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La Stampa Rassegna Stampa
02.02.2023 Bakhmut la città rasa al suolo
Analisi di Rick Mave

Testata: La Stampa
Data: 02 febbraio 2023
Pagina: 14
Autore: Rick Mave
Titolo: «Nel sottosuolo di Bakhmut»
Riprendiamo oggi, 02/02/2023 dalla STAMPA, a pag. 14, con il titolo "Nel sottosuolo di Bakhmut", il commento di Rick Mave.

RickMavePhotography | Sedition
Rick Mave

Israel reportedly leaning toward sending defensive military aid to Ukraine  | The Times of Israel

Bakhmut a guardarla sembra una città consegnata ai militari, campo di battaglia dove i bombardamenti sono continui, il rischio di perdere la vita è molto alto e la distruzione ha toccato ogni angolo. Un luogo invivibile, senza luce, gas ed elettricità, dal quale scappare appena possibile. I soldati di Mosca «stanno radendo al suolo la città, è una rovina totale, stanno uccidendo chiunque riescono a trovare», ha denunciato il capo dell'amministrazione militare ucraina della regione di Donetsk Pavlo Kyrylenko Eppure qui c'è ancora vita anche se non si direbbe. Entrando in automobile e attraversando i suoi viali dissestati e ghiacciati capita di vedere delle persone per strada, pochissime, provenienti o dirette ai pochi centri umanitari ancora aperti dove vanno a bere qualcosa di caldo, ricaricare i propri telefoni cellulari o prendere delle razioni di cibo. Per alcuni lo scantinato - pidval in ucraino - è il rifugio da dove non escono da settimane ormai, il loro mondo è tutto in queste cantine umide e fredde che nel tempo - quasi un anno ormai - sono state prima meta temporanea, poi luogo di riparo, quindi luogo di riposo notturno e infine "casa". Posti trasformati nel tempo - le entrate esterne coperte per l'inverno, gli ampi spazi sotterranei di mattoni grezzi suddivisi e adibiti a stanze create con pannelli di compensato, vecchie porte, cartoni e teli - da chi ci ha vissuto per mesi personalizzandoli e trasferendoci pian piano qualche suppellettile e i pochi beni risparmiati dai bombardamenti. Chi vive lì sotto si è abituato alle ombre create dalle candele, all'oscurità prima che alla luce, al silenzio. In alcuni scantinati non si sente neanche il suono dei bombardamenti. Per noi riuscire a capire e accettare una cosa del genere è molto complesso, vivere in condizioni di vita così difficili ed estreme è inaccettabile. Definire banalmente queste persone come filorusse in attesa dell'arrivo dell'esercito di Mosca in città o incolparli di testardaggine per ostinarsi a rifiutare di essere evacuati mentre la città brucia è ingiusto. Nessuno vuole lasciare la propria casa, nessuno è mai pronto a lasciare tutto e andare via anche se è costretto. A Bakhmut non è diverso. Entriamo in una casa al piano terra, all'esterno fa molto freddo, la porta è aperta, una candela illumina la carta da parati con delle foglie verdi che riveste le pareti, attraversiamo uno stretto corridoio, in fondo troviamo una piccola stanza dove cinque signore sedute in silenzio si scaldano intorno ad una stufa a legna. La luce proveniente da una finestra rotta chiusa con della plastica entra nella stanza, le anziane donne, tutte coperte per ripararsi dal freddo, siedono su delle sedie in cerchio, in attesa che la teiera sul fuoco sbuffi per versarsi dell'acqua calda e prepararsi del tè, il rumore dei bombardamenti pare non preoccuparle. Chiacchieriamo, Yevgeniya è la più giovane, ha 66 anni e ogni tanto dice una parola in inglese, mentre è rannicchiata all'interno del suo cappotto nel quale sembra scomparire. Anna, 74 anni, ci abbraccia con fare materno, veste una lunga gonna con delle scarpe da ginnastica malandate. Ci invitano a cantare tutti insieme delle canzoni italiane, le facciamo ridere e ridiamo anche noi, mentre fuori i bombardamenti non si fermano. La signora più anziana, 85 anni, dopo aver cantato con noi, si alza in piedi e con voce ferma e solenne racconta che della vita bisogna cercare di prendere sempre il meglio, essere sempre positivi e sorridere. Applaudiamo. Nessuna di loro ha intenzione di andare via da Bakhmut, dormono tutte nei pidval, ma quando fa troppo freddo, durante il giorno, vengono in questa stanza a scaldarsi. È un luogo di ritrovo per i pochi che vivono lì. Poco prima di andare via arriva un uomo per consegnare le pensioni alle anziane signore, non più di tremila grivnia ucraine ciascuno, circa settantacinque euro. L'uomo ha le carte bancomat di ognuna di loro e ogni mese va in banca a Sloviansk a ritirare i soldi delle loro pensioni. Le salutiamo tutte e accompagniamo la signora Anna nel suo rifugio. Mentre camminiamo la donna non sembra badare alla devastazione tra la quale si fa strada con il suo bastone, la seguiamo con apprensione. Superati due isolati arriviamo al suo rifugio che condivide con altre persone, all'esterno ci sono dei volontari che distribuiscono aiuti alimentari e piccole stufe a legna nuove, ognuno prende qualcosa da portare giù. Scese le scale dello scantinato entriamo in una stanza comune illuminata con delle candele. Ci accolgono con grande gentilezza, un uomo con una folta barba bianca e gli occhi grandi, chiari, con al collo una piccola torcia legata ad un filo - la luce è la cosa più preziosa che si possa avere in questi luoghi - ci guarda in silenzio mentre è appoggiato allo scatolone appena ricevuto dai volontari. Mentre ci fanno visitare il pidval e mostrano la stufa a legna appena ricevuta siamo attratti da una luce rossastra proveniente da una porta i cui quadranti sono tappati con della carta velina. Una candela illumina il viso di una donna seduta, immobile, che guarda verso l'esterno senza dire una parola, sono settimane che non esce dallo scantinato, per lei la guerra potrebbe durare per sempre.

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