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La Stampa Rassegna Stampa
12.09.2022 La ritirata di Putin
Commento di Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 12 settembre 2022
Pagina: 3
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «I fedelissimi dello zar in rivolta»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/09/2022, a pag. 3, con il titolo "I fedelissimi dello zar in rivolta", l'analisi di Anna Zafesova.

Anna Zafesova | ISPI

Anna Zafesova


Vladimir Putin

«Fermate la ruota insanguinata!»: il messaggio sul sito della ruota panoramica "Il sole di Mosca" è firmato da "hacker russi" che chiedono di «punire i responsabili» della ritirata e di fermare la «intellighenzia liberale marcia che lancia fuochi d'artificio mentre i nostri ragazzi muoiono al fronte». La ruota, alta 140 metri, era stata inaugurata sabato da Vladimir Putin in persona, un regalo per il compleanno di Mosca, e si era subito bloccata. I malcapitati clienti sono stati rimborsati, tra mille ironie sulla disastrosa inefficienza di tutto quello che viene toccato dal presidente russo. Ma se il messaggio degli "hacker russi" fosse vero, la ruota bloccata diventerebbe una rappresentazione fisica del momento in cui il motore del consenso putiniano si è inceppato. La "ruota insanguinata" e i fuochi d'artificio erano i due spettacoli che Mosca aveva regalato sabato al popolo, in quella tradizione del panem et circenses che si ispira ancora ai riti sovietici: il primo "salyut" venne sparato nel 1943 per celebrare la liberazione proprio di quella Belgorod che oggi è sul ciglio del fronte. Un rito che richiama decine di migliaia di moscoviti, e che ieri, per la prima volta, ha suscitato rabbia: nel giorno della disastrosa fuga dell'esercito russo, i fuochi sono apparsi una celebrazione della trionfale avanzata ucraina. Il ministero della Difesa russo insiste su una manovra di "ri-raggruppamento", e qualche esperto da talk show cerca addirittura di presentarla come frutto di una trattativa con gli ucraini, ma la verità irrompe perfino dai canali di propaganda: decine di carri armati, obici e droni abbandonati, centinaia di automobili in coda al confine, migliaia di collaborazionisti fuggiti che vengono già accolti in territorio russo. I numeri della disfatta sono ancora da scoprire, ma appaiono devastanti, e il Cremlino tace in un silenzio che non si capisce se sia più minaccioso o sgomento. In un giorno, la finzione di una guerra vittoriosa è andata in frantumi. Perfino il sostenitore più agguerrito del presidente, il leader ceceno Ramzan Kadyrov, minaccia: «Se non verranno tratte conclusioni, nei prossimi giorni sarò io a spiegare alla dirigenza suprema la situazione». Il volto della propaganda televisiva Vladimir Solovyov pubblica e poi cancella un post nel quale invita a «fucilare» i responsabili della ritirata da Kharkiv, e sui social contrassegnati dalla lettera Z – il simbolo della "operazione militare speciale" in Ucraina – gli appelli a giustiziare colonnelli, generali e ministri piovono a raffica, mischiandosi alle sempre più frequenti e feroci critiche al finora intoccabile comandante supremo. È la rivolta del popolo di Putin, dell'elettorato più revanscista, militarista e nazionalista, quello nutrito per due decenni a colpi di nostalgia per l'impero e odio per le libertà democratiche. Sono in tanti a chiedere ritorsioni immediate contro Kiev, a invocare bombe atomiche e chiamate alle armi. «Dobbiamo tornare alla logica del 1941, tutto per il fronte, tutto per la vittoria», sintetizza il leader del partito Russia Giusta Sergey Mironov. Quanti siano questi «nemici dei fuochi d'artificio», come sono già stati battezzati dai politologi, non è dato sapere: come tutti gli elettorati del genere, sono composti in gran parte da guerrieri della tastiera, ma proprio in quanto rumorosi e aggressivi possono essere meno numerosi, ma più incisivi della maggioranza silenziosa. Che però non ha nessuna intenzione di prendere in mano i fucili: «Dai sondaggi risulta che la popolazione è stanca della guerra, e quindi il messaggio resterà quello di far vivere alla gente una vita normale», spiega i margini di manovra risicati del Cremlino il politologo putinista Sergey Markov. La "marcia intellighenzia liberale" contro la quale si scagliano gli hacker patriottici non è più rappresentata dai dissidenti (ormai quasi tutti in esilio), bensì dai fan moderati di Putin, dall'establishment di oligarchi e burocrati, e da quella massa che ha amato la retorica di grandeur imperiale e i petrolrubli da spendere in mutui agevolati. Non a caso il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ieri è tornato all'improvviso a chiedere negoziati che «più si rinviano e più saranno difficili». Il Cremlino è ora stretto tra due alternative impraticabili: iniziare una guerra totale significa perdere subito il consenso apatico dei russi, ignorare il disastro significa mettersi contro i più passionali, tra cui molti militari e poliziotti, la base del regime. Ricordandosi che nel 1917, a far cadere Nicola II – un altro zar convinto di avere una missione speciale, che insisteva a comandare personalmente le sue truppe, con risultati disastrosi – non furono i liberali e i socialisti, già critici dei Romanov – ma i nazionalisti e i monarchici più oltranzisti, delusi da un sovrano ritenuto troppo debole e corrotto.

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