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La Stampa Rassegna Stampa
21.01.2024 Nessuna apertura a due Stati
Commento di Fabiana Magrì

Testata: La Stampa
Data: 21 gennaio 2024
Pagina: 4
Autore: Fabiana Magrì
Titolo: «Netanyahu sotto assedio»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/01/2024, a pag. 4, con il titolo 'Netanyahu sotto assedio', la cronaca di Fabiana Magrì.

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Fabiana Magrì
 

Nazioni Unite contro Israele.

Un quarto di pita al giorno è appena uno spicchio di pane. È quanto, secondo le testimonianze degli ostaggi rilasciati, è concesso mangiare ad alcuni dei prigionieri israeliani ancora nelle mani di Hamas. Ed è quanto Eli Shtivi, accampato da venerdì davanti alla villa di Netanyahu a Cesarea, intende concedersi fino a quando il figlio Idan, 28 anni, catturato al Nova festival il 7 ottobre, sarà restituito al suo abbraccio. Entra in una nuova fase la lotta delle famiglie degli ostaggi israeliani. Al 106esimo giorno di cattività dei loro cari lanciano un ultimatum al premier, al gabinetto di guerra e al governo. «La chiave di tutto, ogni risposta sono qui, nella casa del Primo Ministro. È lui il responsabile, è lui che dovrebbe prendere le decisioni difficili. E deve prenderle adesso», dice a La Stampa Chen Avigdori. Il noto sceneggiatore 53enne ha avuto il privilegio di riabbracciare la moglie Sharon (52) e la figlia Noam (12) rilasciate durante la tregua di fine novembre. Ma il suo impegno non è cessato. Ha promesso al popolo degli ostaggi di continuare la lotta fino alla liberazione dell'ultimo rapito. I media e il Forum delle famiglie hanno accesso all'ultimo miglio, proprio di fronte l'ingresso di casa Netanyahu, ma i sostenitori sono tenuti a distanza dalla polizia. Sotto le telecamere di sicurezza della residenza privata del premier i parenti degli ostaggi chiamano a raccolta la folla ma invitano tutti a lasciar fuori dai cancelli del Cluster 6 dove vive Netanyahu le polemiche politiche. «Dobbiamo separare la lotta per riavere gli ostaggi e quella contro il governo», spiega Yuval Baron, genero di Keith Siegel, 64 anni, rapito da Kfar Aza. «Anche se Bibi si dimettesse adesso, non otterremmo che gli ostaggi fossero liberati prima. Abbiamo eletto un governo che ha la responsabilità di riportare indietro i nostri cari». E alla folla che raggiunge la città fra le più esclusive in Israele, fondata sulla visione dei Rothschild, Baron ricorda: «Siamo qui per una ragione e una soltanto: chiedere al governo di agire e riportare gli ostaggi a casa. Nient'altro». Shai Dickman, cugina di Carmel Gat, 39 anni, rapita a Beeri, manda a dire al premier che la manifestazione sotto casa sua è l'ultima dimostrazione di fiducia. La ragazza, che ogni mattina si sveglia divisa tra la paura di scoprire un nuovo video in cui Hamas annuncia l'uccisione di Carmel e la speranza di leggere nelle news che un accordo per la liberazione è stato raggiunto, implora Netanyahu: «Mostraci, e mostra al mondo, che è per il nostro popolo che stiamo combattendo». Tuttavia per molti che sono arrivati sulla costa tra le dune e l'antico porto romano, "mandare a casa" l'esecutivo e "riportare a casa" i 136 connazionali - salvando quelli che sono ancora vivi, ogni giorno sempre meno - sono due facce di una stessa lotta. «Non puoi separare le questioni - dice da dietro le transenne Shlomit, che è scesa a Cesarea da Haifa -. Bibi è il primo ministro. Questa cosa è successa sotto il suo mandato. Il peso è sulla sua coscienza. Se non può salvarli, e se è una persona perbene, deve dimettersi e lasciar fare il lavoro a qualcun altro». Poi, in serata, le proteste contro il governo sono tornate a dare libero sfogo agli slogan anti-Bibi nelle piazze e per le strade di Tel Aviv. Con la pressione popolare fin sotto la porta di casa e quella diplomatica in ogni sede ufficiale, l'ufficio del premier ieri - infrangendo il silenzio cui le istituzioni si attengono durante lo Shabbat - ha replicato a un servizio della Cnn. La testata statunitense ha sostenuto che Netanyahu, nella conversazione con il presidente Usa Joe Biden, abbia concesso un'apertura sulla creazione di uno Stato a guida palestinese anche a Gaza nello scenario postbellico. Lo staff del premier si è affrettato a ribadire che anche «dopo l'eliminazione di Hamas, Israele deve mantenere il pieno controllo di sicurezza della Striscia per garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele». E questo, «è in conflitto con le richieste di sovranità palestinese». Nella querelle si è infilato anche Antonio Guterres dall'Uganda. «Il diritto dei palestinesi a costruire un proprio Stato deve essere riconosciuto da tutti», ha affermato il segretario generale dell'Onu. Ma sull'inaccettabilità della soluzione dei due Stati è intervenuto anche Hamas. Dopo aver escluso, pochi giorni fa, di accettare la legittimità a esistere per "l'entità sionista", ieri ha bollato l'intervento Usa su uno Stato palestinese come «illusione» che «non inganna il nostro popolo».

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