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Il Foglio Rassegna Stampa
18.10.2022 Asse Mosca-Teheran
Analisi di Micol Flammini, Tatiana Boutourline

Testata: Il Foglio
Data: 18 ottobre 2022
Pagina: 1
Autore: Micol Flammini - Tatiana Boutourline
Titolo: «Asse Mosca-Teheran - Le armi degli ayatollah»

Riprendiamo dal FOGLIO  di oggi, 18/10/2022, a pag. 1, con il titolo "Asse Mosca-Teheran, il commento di Micol Flammini; con il titolo "Le armi degli ayatollah", il commento di Tatiana Boutourline.

Ecco gli articoli:

Micol Flammini: "Asse Mosca-Teheran"

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Micol Flammini

Roma. Il sindaco di Kyiv, Vitali Klitschko, ha pubblicato le foto dei resti di un drone Shahed-136 con la scritta in cirillico Geran-2, il nome con cui Mosca avrebbe ribattezzato i droni iraniani. L’ex campione di pugilato che amministra la capitale ucraina voleva mostrare due cose: che l’esercito ucraino è in grado di abbattere qualsiasi cosa e che non mente quando dice che in queste settimane i droni kamikaze di Teheran stanno prendendo di mira Kyiv e le altre città dell’Ucraina. L’esercito russo continua ad attaccare le infrastrutture energetiche, facendo vittime tra la popolazione, il gestore della rete elettrica ucraina, Ukrenergo, non esclude che potrebbero esserci delle interruzioni di emergenza e ha chiesto ai cittadini di ridurre i consumi di elettricità il più possibile. La strategia di Mosca punta a danneggiare prima dell’arrivo dell’inverno le infrastrutture ucraine e ha trovato un nuovo alleato nei droni iraniani. Il Pentagono ha confermato l’uso delle armi di Teheran nella guerra in Ucraina, un possibile coinvolgimento era stato svelato già durante l’estate dal Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, che aveva annunciato l’acquisto da parte di Mosca. Ieri il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha smentito il coinvolgimento dell’Iran, dicendo che non è coinvolto nel conflitto e sostenendo che l’unica soluzione sia la pace e non la consegna di armi all’una o all’altra parte. Dall’inizio della guerra, Teheran ha fatto più di un passo verso Mosca. Il regime ha continuato a propagandare un ideale di neutralità, con l’intenzione di accusare gli Stati Uniti per il sostegno economico e militare fornito a Kyiv, e parallelamente ha fatto richiesta di entrare nei Brics, la coalizione antidollaro trainata da Cina e Russia. Il capo del Cremlino, Vladimir Putin, è andato a Teheran per il suo primo viaggio fuori dai confini dall’inizio della guerra e ha mostrato di avere molto interesse nel coltivare l’alleato iraniano. Teheran per Mosca è importante sia perché è uno dei pilastri antioccidentali, sia perché è uno di quei paesi in difficoltà economiche che possono ancora aver bisogno di Mosca. Ora che anche l’Unione europea sembra aver abbandonato l’idea di portare avanti l’accordo sul nucleare con il regime iraniano, Mosca ha una leva in meno, ma il legame con l’Iran va avanti e finora potrebbe essere l’unico stato ad aver dato alla Russia un sostegno militare. Secondo il Washington Post Teheran sarebbe pronta a rafforzare il suo impegno inviando, oltre ai droni, dei missili. Le armi potrebbero compensare le enormi perdite di mezzi subite dall’esercito russo dall’inizio della guerra e che hanno avuto un’accelerazione con gli attacchi missilistici su larga scala iniziati la scorsa settimana: Mosca bombarda al di sopra delle sue capacità. L’industria degli armamenti iraniana starebbe preparando un primo carico di missili Fateh-110 e Zolfaghar, in grado di colpire bersagli a trecento e settecento chilometri di distanza. Teheran, secondo le informazioni del Washington Post starebbe preparando anche una nuova consegna di droni. Tutto ciò che arriva a Mosca verrebbe accuratamente rinominato e ridipinto, come nel caso degli Shahed-136 ritrovati con le insegne in cirillico e il nome Geran-2. Il ritmo con cui Mosca sta usando il suo arsenale è insostenibile, secondo alcuni esperti americani, la sua produzione è bloccata dalle sanzioni che impediscono l'importazione di componenti essenziali e l’unica alternativa è affidarsi a regimi come quello iraniano o, forse in futuro, quello nordcoreano. Quando Putin era andato a Teheran, era stato firmato un memorandum di intesa per un investimento da 40 miliardi di dollari tra Gazprom e la compagnia petrolifera iraniana Nioc con cui la società russa si è anche impegnata a sostenere lo sviluppo di due giacimenti in Iran. Mosca ha offerto a Teheran anche accordi commerciali e l’unificazione progressiva dei sistemi bancari. L’accordo sulla vendita delle armi potrebbe fornire sollievo economico a Teheran e militare alla Russia che ha bisogno di uomini da mandare in guerra e di materiale bellico: ieri un aereo militare russo si è schiantato contro un edificio residenziale di Yeysk, nella regione di Krasnodar, il ministero della Difesa ha confermato l’incidente e ha detto che i piloti sono salvi, e che si trattava di un volo di addestramento.

Tatiana Boutourline: "Le armi degli ayatollah"

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Tatiana Boutourline

Roma. Dinieghi, verità alternative e repressione. Non c’è nulla di inedito nel modo in cui la Repubblica islamica sta affrontando le manifestazioni che da più di un mese stanno infiammando l’Iran. La domanda per il regime è se le solite tattiche potranno bastare a neutralizzare una protesta diversa, più frammentata, ma anche più viscerale. “Mi occupo di politica estera da molto tempo. Mi ha sbalordito quello che accade in Iran – ha detto il presidente americano, Joe Biden alcuni giorni fa a proposito della mobilitazione partita in seguito all’assassinio di Mahsa Amini – Si tratta di qualcosa che non si quieterà prima di un lungo, lungo periodo”. E’ proprio questo lo scenario a cui le autorità iraniane vogliono sottrarsi e adottano “la massima soppressione” per scongiurarlo. L’obiettivo è di riportare la quiete nelle strade e impedire che un prolungamento dei disordini cristallizzi la delegittimazione del regime in un fatto compiuto. Ma a dispetto della ferocia che la dirigenza iraniana è già stata ampiamente in grado di dispiegare, non si tratta di una sfida semplice per i pretoriani dell’ayatollah Khamenei, la Guida suprema. Da più di quattro settimane le proteste deflagrano come piccoli fuochi da un angolo all’altro del paese, e ogni nuova morte scatena una nuova reazione, esacerbata dalla circostanza che le vittime sono spesso molto più giovani di quelle cadute in altre stagioni di rivolta. Forse anche per questo motivo, da giorni filtrano voci che descrivono poliziotti e bassiji stanchi e demotivati, a disagio con la violenza che sono chiamati a esercitare. A oggi è improbabile ipotizzare defezioni massicce tra uomini cresciuti con l’idea che non solo il riscatto sociale ma la vita stessa sia indissolubilmente legata alle fortune della Repubblica islamica, ma in alcuni dei messaggi intercettati in chat contigue agli ambienti delle milizie si inizia a percepire una certa fatica a punire ragazze poco più che bambine. Nel frattempo, nelle strade iraniane sono comparse le mimetiche dei Saberin, l’unità scelta dei pasdaran che annovera i migliori cecchini della Repubblica islamica. “L’aspetto delle forze che incontrano i manifestanti è radicalmente cambiato”, ha raccontato su Instagram Javad Mogouei, un regista di documentari figlio di un pezzo grosso dei pasdaran e ciò nonostante in marcato dissenso con la repressione. Ferito mentre cercava di difendere una donna da una scarica di manganelli, Mogouei ha dato voce al malessere di tanti insider. “Sta diventando molto difficile, quasi impossibile giustificare certe politiche”, ha confermato al New York Times Gheis Ghoreishi, analista che in passato non ha mai avuto remore a collaborare con il regime. Mentre Khamenei va avanti, testardamente, sulla linea della tolleranza zero, mentre le forze di sicurezza si riorganizzano e la propaganda addebita il dilagare della rivolta alle interferenze straniere (il generale Hossein Ashtari è arrivato al punto di affermare che “gruppi controrivoluzionari” travestiti da poliziotti hanno fatto fuoco sui manifestanti), mentre l’amico del leader supremo Sadegh Kushaki attribuisce la furia degli iraniani “alla perdita dell’identità” e il propagandista antisemita Ali Akbar Raefipour dice che è tutta colpa di internet e dell’“agitazione sessuale” scatenata dalla pandemia, nel regime cresce il malcontento di coloro che si smarcano da Khamenei e invocano una gestione diversa e più oculata della rabbia. La sensazione è che l’irrigidimento determinato dall’elezione di Ebrahim Raisi non convinca una fetta dell’establishment. Il 13 ottobre sul quotidiano Jomhuri Eslami è uscito un editoriale favorevole al dialogo. “Le proteste si calmerebbero se i funzionari dello stato ascoltassero i problemi dei cittadini e rispettassero i loro diritti”. In termini simili si è espresso anche l’ayatollah Javadi Amoli: “Non c’è frusta più dolorosa della povertà”, ha sottolineato auspicando una politica più onesta e più attenta ai bisogni dei cittadini. Ancora oltre si è spinto l’ex sindaco di Teheran Gholamhossein Karbaschi, che durante un’intervista televisiva ha detto: “Se davvero desiderano implementare la legge, allora dovranno arrestare tutte le donne, inclusa quella che mi ha sistemato il microfono”. E l’ex capo del Majlis, Ali Larijani che, sempre a proposito dell’obbligo dell’hijab ha dichiarato: “Quelli che scendono per strada sono i nostri figli. In una famiglia, se un figlio commette un crimine, si cerca di riportarlo verso la retta via, la società deve essere più tollerante”. E tuttavia, quelle appena citate non sono figure apicali nell’attuale configurazione del potere e per ora nulla lascia supporre che i malumori dell’establishment possano avere la meglio sull’intransigenza di Khamenei. Nel frattempo ieri il Consiglio per gli affari esteri dell’Unione europea ha approvato un pacchetto di sanzioni contro Teheran. Le misure colpiranno undici persone e quattro entità responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui i bassiji e la polizia morale.

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