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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa Rassegna Stampa
22.01.2024 Alessandro Silva: boicottare le università israeliane è antisemitismo
Intervista di Flavia Amabile

Testata: La Stampa
Data: 22 gennaio 2024
Pagina: 9
Autore: Flavia Amabile
Titolo: «Gli atenei israeliani non sono razzisti. Promuovere il boicottaggio è ingiusto»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/01/2024, a pag. 9 con il titolo "Gli atenei israeliani non sono razzisti. Promuovere il boicottaggio è ingiusto", l'intervista di Flavia Amabile.
 
Flavia Amabile
Flavia Amabile
Alessandro Silva, professore di Fisica teorica
Alessandro Silva, professore di Fisica teorica
Il boicottaggio delle università israeliane è «ingiusto», afferma Alessandro Silva, professore di fisica teorica della Scuola internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste che a novembre ha lanciato un contro appello per opporsi al boicottaggio.
Che cosa le sembra più grave delle affermazioni pronunciate da Francesco Mola, rettore dell'università di Cagliari ?
«Conosco bene Israele e le sue università, di sicuro non c'è razzismo né apartheid. Sono centri di pluralismo che comprendono studenti e professori di tutte le provenienze: ebrei, arabi, beduini, drusi. Sono esattamente come dovrebbero essere le nostre università: luoghi di libero pensiero di discussione e confronto dove si esercita anche la critica più accesa nei confronti dei governi che si sono succeduti e delle loro politiche, e in particolare nei confronti dell'attuale leadership. ll rettore ha ammesso di non essere mai stato in Israele, se andasse si renderebbe conto che le università non sono un blocco monolitico».
Dopo la diffusione delle sue frasi il rettore ha precisato di aver spiegato di non essere mai stato in Israele riferendosi a incarichi di ricerca legati alla sua attività di docente e non alla sua vita personale.
«Stiamo parlando di università, la vita personale non è rilevante. Stiamo parlando di un boicottaggio che taglierebbe i rapporti con le università israeliane. Sono appelli che negli anni ho visto arrivare dalle università controllate da Hamas e sono funzionali al suo obiettivo di smantellare lo stato ebraico "dal Fiume al Mare"».
Pensa che l'università di Cagliari sia fra quelle controllate da Hamas?
«Certamente no. Però queste sono le origini del movimento che spinge verso il boicottaggio che sembra essere stato promesso dall'università di Cagliari. Ci si può anche aspettare che in questo tranello caschino degli studenti, persone giovani che non conoscono Israele. È peculiare che arrivi da professori che, se non conoscono direttamente Israele ne conoscono la storia».
Teme che questo tipo di protesta possa diffondersi anche in altre università?
«Sicuramente il pericolo esiste. Per scongiurarlo quando sono arrivate le prime chiamate al boicottaggio il sottoscritto ha lanciato un controappello che ha ricevuto in pochi giorni 7308 firme. Ora ho riaperto la petizione e abbiamo mandato a tutti i firmatari una mail per chiedere altre adesioni e far sentire in modo chiaro che, se lo scopo è arrivare alla pace, le università israeliane vanno sostenute non boicottate».
La risposta?
«In un'ora sono già arrivate le prime 50 firme».
Con dichiarazioni contro la posizione espressa dal rettore dell'università di Cagliari?
«Non ho fatto riferimento alle parole del rettore perché dopo aver guardato per quattro volte il video girato sui social mi sono fatto l'idea che le sue parole siano una reazione legata a una situazione un po' particolare. Da quanto appare era in corso una protesta. Non so, quindi, in che misura quelle parole rappresentino la posizione ufficiale dell'università o del Senato accademico».
Non la rappresentano, ha chiarito il rettore. La protesta delle università parte comunque dagli orrori compiuti da Israele dopo l'attacco del 7 ottobre da parte di Hamas. Lei preferirebbe che si facesse finta di nulla?
«Non voglio entrare in discorsi politici, a me interessa che i canali di discussione con le università e la dilpomazia culturale restino aperte. Molti dubbi sull'azione militare o sulle questioni umanitarie li sento arrivare anche dalle istituzioni universitarie israeliane».
Come stanno affrontando questa crisi i colleghi con cui ha rapporti in Israele?
«Israele è un Paese in guerra ma le università hanno riaperto anche se in una situazione di emergenza: molti studenti sono al fronte e molte studentesse sono costrette a rimanere a casa con i figli. Di sicuro non è facile fare ricerca o andare avanti con i corsi universitari e c'è preoccupazione, ci sono proteste contro il governo».
 
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