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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Famiglia Cristiana Rassegna Stampa
24.11.2008 La visita ad Auschwitz del sindaco di Roma
con 300 ragazzi di 62 scuole della capitale

Testata: Famiglia Cristiana
Data: 24 novembre 2008
Pagina: 80
Autore: Alberto Bobbio
Titolo: «Viaggio in fondo all’orrore»

FAMIGLIA CRISTIANA nel numero in edicola domenica 23 novembre pubblica a pagina 80 un articolo intitolato “Viaggio in fondo all’orrore” a firma di Alberto Bobbio.
E’ il racconto della visita ad Auschwitz del sindaco di Roma con 300 ragazzi di 62 scuole della capitale.
Un momento di profonda riflessione per i giovani che hanno potuto confrontarsi con la terribile esperienza vissuta nei campi di sterminio attraverso il racconto di alcuni sopravvissuti. Lo stesso sindaco Alemanno ha affermato di aver visto nel suo viaggio ad Auschwitz il “male assoluto”.

La porta dell’orrore infinito sta là, in fondo a questa strada. Un sole pallido ha scaldato l’aria e la nebbia è svanita, mentre i ragazzi delle scuole di Roma, in silenzio assoluto, calpestano i campi dell’industria della morte, “soluzione finale” per gli ebrei d’Europa, per gli zingari, per gente che credeva nella libertà. Sarà un’esperienza molto dolorosa. Nessuno esce indifferente dopo otto ore a mettere un passo dopo l’altro sul percorso della morte.

Li accompagna Gianni Alemanno, il sindaco post-fascista di Roma, che non ha interrotto la tradizione dei viaggi della memoria voluti da Francesco Rutelli e continuati da Walter Veltroni. E’ l’unico modo per capire. A sera, Alemanno dirà: “Ho visto il male assoluto, la logica di Caino. Bisogna ricordare e restare vigili, perché l’orrore non si ripeta. La condanna per nazismo e fascismo per me è netta e uguale”.

Non era mai stato qui, non aveva mai osservato l’orizzonte della tragedia, la torretta delle SS che sovrasta i binari, la rampa della selezione. Non era mai passato sotto la scritta che racconta il cinismo dell’orrore, quell’Arbeit macht frei che marca lo sterminio e marchia la coscienza del mondo intero. Ma non è la prima volta che varca la soglia di un campo di concentramento. Era stato a Dachau nel 1992, da solo, per vedere, per capire. Ma non l’aveva mai detto.

Lo dice adesso che ha visto Auschwitz, perché questo è il luogo del baratro senza fine. L’accompagna Riccardo pacifici, capo della comunità ebraica di Roma. Davanti al monumento che ricorda le vittime naziste in fondo al campo di Birkenau, conosciuto come Auschwitz II, il campo dello sterminio totale, i cui forni crematori erano in grado di uccidere 8 mila persone in 24 ore, Alemanno s’infila la fascia tricolore, depone una corona di fiori e ascolta il canto del lutto degli ebrei, il Kaddish. Attorno 300 ragazzi di 62 scuole di Roma con gli insegnanti ascoltano a capo chino.

Poi Alemanno abbraccia Pacifici con le lacrime agli occhi, gesto di stima e profondo ringraziamento. Era stato contestato prima di partire da gruppuscoli filonazisti, che l’hanno bollato come “amico degli ebrei”. Pacifici assicura: “ Con questo viaggio il sindaco ha assunto fino in fondo una posizione non ambigua sulla memoria dell’olocausto e sull’antifascismo”.

I voli speciali dell’Alitalia atterrano a Cracovia, la città degli ebrei e di Karol Wojtyla, che qui aveva imparato a vivere con i suoi “fratelli maggiori”. A Cracovia prima della guerra vivevano 70 mila ebrei, un terzo della popolazione. Nessuno aveva mai avuto problemi con loro. Lo racconta il professor Marcello Pezzetti, storico del Centro documentazione ebraico di Milano, agli studenti in piazza Getta, confine del ghetto. Comincia qui il viaggio della memoria. Bisogna spiegare cos’è un ghetto, spiegare la bestialità dei nazisti, che affollarono 18 mila persone tra le case di questo quartiere chiuso da un muro, anticamera della morte.

Del muro rimangono pochi metri, accanto a una scuola sotto le rocce a precipizio della collina da dove Oskar Schindler osservò l’orrore e decise di aiutare gli ebrei. Il film che ripercorre quella storia l’hanno girato tra queste strade.

L’emozione degli studenti poco a poco si trasforma in rabbia. Appuntano dati, numeri, nomi sui loro quaderni, per poi raccontarlo a chi è rimasto a casa. Si cammina a gruppi, domande su domande. Ecco le strade del quartiere ebraico di Kazimierz, sotto la città vecchia. Restano sette sinagoghe, una sola aperta al culto. E’ qui che Karol Wojtyla veniva a trovare i suoi amici ebrei. Oggi, dell’antica amicizia tra cattolici ed ebrei, tutti fieramente polacchi, resta il centro di dialogo ebraico-cristiano, l’unico della Polonia, ospitato in una delle sette sinagoghe superstiti. A Cracovia vivono un centinaio di ebrei, nessun rabbino a celebrare il culto.

E’ la sera di un’altra memoria, ricordo della Notte dei Cristalli quando, esattamente 70 anni fa, i nazisti andarono all’assalto dei negozi degli ebrei e bruciarono i libri per rubarne la storia. Ma nessuno prega, oggi, a Cracovia. Lo fanno i ragazzi delle scuole di Roma nella sinagoga Temple, l’unica autorizzata al culto. Qualche anziano ebreo che ancora abita qui s’affaccia sulla soglia, vede i ragazzi, vede gli ebrei di Roma, si fa tradurre le parole e sorride. Finalmente c’è qualcuno che inchioda la sua memoria e riporta alla mente gli anni di Wojtyla, quando ebrei e cattolici vivevano insieme, si amavano e si rispettavano, prima della furia nazista e prima di quella del comunismo, che qui hanno contribuito con accanimento a spargere odio.

Nell’antica sinagoga, trasformata dai nazisti in stallaggio per i cavalli delle truppe, il rabbino Rav Della Rocca ricorda la Notte dei Cristalli e dice che i “nazisti non hanno messo al rogo solo la libertà di pensiero, ma anche la libertà di Dio”. E’ una bella lezione per questi ragazzi, che si preparano a vedere il male assoluto di Auschwitz. Glielo raccontano i testimoni sopravvissuti, che la Comunità ebraica ha fatto venire da Roma; Shlomo Venezia, che lavorava nel Sonderkommando, il gruppo di prigionieri addetto alla liquidazione dei cadaveri nei forni crematori, Andra e Tatiana Bucci, che erano state rinchiuse nel lager dei bambini di Birkenau, e Sami Modiano, ebreo italiano di Rodi, che venne deportato a 13 anni e solo da due ha deciso di tornare qui ad accompagnare studenti. I ragazzi li ascoltano per ore, racconti duri, esperienze che stringono l’animo e serrano lo stomaco.

Alemanno va con gli studenti rome con il capo dell’Opera nomadi Massimo Converso a vsisitare le baracche dove venivano stipati gli zingari prima di essere uccisi. E’ un campo nel campo, dentro Birkenau. I nazisti lo chiamavano Zigeuner-lager, soluzione finale per il popolo rom. Tra gli studenti ci sono anche due giovani rom. Mai negli altri viaggi della memoria ci si era fermati a ricordare anche la loro tragedia.

Da Birkenau ad Auschwitz ci sono tre chilometri di campi e betulle. Era una caserma dell’esercito polacco, trasformata in lager per ebrei, prigionieri russi e gente di tutte le nazionalità. Gli italiani erano 40 mila, 8.300 ebrei. Pochissimi sono tornati. Qui sono stati sterminati gli ebrei, ma anche i cattolici. Uno dei comandanti del campo, Karl Fritzsch, dava due settimane di vita agli ebrei e un mese ai preti. L’industria dell’olocausto ha lavorato per tutti. Nessuno può permettersi di dimenticare.

Quando Alemanno, con i responsabili della Comunità ebraica di Roma, esce dal cortile delle esecuzioni, qualcuno si dimentica di portarlo a vedere la cella di padre Kolbe. Ma non si può raccontare Auschwitz secondo memorie divise. Glielo dicono e lui da solo si mette in fila con gli studenti che scendono nel buio del blocco 11, prigione di Auschwitz, celle della morte per fame, dove uccisero padre Massimiliano Kolbe, che chiese di prendere il posto di un altro prigioniero, martire della carità assoluta e santo per volere di padre Wojtyla.

Alemanno si inginocchia, s’aggrappa al ferro della cella, il capo chino. Non ci sono fotografi, non ci sono telecamere. Lui si alza, fa il segno della croce, esce. Dirà il giorno dopo agli studenti romani il cardinale Stanislaw Dziwisz, ex segretario di Giovanni Paolo II: “Auschwitz è un punto doloroso, sommatoria di tragedie, ma dobbiamo guardare avanti. Non si può dimenticare, ma si può perdonare”. Ringrazia gli studenti che hanno ripercorso la tragedia degli ebrei e dei polacchi, li invita a tornare ogni anno: “Il futuro è nelle vostre mani, ma dovete imparare dalla storia ed evitare il male”.

E’ l’ultima lezione del viaggio della memoria condivisa, insieme ebrei, cattolici, musulmani, zingari e polacchi.

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