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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio Rassegna Stampa
06.11.2023 La truffa dell’equivalenza morale fra Hamas e Israele
Editoriale di Claudio Cerasa

Testata: Il Foglio
Data: 06 novembre 2023
Pagina: 5
Autore: Claudio Cerasa
Titolo: «La memoria da non perdere»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 06/11/2023, a pag. 1, con il titolo 'La memoria da non perdere' l'editoriale del direttore Claudio Cerasa.

ClaudioCerasa
Claudio Cerasa

Contro l'odio, nel nome di Wiesel - Moked
Elie Wiesel

Noi non dimentichiamo. Elisha Wiesel è il figlio di Marion Wiesel e del premio Nobel per la pace Elie Wiesel. Papà Elie Wiesel, per chi non se lo ricordasse, è stato prigioniero nei campi di concentramento di Auschwitz e di Buchenwald. E’ sopravvissuto alla furia nazista. E ha poi raccontato la sua drammatica esperienza in un resoconto autobiografico pubblicato nel 1958. In quelle pagine Wiesel, che ha trascorso decenni a raccontare il proprio passato per provare a trasferire ai giovani cosa vuol dire coltivare la memoria contro gli orrori dell’Olocausto, ha descritto nei dettagli l’orrore vissuto nei campi di sterminio. Elisha Wiesel, 51 anni, unico figlio di Elie, in questi giorni si è sentito in dovere di attivarsi in prima persona, spendendo anche il proprio cognome, per ricordare che impatto ha avuto l’attacco del 7 ottobre sul popolo ebraico. Due giorni fa, poco prima che una donna ebrea venisse accoltellata in casa in Francia, Wiesel jr ha scritto un appassionato articolo su Usa Today in cui ha invitato gli insegnanti di tutto il mondo a mettere a disposizione dei propri studenti il libro scritto dal padre, per provare a porsi le domande giuste su ciò che è stato ed è il male assoluto. Oggi come allora, dice Wiesel, siamo di fronte a un fenomeno drammatico, a un’ondata violenta di antisemitismo accompagnata da un’accusa secolare: gli ebrei sono malvagi perché uccidono innocenti. “Mio padre – dice Elisha – era un sionista appassionato e credeva che Israele fosse l’unica garanzia che il nostro popolo aveva contro un secondo Olocausto. Non solo ha riconosciuto la sofferenza palestinese nel suo discorso di accettazione del premio Nobel, ma ha anche sognato apertamente la pace, ospitando il dialogo tra i leader israeliani e palestinesi per accelerarne l’arrivo. Mio padre ha testimoniato al mondo che i negazionisti dell’Olocausto dovrebbero essere conosciuti per quello che sono: nemici della verità, nemici della decenza”. Il mese scorso, ricorda Wiesel, il mondo ha avuto un’anteprima dei massacri di cui Hamas è capace: i neonati sono stati uccisi, i loro corpi sono stati profanati, le donne sono state trucidate e i terroristi, scrive, “hanno tentato ancora una volta di distruggere il sogno di pace condiviso da molti israeliani e palestinesi”. Rileggere i testi del padre, dice Wiesel jr, significa denunciare la truffa dell’equivalenza, del terrore di Hamas simmetrico a quello di Israele, e significa fare qualcosa per lavorare a favore della pace. Per favore, dice ancora, informatevi sulle vittime del terrorismo di Hamas, molte delle quali ballavano per la pace, guardate i video che mostrano i bambini di Gaza a cui viene insegnato ad adorare il terrore, ascoltate le parole dei leader di Hamas che dichiarano che gli abitanti di Gaza cercano il martirio, mentre Israele lancia avvertimenti per evitare vittime civili. E ricordatevi tutto questo quando qualcuno cercherà di convincervi che esiste un’equivalenza morale tra Hamas e Israele. Qualcuno come quei professori universitari della Columbia, della Cornell e della Yale che hanno recentemente descritto gli spaventosi attacchi di Hamas come “fantastici” (Joseph Massad, che insegna Politica araba moderna alla Columbia dal 1999), come veicoli di euforia (Russell Rickford, professore di Storia alla Cornell) e testimonianza di “una giornata straordinaria” (Zareena Grewal, professoressa associata di Studi americani, etnicità, razza e migrazione a Yale). Qualcuno come quegli studenti dell’Università della Pennsylvania e di Harvard che sostengono che l’assalto omicida di Hamas sia stato “giustificato”. Wiesel, con il suo ragionamento, prova a portare di fronte agli occhi del grande pubblico una verità difficile da negare. E la verità è sotto gli occhi di tutti. Le settimane successive alla barbara invasione di Israele da parte di Hamas sono state testimoni di aggressioni fisiche contro gli ebrei in tutto il mondo e hanno ricordato ancora una volta a tutti ciò che la difesa di Israele oggi rappresenta: non solo la difesa di una democrazia libera ma la difesa del popolo ebraico in tutto il mondo (“nessun leader che sia manifestamente incapace di proteggere gli ebrei nel proprio paese dovrebbe cercare di impedire a Israele di difendersi”, ha scritto con saggezza due giorni fa il Wall Street Journal). Al suo ragionamento, Wiesel jr aggiunge un elemento ulteriore. Ricorda che suo padre ha passato una vita a coltivare la memoria offrendo ai suoi interlocutori più domande che risposte e sceglie di tentare lo stesso esperimento per smascherare tutti coloro che giocando con il nuovo antisemitismo hanno deciso di diffamare Israele accusandolo dello stesso crimine di cui sono stati vittime gli ebrei durante l’Olocausto: un genocidio sistematico. Domande per capire, domande per orientarsi, domande per smascherare i minimizzatori di un nuovo Olocausto. Primo: quando dite che la Palestina dovrebbe essere libera “dal fiume al mare”, sapete cosa significa? Sapete cosa è successo dopo il ritiro unilaterale di Israele da Gaza nel 2005? Sapete qual è l’obiettivo dichiarato di Hamas? Cosa dovrebbe fare Israele per difendere la sua popolazione prendendo atto che Hamas si nasconde dietro ai civili? E cosa accadrebbe a Israele se domani si ritirasse completamente dalla Cisgiordania, come ha fatto con Gaza? Il conflitto tra israeliani e palestinesi, conclude Wiesel, comporta forti sofferenze da entrambe le parti. Ma se vogliamo andare avanti, è necessario riconoscere la storia di chi ha offerto la pace, di chi l’ha rifiutata e di chi oggi, dietro formule generiche, dal fiume al mare, non combatte per affermare la presenza di due popoli e due stati. Ma combatte per eliminare un paese dove vive circa la metà della popolazione ebraica mondiale. Non si chiama resistenza, si chiama genocidio. E un occidente che non sostiene con forza la volontà di Israele di difendersi da chi lo vuole spazzare via è un occidente che rischia di offrire agli estremisti di tutto il mondo un messaggio preciso: essere disposto a perdere la memoria e a passare da “never again”, mai più, a “nowhere is safe”, nessun luogo è più sicuro. E rileggersi Elie Wiesel può aiutare a capire perché. Per questo sabato prossimo, con il Foglio, troverete un libro in regalo. “Il mondo sapeva. La Shoah e il nuovo millennio”. Israele siamo noi. Buona lettura.

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