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La Stampa Rassegna Stampa
20.06.2023 La direttrice del Salone del libro di Kiev: 'Ci difendiamo anche con la cultura'
Analisi di Gianluigi Ricuperati

Testata: La Stampa
Data: 20 giugno 2023
Pagina: 28
Autore: Gianluigi Ricuperati
Titolo: «Kiev chiama: 'Intellettuali, agite'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/06/2023, a pag.28, con il titolo 'Kiev chiama: 'Intellettuali, agite' ' l'analisi di Gianluigi Ricuperati.

Frankfurt's 'The Hof' Features Kyiv's Yulia Kozlovets
Yulia Kozlovets

Invece di continuare a preoccuparsi per le sorti dei capolavori di Pushkin, chiedetevi perché non sapete nulla di Shevchenko o dei grandi artisti ucraini. Chiedetevi come funziona la politica culturale di un paese colonialista. Chiedetevi perché insieme alle battaglie progressiste sulle questioni di genere, sui diritti, sulle discriminazioni razziali, non vi viene proprio voglia di manifestare e influenzare l'opinione pubblica sul tentativo di genocidio della popolazione e della cultura ucraina. Ecco cosa direi agli intellettuali occidentali, e anche a quelli italiani, oggi. Volete fare i compiti, studiare la situazione, farvi un'idea più precisa? Certo, è giusto farlo. Ma dopo averli fatti, vi prego, agite. Parlate. Agite parlando. Le parole possono diventare azioni e influenzare la Storia. Si combatte anche così. Quante altre vittime ci vogliono per capirlo? Quante altre dighe? Quante altre invasioni russe di Paesi confinanti ?». Così mi dice Yulia Kozlovets - trentacinquenne direttrice del Salone del libro di Kiev, che poi è più un festival che una fiera - e a me viene in mente il dialogo con un soldato (ex studente, giovanissimo) di ritorno sul treno da Kharkiv, qualche giorno fa, al quale avevo chiesto se non gli sembrasse strano che la meta del mio viaggio fossero gallerie d'arte, musei, scuole, istituzioni culturali, e se non sentiva dissonanza tra la vita spezzata del fronte e quella non facilissima ma sicuramente più protetta di chi imbastisce programmi culturali, e altre cose "non essenziali". «E perché altro staremmo combattendo?», è stata la sua risposta lapidaria. È davvero più un festival che una fiera, quello che si apre il 22 giugno e dura fino a domenica 25, con un valore insieme simbolico e pratico, visto che si tiene sotto la minaccia costante e sonante degli allarmi, che restano in testa anche quando finiscono, come una seconda pelle del coraggio collettivo. Il nome completo è International Book Arsenal Festivall, e si tiene nel magnifico monumentale magazzino delle culture che osserva la città dal capo di una collina, eretto nel Diciottesimo secolo come deposito di polvere da sparo e poi adattato a diversi utilizzi, fino a diventare oggi un luogo amato e conosciuto dai cittadini. Immaginate un Salone del libro depurato dagli stand, mettetelo sotto la pressione dei missili, aggiungete un po' di spirito multidisciplinare, e avrete ciò che accadrà nel prossimo fine settimana sotto il cielo della capitale. Nel calendario di incontri, concerti, mostre, dibattiti spiccano discussioni intitolate "Il futuro e il passato dell'Ucraina attraverso gli occhi della fantascienza", oppure "Come funziona la diplomazia culturale", "Scaffali indistruttibili, sullo stato corrente delle biblioteche durante l'invasione russa", e anche "Donne liberate: le voci delle prigioniere di guerra ucraine", con una significativa sequenza di performance, connessioni con Vogue Ukraine, dj-set e musica barocca, film d'animazione, molta letteratura per bambini. Purtroppo, pochissimi ospiti stranieri.

Kiev chiama: “Intellettuali, agite” - La Stampa

Dice Yulia Kozlovets: «In realtà non sono così pochi! Ci sarà Jonathan Littell, che parteciperà a un dibattito sulla non fiction di guerra, e sarà presente fisicamente, e poi Timothy Snyder, che è molto importante per i giovani ucraini e per la coscienza nazionale, al quale proprio per il suo rilievo abbiamo concesso un privilegio unico». Quale? «Fare una lezione on-line. Questo festival nasce e rinasce anche per dimostrare che esistiamo, che possiamo stare insieme, fisicamente. Perciò abbiamo deciso di avere solo eventi in presenza. D'altra parte, nessuna ambasciata o ministero degli Esteri oggi può consigliare ai propri cittadini di venire in Ucraina, dunque c'era un impedimento tecnico ad aver ospiti stranieri in presenza. Allora, abbiamo pensato di concentrarci sul mondo della cultura nazionale e ospitare chi poteva permettersi di arrivare qui in totale autonomia decisionale». È stato escogitato un modo originale di coniugare la parte fieristica e quella culturale, che Yulia Kozlovets racconta così: «Prima Book Arsenal era una manifestazione gigantesca: c'erano più di quindici diversi palchi in cui ospitare eventi concerti letture, disposti su due piani, più la parte in esterno. Quest'anno invece per motivi di sicurezza i palchi sono solo tre, e non abbiamo potuto garantire le necessarie misure di evacuazione agli stand degli editori, troppo piccoli e ostacolanti per eventuali vie di fuga; perciò abbiamo chiesto a cinque librerie indipendenti di Kiev di allestire negozi pop-up divisi secondo i generi che trattiamo, cioè quasi tutti: una per la fiction, una per la non-fiction, una per i libri per bambini e ragazzi, una per arte architettura fumetti, e una per la sezione fondamentale di questa edizione, cioè la letteratura di guerra». Com'è organizzata questa sezione? «Si tratta di un tema cruciale e insieme doloroso. La verità è che molti scrittori, poeti e autori maschi sono in questo momento in guerra. E anche le autrici sono in qualche modo connesse con l'impegno totalizzante di tutta la nazione per vincere la guerra. In futuro, la letteratura ucraina non potrà prescindere dai diari, i racconti, le testimonianze e dagli incubi e dalle distorsioni prodotte dalla guerra». Si tratta della sezione più lacerante per i nostri occhi occidentali. Per comprenderne l'urgenza, basta chiedere al partner istituzionale del progetto, il ministero dei Soldati veterani di guerra, guidato dalla ministra Yulia Leputina, che mi dice: «È ovvio che il tema del veterano è e sarà una direzione potente nella letteratura moderna Ucraina. Vorrei che questa letteratura venisse letta, tradotta in altre lingue, in modo che cittadini e lettori di altri Paesi conoscano gli eventi in Ucraina e il prezzo che stiamo pagando per le nostre vittorie. Le storie che leggeremo e scriveremo sono il nostro prezzo collettivo tradotto in letteratura». Yulia Kozlovets prova a essere diplomatica, ma sento che non ha finito di rivolgersi alla nostra classe intellettuale: «Comprendo perfettamente che questa guerra sia lunga e che ci si annoia di tutto e ci si abitua a tutto. Ma noi non abbiamo scelta. Non possiamo scegliere di annoiarci o smettere di farlo. Una buona metà del Paese non può uscire dai confini. Chiediamo perciò un esercizio di pazienza ed empatia. Gli editori e le organizzazioni degli editori hanno capito questa richiesta e si sono offerti di funzionare da megafoni per un messaggio molto semplice: noi esistiamo, il festival del libro esiste, e dovete aiutarci a far sapere che esistiamo, che siamo qui. L'interesse che sta suscitando questa edizione del festival non è paragonabile a nulla che sia successo negli anni scorsi. Per questo ringrazio tutti!». L'ultimo incontro del programma, domenica 25 giugno, riguarda il "contratto sociale in Ucraina".

Chiedo a Yulia di raccontare perché si tratta di un tema fondamentale, specialmente adesso. «Combattiamo per non morire, come cultura e come identità nazionale, ma anche per diventare una democrazia compiuta, stare tra le democrazie, in Europa, nel mondo libero. E la democrazia è bellissima e scomoda, fatta di continua critica al potere. Il contratto sociale in un Paese come l'Ucraina non va dato per scontato. L'unità di fronte al nemico non è in pericolo. Siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Ma è vero - ed è un ottimo segnale per il futuro, per il mondo che verrà dopo la nostra vittoria - che controlliamo il nostro governo e ciò che intraprende. Per esempio, il governo ucraino aveva promosso un disegno di legge per bandire l'importazione di libri russi nel Paese. Di fatto nessun distributore e sopratutto nessun lettore è interessato a importarli, e quindi non si trovano, ma il disegno di legge misteriosamente non è mai diventato legge. Non è mai stato firmato. Non si sa il perché. So che potrebbe sembrare una forma di radicalizzazione, ma per emancipare l'intera nostra cultura dal mondo russo bisogna passare anche da questi atti formali. C'è ancora tanta strada da fare». L'inaugurazione del festival sarà tra pochi giorni, perciò Yulia Kozlovets e i suoi collaboratori - che sono veri è propri "curatori del libro" - hanno molto da fare, ma prima di congedarsi ha ancora qualcosa da aggiungere, specie quando le racconto che tanti bravissimi nostri scrittori hanno dubbi sulla necessità di sostenere l'Ucraina anche con le armi: «Abbiamo rapporti profondi e collaborazioni con manifestazioni italiane come la fiera del libro di Bologna, e siamo convinti che istruire un dialogo continuo con editori, autori e istituzioni sia il modo migliore per far conoscere l'urgenza morale del supporto anche militare al nostro Paese. Senza le vostre armi, semplicemente, l'Ucraina sarebbe stata spazzata via. Anche noi vogliamo la pace, ma stiamo difendendo il nostro diritto a vivere liberi. Gli intellettuali che sono figure pubbliche hanno un grande peso nelle democrazie evolute. Sono stufa di aprire i giornali e i siti internet e vedere persone intelligenti e influenti coltivare dubbi in pubblico, dubbi che sono, in questo contesto, pericolosi e ingiusti. Bisogna agire, istituire una rilettura della Storia anche culturale, dare spazio alle voci ucraine, capire che la nostra è una lotta progressista, di de-colonizzazione, di libertà». Le chiedo se non avrebbe senso pensare a un #Ukrainetoo, o qualcosa del genere, e mentre risponde annuendo, penso di nuovo allo sguardo del soldato sul treno da Kharkiv. Aggiungo che a Torino, la mia città, si tiene una delle più importanti book fair del mondo: le dico che sarebbe un sogno costruire un ponte tra l'Arsenale e il Lingotto. C'è un'espressione in ucraino che significa "Mi senti?", nel senso intimo e amichevole di "Mi capisci?", "Sei qui?", "Sei con me?". È una frase bellissima, che in lettere latine suona più o meno come "Ty zi mnoju? - Ty tut?'". Sarebbe bello che le scrittrici e gli scrittori italiani, e chi gestisce le nostre vicende culturali in prima persona, l'ascoltasse e rispondesse semplicemente: «Sì».

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