venerdi 19 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
02.06.2023 Iran, morte all'informazione
Commento di Parisa Nazari

Testata: La Stampa
Data: 02 giugno 2023
Pagina: 23
Autore: Parisa Nazari
Titolo: «Iran, morte all'informazione»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/06/2023, a pag.23 con il titolo "Iran, morte all'informazione" il commento di Parisa Nazari.

Iran, morte all'informazione: a processo le croniste che scoprirono il caso  Mahsa Amini, rischiano l'impiccagione - La Stampa
Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi

A chi mi chiede a che punto sia la notte in Iran porto l'esempio di Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi, le due giornaliste rinchiuse in carcere dalla fine di settembre per aver raccontato sui rispettivi giornali la storia di Mahsa Amini, portandola di fatto all'attenzione del mondo. Per capire il significato politico del caso, di cui mi occupo sin dall'inizio cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica italiana, basti pensare che è finito alcuni mesi fa nelle comunicazioni ufficiali dell'intelligence di Teheran come emblema della minaccia incombente sul Paese. Le due donne, entrambe poco più che trentenni, sono accusate, secondo quanto ricostruito da Reporter senza frontiere, di "collaborazione con governi ostili, cospirazione e collusione contro la sicurezza nazionale e propaganda anti establishment" . La pena prevista è l'ergastolo ma, sostiene sempre Rsf, se gli inquirenti confermassero il reato di "spionaggio" rischierebbero l'impiccagione. Niloofar e Elaheh sono donne, sono attiviste, sono giornaliste, sono la parte della società che poco alla volta ha tolto la terra sotto i piedi del regime: sono la sua spina nel fianco. Mi diceva nei giorni scorsi Riccardo Noury di Amnesty International che Iran è l'unico Paese in cui se devi citare dieci attivisti vivi trovi dieci donne. È una lotta che parte da lontano, che scava, carsica, sotto la routine quotidiana, ma che negli ultimi anni i social network hanno portato a galla. A quasi otto mesi dall'inizio della rivoluzione la repressione si è fatta incalzante. Dietro al messaggio spaventoso delle cariche in strada c'è quello, neppure troppo sotteso, agli organi d'informazione, ai giornalisti, a chi, raccontando, impedisce l'isolamento internazionale e dunque la condanna al silenzio del popolo iraniano. Niloufar, prigioniera a Evin, è imputata anche per aver scattato e pubblicato su "Sharq" la foto di Mahsa Amini morta in ospedale, un'immagine diffusa in realtà dalla famiglia. Mentre Elaheh, rinchiusa nel penitenziario di Qarchak, paga per la cronaca su "Hammihan" del funerale di Mahsa a Saqqez, nel Kurdistan occidentale, laddove risuonò per la prima volta lo slogan "Donna, vita, libertà". Accuse che sono simboli, marcatori, come i colpi sparati dalla polizia agli occhi di chi protesta. Il bersaglio è donna ma non è solo donna. Le donne iraniane in prima linea sin dal principio coinvolgono anche perché sono giovani, belle, coraggiose. Eppure sarebbe un grave errore dimenticare gli uomini che le affiancano, quelli più a rischio, quelli le cui sentenze capitali vengono eseguite davvero. Sette ragazzi sono stati impiccati dall'inizio delle proteste dopo presunte confessioni estorte con la tortura e un altro, Mohammad Ghobadloo, aspetta nel braccio della morte l'esecuzione annunciata come imminente. Mohammad è un ragazzo di soli 22 anni e soffre di disturbo bipolare. La situazione è pesante, l'attenzione del mondo è calata, le manifestazioni non ci sono quasi più e d'altra parte sarebbe stato difficile tenere le barricate in strada per nove mesi. Ma la protesta resiste, ha cambiato natura. Tanto per cominciare non si vede in giro neppure l'ombra di una contro-manifestazione, segno che ormai è impossibile per gli ayatollah trascinare in piazza le truppe cammellate minacciando ritorsioni: la società non li segue più al punto che durante una delle ultime manifestazioni filo-governative il quotidiano di Stato "Rooyesh Mellat" è stato costretto a ritoccare le immagini con Photoshop per camuffare la scarsa partecipazione. La geopolitica della nuova alleanza anti-occidentale con Mosca e l'ex nemica Riad gonfia la retorica ma non riesce a coprire le voci che cominciano a levarsi anche dentro alla maggioranza. E poi le donne, ancora loro, la spina nel fianco, l'icona del rifiuto. Anche se la prima udienza contro Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi si è conclusa senza difesa, senza testimoni, al buio, anche se sono molto in ansia so che camminiamo. Di recente un ufficiale della sicurezza nazionale ha ammesso che ci sono ormai milioni di donne senza velo in Iran e che non è possibile arrestarle tutte: uno squarcio nel buio, il regime non ha alcuna possibilità di vincere contro le coraggiose donne iraniane e contro gli uomini che le sostengono. Non si vedono più i cortei di ottobre, novembre e dicembre ma il NO è germogliato, si è fatto corposo, è quotidiano. E non c'è bavaglio che tenga: "Donna, vita, libertà".

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/ 65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT