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La Stampa Rassegna Stampa
03.10.2022 Shirin Ebadi: 'La repressione non fermerà la protesta in Iran'
Intervista di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 03 ottobre 2022
Pagina: 20
Autore: Francesca Paci
Titolo: «'La repressione in Iran non è una novità ma questa volta non torneremo indietro'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/10/2022, a pag.20, con il titolo "La repressione in Iran non è una novità ma questa volta non torneremo indietro", l'intervista di Francesca Paci.

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Francesca Paci

Shirin Ebadi - Wikipedia
Shirin Ebadi

Al tramonto del sedicesimo giorno di proteste l'incendio, divampato dopo la morte della studentessa Mahsa Amini, divora l'Iran e per una volta i rapporti di forza sembrano ribaltati, le forze dell'ordine colpiscono e uccidono ma i manifestanti, guidati dalle ragazze che fanno roteare l'hijab in mezzo alle strade, mantengono l'iniziativa. I video moltiplicano la rivolta di Teheran, Qoms, Tabriz, Sanandaj, Mashhad. Camionisti e tassisti che affiancano gli studenti, lezioni sospese in 25 università del paese, bazar chiusi, poliziotti respinti e spiazzati da un popolo che col velo pare essersi strappato di dosso la paura. L'avvocata Shirin Ebadi segue da Londra. L'esilio della prima donna musulmana insignita del Premio Nobel per la Pace dura dal 2009, tredici anni ad aspettare che una voce diventasse tante voci, un coro. Mentre parla al telefono con La Stampa il presidente Ebrahim Raisi rilancia l'accusa all'occidente di sobillare i disordini, un copione già scritto, almeno fino a questo punto, compresi i morti, già a quota 92. Shirin Ebadi sente il coro: stavolta, dice, non si ferma. Amnesty International ha diffuso un documento ufficiale in cui le autorità iraniane impartiscono l'ordine di «affrontare i facinorosi in modo brutale».

Pensa che possa finire peggio del 2009, quando la repressione fu spietata? «Purtroppo non è la prima volta che va così, il regime reagisce alle proteste sempre allo stesso modo: le schiaccia con violenza. Sta succedendo di nuovo, in pochi giorni ci sono già oltre duemila persone arrestate, più di 90 morti, la polizia che spara sulla gente come nella città sud-orientale di Zahedan. A fare la differenza oggi è la popolazione, arrivata al limite di sopportazione massimo. Ci sono oltre cento città in rivolta e non smobilitano».

Avevamo già visto le iraniane e gli iraniani in piazza, un'esplosione di rabbia fattasi più frequente negli ultimi quindici anni. C'è in questi giorni qualcosa di diverso, qualcosa che lasci intravedere un abbozzo di rivoluzione? «Le iraniane si sono espresse contro l'hijab sin dall'inizio, le prime proteste risalgono al 1979, gli albori della Repubblica Islamica. Ma all'epoca non avevano alcun sostegno da parte degli uomini, erano sole. Sono passati 43 anni e il regime ha rivelato il suo vero volto, ingiusto con tutti. E' così che, in quasi mezzo secolo, il popolo maltrattato ha accumulato altre richieste: oggi gli uomini scendono in piazza accanto alle donne e tutti insieme trasversalmente, i giovani come i vecchi, invocano la fine della Repubblica islamica e la sua sostituzione con un governo secolare in cui l'hijab non sia più obbligatorio».

Perché queste ragazze nate negli anni Duemila sembrano tanto più determinate delle loro sorelle maggiori? «Lo sono davvero. Perché hanno capito che la modalità di lotta delle sorelle maggiori non ha portato a niente. E vogliono provare a farsi sentire con il loro sistema, più radicale. Dicono che se non otterranno quanto chiedono non torneranno a casa. Sono donne giovani ma, anche grazie a internet che le collega in tempo reale con il mondo, sono più consapevoli delle generazioni precedenti». E' vero che i religiosi, insoddisfatti del regime, marciano accanto ai liberal? «Come tutti gli iraniani anche musulmani ultraortodossi vedono il loro Paese regredire giorno dopo giorno sotto il giogo di un regime che non ascolta i problemi del popolo. E hanno perso la fiducia, non credono più nel rapporto tra fede e politica. Per questo sono in piazza: il regime ha distrutto tutto, compresa la credibilità di quella religione che pretende di incarnare».

Perché l'hijab in Iran è un tabù tale da non poter essere neppure negoziato? «Il regime ha dichiarato in varie occasioni che l'hijab è la sua bandiera e che non può ignorarla. Quindi non negozierà. Nel frattempo però gli iraniani sono andati oltre, non gli basta più liberarsi del velo, vogliono la caduta del regime, vogliono un governo democratico che in quanto tale non imponga alcun tipo di hijab. Se pure domani fosse annullato l'obbligo di coprirsi il capo, si continuerebbe a protestare».

Tra gli slogan in piazza se ne sentono anche alcuni contro Putin. C'è qualche legame tra quanto sta accadendo in Russia e l'Iran, che fornisce a Mosca i droni kamikaze usati contro l'Ucraina? «La somiglianza tra la Russia e l'Iran sta nel fatto che sono entrambi dittature».

Che ruolo possono avere in questa partita l'occidente, l'America e l'Europa, mentre sullo sfondo si negozia l'accordo sul nucleare? «Vorremmo che l'occidente di non si limitasse a parlare ma iniziasse ad agire. Tutti in queste ore dichiarano il proprio sostegno al popolo iraniano, bene. Grazie. Noi però vi chiediamo di intervenire a livello politico e di richiamare i vostri ambasciatori».

Allo stadio in cui siamo, è ipotizzabile un cambio di regime all'interno del paese? «E' quello che vorrebbe la gente, spero ci si arrivi. Il guaio è che l'opposizione non ha una figura di riferimento chiara».

Quando pensa che potrà tornare a casa nel suo Iran? «Vorrei tornare più di qualsiasi altra cosa e tornerò, ma non so dire quando». Quanto tempo ci vorrà prima che una magistrata iraniana possa giudicare un uomo da pari a pari come avveniva prima di Khomeini? «Non appena avremo in Iran il sistema secolare chiesto dal popolo, vedremo giudici donne tornare in servizio. Immediatamente. A centinaia».

Cosa ha pensato quando l'anchorwoman della Christiane Amanpour ha rifiutato d'indossare il velo per incontrare il presidente Ebrahim Raisi, che, come risposta, ha cancellato l'intervista? «Provo molto rispetto per le giornaliste come Christiane Amanpour e come Oriana Fallaci che, in tempi e modi diversi, non vogliono soddisfare le ingiuste richieste del regime iraniano».

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