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La Stampa Rassegna Stampa
07.09.2023 Mosca, la rivolta dei professori
Commento di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 07 settembre 2023
Pagina: 27
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «Mosca, la rivolta dei professori»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/09/2023, a pag.27 con il titolo "Mosca, la rivolta dei professori" il commento di Anna Zafesova.

Anna Zafesova | ISPI
Anna Zafesova

Russia: Director of the US-Canada Institute Valery Garbuzov was fired
Valery Garbuzov

«Immobilizzata nel suo passato, la Russia continua a sperare nello zar-padre o un altro leader dalla mano ferma, cercando di riconquistare la grandezza passate, i possedimenti perduti e l'influenza globale, senza successo». Una diagnosi spietata, che porta alla denuncia della «restaurazione strisciante dello stalinismo» e di una «propaganda totale» che «immerge la società russa in un mondo di illusioni allo scopo esplicito di conservare il potere e i beni di una classe dirigente e del suo oligarcato». Parole sferzanti che avrebbero potuto essere state scritte in un manifesto di dissenso, ma sono state incredibilmente stampate su un giornale moscovita, la Nezavisimaya Gazeta, e firmate da un altolocato intellettuale dell'establishment, Valery Garbuzov, fino a pochi giorni fa il direttore del prestigiosissimo Istituto per lo studio degli Usa e del Canada. Un articolo che ha avuto l'effetto di una bomba, scoppiata in quello che sembrava un paesaggio intellettuale ormai completamente asfaltato dalla propaganda. A leggerlo bene, lo scritto di Garbuzov – che pretende, fin dal titolo "Illusioni perdute di un'epoca che tramonta", a diventare un manifesto – è abbastanza prudente: non parla mai della guerra contro l'Ucraina (forse per non ricadere nel "reato" del "discredito delle forze armate russe"). Attacca però spietatamente le basi di quello che è ormai diventato un culto ideologico, quelle illusioni di grandeur geopolitica che parte da una riscrittura della storia russa in una chiave di nazionalismo messianico. La Russia non è «una civiltà separata», come sostengono i nuovi manuali inviati dal Cremlino nelle scuole e nelle università, è soltanto «un ex impero... che sta vivendo una sindrome estremamente dolorosa di perdita della grandezza», alla quale rimedia con una «follia pseudopatriottica». Garbuzov racconta tutta la storia dal 1917 come una successione di miti – dalla rivoluzione globale dei primi bolscevichi, al "socialismo sviluppato" degli ultimi decenni sovietici, in una competizione irrimediabilmente persa contro la realtà – per poi passare alla disamina dei miti fondanti del putinismo: la presunta «crisi della globalizzazione», del «mondo anglosassone», del «degrado dell'Occidente e del tramonto della potenza americana», che offrirebbe alla Russia l'occasione di guidare una nuova «rivolta anticolonialista». Un remix dei vecchi dogmi sovietici spruzzato di «autocrazia, ortodossia, popolo» degli zar ottocenteschi e «tenuto insieme dalla colla del conservatorismo», predicato da una classe dirigente spregiudicata che «confonde la patria con il leader». L'alternativa è il ritorno alla realtà, e alla real politik: la dominazione politica, economica, tecnologica e militare degli Usa «è un fattore oggettivo e permanente», e gli «imperi informali» del mondo sono solo due, America e Cina. Una analisi che potrebbe essere quasi scontata, se non fosse che proviene dal think tank statale che dovrebbe essere il centro dell'elaborazione di politica estera del Cremlino. Era stato l'Istituto degli Usa e del Canada a formulare la politica della distensione e della perestroika, e il suo fondatore Georgy Arbatov era stato consigliere e negoziatore con Brezhnev e Gorbaciov. Un passato "liberale" che è stato immediatamente rimproverato anche a Garbuzov, messo alla berlina nei talk show della propaganda come «agente degli Usa» e «traditore». Una dimostrazione di quanto la restaurazione putiniana sia andata molto oltre l'originale sovietico che vorrebbe far rivivere. La distinzione tra esigenze reali della politica e la propaganda era chiara a Brezhnev, ma non a un gruppo dirigente reclutato nel Kgb al tramonto dell'Urss per assorbirne i dogmi ideologici, imposti mezzo secolo dopo a diplomatici ed esperti (come è già successo per la decisione di invadere l'Ucraina)- Inevitabile che Garbuzov sia stato immediatamente licenziato, replicando in un secondo articolo che i veri ricercatori «non si occupano di propaganda, ma di riflessione critica». In attesa di capire quali altre punizioni aspettano il coraggioso accademico, e i suoi colleghi che si sono schierati in sua difesa (salvo poi far sparire dal sito dell'Istituto la lettera di solidarietà), nei salotti moscoviti Garbuzov è già diventato il simbolo di quello che tutti pensano, ma nessuno dice, e dell'impossibile equazione del «perdere la sfida all'Occidente salvando però il potere di Putin», come viene formulata dal politologo dissidente Vladimir Pastukhov. Il fatto che a denunciare le illusioni dello zar sia stato un accademico del regime, potrebbe essere un segnale dell'esistenza di un gruppo dirigente "moderato" che vuole far sapere di poter diventare un giorno l'alternativa ai putiniani. E di uno scontro violento al vertice: quasi contemporaneamente all'articolo di Garbuzov è uscito un rapporto di tre esperti del Consiglio di politica estera e difensiva, che propone alla Russia di voltare completamente le spalle all'Occidente, e di discutere con India e Cina «la possibilità, l'opportunità o l'inesorabilità di attacchi nucleari circoscritti ai Paesi che sostengono l'Ucraina». Una discussione che deve servire per ora solo come "intimidazione", ma considerato che tra gli autori del documento c'è l'ultra falco Sergey Karaganoiv che ha già proposto attacchi atomici, e che tra i difetti della Russia viene indicata una "eccessiva morbidezza" nella politica estera, sembra esattamente il tipo di dottrina fatta per piacere al committente del Cremlino.

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