Il nemico ideale Nathania Zevi
RAI Libri euro 19
L’antisemitismo è un “male oscuro” che attraversa la storia della civiltà occidentale e pur affondando le sue radici nei millenni continua ancora oggi a minacciare la vita degli ebrei devastando, in maniera irrimediabile, le coscienze dei non ebrei.
Tuttavia, dopo il 7 ottobre 2023 l’avversione per gli ebrei in tutto il mondo ha registrato un agghiacciante salto di qualità. Perché il pogrom di Hamas - che non ha nulla da invidiare a quelli della Russia zarista - che ha ucciso 1200 persone, bruciando corpi, stuprando donne, decapitando neonati e prendendo in ostaggio oltre duecento civili inermi non ha solo messo in pericolo l’esistenza dello Stato ebraico ma ha determinato una vera catastrofe culturale che, all’indomani della risposta israeliana agli attacchi terroristici, ha sdoganato le forme più subdole del sentimento antiebraico.
La giornalista del TG1 Nathania Zevi affronta in un libro inchiesta di recente pubblicazione dal titolo provocatorio “Il nemico ideale” (Rai Libri) lo storico antisemitismo e ci spiega partendo dall’Affare Dreyfus e arrivando all’hate speech che pervade i social cosa significa essere ebreo, combattere contro stereotipi, pregiudizi e intolleranza. “Questo libro – scrive l’autrice – si pone l’obiettivo di raccontare la violenza in maniera trasversale, con lo scopo di imparare a riconoscerla e, dove possibile, disinnescarla”.
In questa analisi sull’antisemitismo in Italia e nel mondo Zevi prova a gettare luce su quanto questo “male oscuro”, a quasi ottant’anni dagli orrori della Shoah, sia sempre più pericoloso e di sconcertante attualità.
Dopo un’introduzione che inquadra la questione all’indomani del pogrom del 7 ottobre riportando anche riflessioni personali, la giornalista ripercorre la vicenda dell’ufficiale ebreo alsaziano arrestato e condannato da un tribunale militare con l’accusa, poi rivelata falsa, di alto tradimento che divise la Francia nel 1894. Un errore giudiziario di cui fu vittima Dreyfus in quanto ebreo che mettendo in luce l’antisemitismo che serpeggiava nelle istituzioni francesi ed europee dell’epoca accelerò, nel primo Congresso sionista organizzato a Basilea dal giornalista austroungarico Theodor Herzl, il percorso verso la realizzazione di uno Stato come soluzione alla persecuzione degli ebrei in Europa, attraverso la determinazione del popolo ebraico. Partendo dalla Bibbia Zevi spiega il perché della scelta della Palestina come Stato di Israele e poi gli eventi storici che portarono dopo il crollo dell’Impero ottomano molti ebrei ad emigrare sotto la crescente spinta dell’antisemitismo. L’avvento delle leggi razziali del 1938 cambia la situazione anche per i nonni dell’autrice, appartenenti alla borghesia romana che per sfuggire alle persecuzioni nazifasciste, con una lungimiranza che purtroppo non tutti hanno dimostrato, decidono di raggiungere la Terra promessa. In questa prima parte del libro si ripercorrono gli eventi che portarono alla costituzione dello Stato d’Israele, ai conflitti e alle tensioni mai sopite con i palestinesi fino ai recenti drammatici fatti dell’attacco di Hamas.
Nathania Zevi riflette sui termini antisemitismo e antisionismo che hanno nature diverse: mentre il primo ha radici antiche di carattere culturale, il secondo nasce contestualmente con lo Stato d’Israele e in relazione alle sue politiche. Ma il germe alla base è comune – l’automatismo a identificare il nemico ideale sulla base di un pregiudizio – e il risultato è un doppio standard che vale solo per gli ebrei.
Molto interessante è la panoramica sull’antisemitismo di oggi che mette in rilievo come questo fenomeno abbia una storia antica, tutt’altro che lineare con alla base solide fondamenta di ignoranza. “Il mito dell’ebreo danaroso ai vertici del potere, della lobby ebraica che controlla il mondo, delle organizzazioni segrete che regolano gli equilibri socio-economici per vantaggi personali è particolarmente difficile da eradicare e, i numeri lo confermano, il pensiero cospirazionista sta vivendo una nuova epoca d’oro”.
Con dati e percentuali alla mano la giornalista analizza i risultati di una ricerca della Action and Protection League del 2021 che propone una visione ampia e articolata del pregiudizio antisemita in 16 Paesi dell’Unione Europea e ci dà contezza di un progetto europeo nato nel settembre 2022 contro l’antisemitismo che si concentra sulla realizzazione di una serie di iniziative educative volte a promuovere una miglior conoscenza della cultura e delle tradizioni ebraiche come parte della storia europea, con un focus su Italia, Spagna, Romania e Belgio.
Nel capitolo All’alba di una rivoluzione Zevi, citando una sua esperienza personale, si sofferma sulla lunga storia di reciproca diffidenza tra ebrei e cristiani, nonostante le comuni radici giudaico-cristiane, che seppur non più rintracciabile nel rapporto attuale tra le due comunità è determinante per capire certe anse dell’antisemitismo antico e moderno. Citando lo storico David I. Kertzer che al tema ha dedicato il libro intitolato “I papi contro gli ebrei. Il ruolo del Vaticano nell’ascesa dell’antisemitismo moderno”, in cui si parla anche di eventuali responsabilità della Chiesa nella Shoah, Zevi prova a distinguere l’antisemitismo dall’antigiudaismo: se il primo riguarda l’odio razzista per gli ebrei e la loro cultura, il secondo di cui si può collocare la nascita nell’impero romano del secondo secolo dopo Cristo, ha una matrice cristiana e presuppone un’aperta ostilità fondata sull’idea di un superamento del giudaismo da parte del cristianesimo. Si ricorda, inoltre, come nell’Impero Romano una volta diventato cristiano nel 380 d.C. con l’editto di Teodosio si legittimano e si alimentano le persecuzioni già in corso nei confronti degli ebrei, che sarebbero diventate una tragica costante nei secoli seguenti. Basti pensare alla crociata dei tedeschi del 1096 indetta da papa Urbano II che portò alla distruzione di molte comunità ebraiche, al trattato “sugli ebrei e le loro menzogne” di Martin Lutero nel 1543, senza dimenticare i ghetti istituiti dalla Chiesa, il caso Mortara - il bambino ebreo di Bologna battezzato in segreto dalla nutrice cristiana e strappato dalle autorità ecclesiastiche alla sua famiglia sette anni dopo nel 1858 – oltre al silenzio, impossibile da giustificare, di Pio XII durante la Shoah.
Rivendicando la storia degli ebrei, la loro ostinata volontà di agire, fare, resistere alle avversità, forzarsi di essere la migliore versione di sé e trasmettere la propria identità ai figli (“L’identità ebraica può essere un peso, ma è anche un dono e un motivo di orgoglio per chi la possiede”), Zevi non nasconde quanto sia difficile essere ebrei oggi. Perché la complessità di questa “condizione” determina spesso una ritrosia nell’ebreo stesso, genera una comunicazione volta alla sola difesa, a una chiusura e a una scarsa narrazione di sé se non attraverso le tragedie del passato che rischia di essere nuova linfa per il pregiudizio, in una sorta di cortocircuito.
L’odio nei confronti degli ebrei, un virus potente da cui dovremmo proteggere chi viene dopo di noi, è diffuso anche tra gli studenti nelle scuole, fra cui emergono forme di pregiudizio latente, spesso assorbito nelle famiglie oltre a gravi casi di aggressioni fisiche e verbali e, ancor peggio, fra alcuni docenti che (Zevi cita situazioni specifiche) invece dovrebbero essere deputati all’educazione, scevra da pregiudizi, dei nostri giovani.
Sotto la lente di ingrandimento dell’autrice vi sono certe posizioni di politici, intellettuali o gente comune che al di là dei governi in carica in Israele e del conflitto in Palestina rifiutano l’esistenza di Israele e che dinanzi al pogrom perpetrato da Hamas, a parte nei primi due, al massimo tre giorni in cui si è manifestata una tiepida solidarietà si schierano in cortei o manifestazioni (ogni occasione è buona) dalla parte dei terroristi.
Perché? Se si usa il metro della logica o della conoscenza storica è impossibile capirlo se non prendendo coscienza che gli ebrei sembrano valere sempre un po’ meno degli altri.
Il pregiudizio antiebraico trova un’eco formidabile anche nei social che riportano a galla una lunga serie di problemi più o meno sopiti e dove mancando una vera regolamentazione si consentono espressioni “becere e retrograde” sulle minoranze, e gli ebrei non fanno eccezione. Chiunque è legittimato a pubblicare contenuti antisemiti, spesso farneticanti. L’autrice riporta esempi di attacchi antisemiti a Liliana Segre, a Edith Bruck, sopravvissute ai campi di sterminio, evidenziando come l’odio antiebraico emerga con forza anche in relazione all’attentato alle Torri Gemelle, alla pandemia del Covid 19 o alla guerra in Ucraina in cui, in un modo o nell’altro, gli ebrei ne sarebbero i responsabili per sete di potere o di dominio del mondo!
Come per i social anche il discorso della satira fornisce un’ottima scusa, quella dell’umorismo e della critica sociale, per fornire dell’ebreo (sempre rappresentato con il naso adunco o peggio) una immagine che raccoglie tutti gli stereotipi iconografici già tipici della propaganda nazifascista. E anche in questo capitolo “La satira antisionista e l’antisemitismo delle immagini” la giornalista fornisce ampi esempi di quotidiani nazionali che riempiono le pagine di vignette con chiari messaggi antisemiti. “E’ senz’altro difficile – scrive Nathania Zevi – tracciare una linea netta tra lecito e illecito, tra critica e attacco, tra umorismo e sarcasmo. Ma forse basterebbe imparare la differenza tra buono e cattivo gusto”.
Nelle conclusioni la giornalista invita a continuare a curarci del “racconto della Shoah”, della sua irripetibile specificità, e dell’evoluzione di cui il Giorno della Memoria forse necessita, sperando che quello di Hamas resti un antisemitismo non istituzionalizzato, che non dilaghi e non si radichi nella società come fu per il nazismo.
Partendo dagli attentati del 7 ottobre che hanno risvegliato negli ebrei una forte riscoperta della propria identità - “la capacità di rinascere sempre, riunirsi e andare avanti”- Nathania Zevi firma un libro di stringente attualità, più che mai necessario in questo periodo che mostra come il vero nemico da combattere, principale alleato dell’antisemitismo, sia l’ignoranza che permea ancora oggi ampi strati della nostra società. Senza dimenticare che il virus del pregiudizio corre di pari passo a quello del terrorismo e quanto accade in Israele è solo l’inizio e può estendersi in Europa e nel resto del mondo.