L’ultimo schiaffo di Putin all’Europa Analisi di Anna Zafesova
Testata: La Stampa Data: 09 luglio 2024 Pagina: 3 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Seppellire la via diplomatica alla pace. L'ultimo schiaffo di Putin all'Europa»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/07/2024, a pag. 3, l'analisi di Anna Zafesova dal titolo "Seppellire la via diplomatica alla pace. L'ultimo schiaffo di Putin all'Europa".
Non sappiamo, e forse non sapremo mai, se quando Sergey Lavrov aveva promesso, qualche giorno fa, una «risposta della Russia nel più prossimo futuro», intendesse questa pioggia di missili sull'Ucraina. Non sappiamo se questo attacco, con una combinazione di 40 tipi di missili diversi, scagliati da rampe di lancio e aerei contro obiettivi civili di diverse città, sia stato premeditato per celebrare la vittoria della lista di Marine Le Pen alle elezioni politiche in Francia, o sia stato improvvisato all'ultimo momento come sfogo di rabbia di Mosca per non essere riuscita a far espugnare a un partito che riteneva composto da suoi fedelissimi il parlamento di una nazione cruciale nell'alleanza che sostiene l'Ucraina. Oppure se sia stato, come dicono molti in Ucraina, una "vendetta" per il vertice della Nato che si apre oggi, per decidere nuovi aiuti a Kyiv. Ma è evidente che non è stato casuale, un attacco così massiccio, in pieno giorno – non di notte, come al solito, in cerca di una visibilità che rendesse l'orrore visibile a tutta Kyiv, e a tutto il mondo alla luce del sole. Si è trattato di un messaggio che Vladimir Putin ha voluto inviare, del tutto consapevolmente, all'Ucraina, e all'Europa. Sono state tantissime le volte in cui si è detto e scritto che nell'invasione russa dell'Ucraina si era superato un nuovo limite di orrore, battuto un nuovo record di disumanità, sfondata una nuova soglia di brutalità. E ogni volta era vero. È vero anche stavolta, con una differenza: a restare sepolta sotto le macerie del reparto dialisi dell'ospedale Ohmatdyt, oltre ai pazienti e ai dottori del maggior centro pediatrico di Kyiv, è anche la diplomazia, e la speranza nelle parole "tregua", "negoziato" e "pace", che tante volte erano state pronunciate, da vari attori e in diversi contesti, nelle ultime settimane. Chi cerca la diplomazia di regola mostra il suo volto più conciliante e ragionevole, non bombarda gli ospedali pediatrici in pieno giorno, se non altro per non mettere in difficoltà i propri alleati. Proprio ieri Marine Le Pen ha annunciato, insieme a Matteo Salvini, l'adesione al nuovo gruppo di estrema destra dei "patrioti", fondato da Viktor Orban. Che attualmente è diretto in Cina a parlare di pace in Ucraina con Xi Jinping, dopo aver visitato Kyiv e Mosca, senza troppo successo, ma sempre intenzionato a proporsi come il mediatore, l'unico europeo che parla con Putin. La leader del Rassemblement National, nonostante numerose prese di distanze, viene ancora considerata – soprattutto dai propagandisti russi – come la "cinghia di trasmissione" delle posizioni del Cremlino in Europa, come era stata definita da una commissione parlamentare francese già anni fa. Difficile immaginare le logiche politiche del Cremlino che pensa di poter aiutare i suoi alleati europei bombardando un ospedale pediatrico (o "vendicare" la mancata vittoria della lista sulla quale aveva scommesso). Secondo Aleksandr Baunov, analista politico di quel che resta dell'antenna moscovita del centro Carnegie, nei suoi scontri con l'Occidente la diplomazia di Putin attraversa di norma tre fasi. La prima è l'indignato stupore per le condanne e le critiche delle violazioni dei diritti umani, vissute come una discriminazione ipocrita. La seconda è l'ostentazione di buoni rapporti con i Paesi non occidentali, per dimostrare che la Russia è «troppo grande e importante per venire isolata». A questo sono funzionali i viaggi di Putin a Pechino e a Pyongyang, i summit multilaterali con i Brics e altri attori del "Sud globale" e le visite come quella che il premier indiano Narendra Modi ha iniziato ieri a Mosca. Infine, inizia la ricerca degli occidentali pronti a cedere, perché «l'Occidente prima o poi tornerà strisciando». Secondo questa logica, la scommessa di Putin sui leader della destra sovranista, da Donald Trump a Orban con la sua goffa mediazione, non è finalizzata a trovare un compromesso diplomatico: il Cremlino non ha intenzione di cedere, anzi, è convinto che sarà l'Occidente ad arrendersi – eleggendo Le Pen e Trump, per esempio – e che lo farà soltanto dopo aver preso atto della «volontà inflessibile della Russia». Se questo teorema politico è corretto, il bombardamento di ospedali e quartieri residenziali non solo non appare più una follia che dovrebbe allontanare da Putin i suoi simpatizzanti europei, ma viene visto a Mosca – proprio mentre detiene la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza dell'Onu – come una dimostrazione di forza. Non è un caso che la propaganda russa non nasconde più di aver colpito bersagli civili. Se, due anni fa, le cannonate sull'ospedale di maternità di Mariupol venivano dichiarate una "fake news", e censurate, ieri molti media russi non nascondevano che i militari avevano mirato alla clinica Ohmatdyt, dove sarebbe stata in corso "una riunione militare" (anche se il ministero della Difesa russo ha tradizionalmente incolpato la contraerea ucraina). Nessun imbarazzo a dirlo, e a farlo proprio nel giorno in cui la Russia celebra il "giorno della famiglia, dell'amore e della fedeltà", mentre il dittatore visita per la quinta volta la mostra che esalta il suo Paese come un paradiso, dove i suoi sudditi lo ringraziano per i "brividi di patriottismo" che regala loro. I brividi di orrore, se a questo punto esistono ancora, sono riservati a quelli che stringono la mano dell'uomo che ordina il lancio dei missili, in cerca di una tregua che lui considera inutile.
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