il Paese ha una larga minoranza anti Bibi, che ha diritto di manifestare, e che si oppone con tutte le sue forze al ritorno nel ruolo di Primo ministro di una figura eminente, carismatica, un uomo di stato noto in tutto il mondo. Ma questa minoranza usa toni disinformati, esagerati, di piena diffamazione, molto bene accolta dai suoi nemici nel mondo, dello Stato d’Israele. Uno degli oppositori di Netanyahu è arrivato ad affermare che le elezioni alla fine contano poco: “Non vi ricordate che anche Hitler andò al potere con le elezioni”. I toni di odio sono arrivati a questa follia, dunque  il timore del consolidamento della destra al governo non ha nulla a che fare con l’idea che si possa instaurare il fascismo ma semplicemente che la sinistra venga esclusa dalla sua gestione, dalla egemonia culturale di cui ha goduto sin dai tempi di Ben Gurion. Le classi dirigenti di sinistra del Paese che con i governi di destra di Begin, poi di Sharon e infine di Netanyahu hanno sempre dovuto ingaggiare un braccio di ferro duro, sentono che la parte conservative del Paese ha adesso la possibilità di dire la sua, che davvero ha vinto le elezioni, che sta facendo nuove leggi.  Si tratta di un’aggressione alla democrazia? Non ne ha nessuna apparenza. Oltretutto, Bibi che ha già governato Israele per 11 anni plasmandone una democrazia egualitaria rispetto a etnie, scelte politiche sessuali, religiose… dovrebbe davvero essere impazzito per voler trasformare d’un tratto la sua eredità storica.

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