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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
11.06.2021 Il capo di Gaza e gli altri leader di Hamas
Analisi di Vincenzo Nigro

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 11 giugno 2021
Pagina: 32
Autore: Vincenzo Nigro
Titolo: «Il signore di Gaza che comanda Hamas»
Riprendiamo dal VENERDI' di REPUBBLICA di oggi, 11/06/2021, a pag. 32, con il titolo "Il signore di Gaza che comanda Hamas" l'analisi di Vincenzo Nigro.

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Vincenzo Nigro

Hamas Gaza chief threatens new, heavier onslaught if Israel 'violates'  Al-Aqsa | The Times of Israel
Il leader di Hamas Yahya Sinwar con un bambino armato a Gaza

GAZA. Una scritta in vernice nera su un muro, in una traversa accanto alla nuova, ciclopica ambasciata del Qatar: "I palestinesi non accettano la dittatura, il popolo vuole la libertà". Con chi ce l'hanno? Con Israele che assedia la Striscia di Gaza dal giugno 2007, che blocca, controlla, limita le importazioni, le esportazioni, il movimento dei cittadini? Oppure ce l'hanno con Abu Mazen, il presidente palestinese che da 16 anni non cede la sua poltrona e non permette elezioni? E anche stavolta, prima le ha annunciate in gennaio, poi le ha bloccate in maggio. O forse ce l'hanno con Hamas, che è il vero signore della Striscia, che ha voluto la guerra di maggio con Israele, ed è sopravvissuto e si è rafforzato politicamente al prezzo di lutti e distruzioni pagati dai gazawi? Quest'ultima battaglia di Gaza, undici giorni dal 10 al 21 maggio, ha confermato il ruolo del movimento come primo nemico di Israele, essendo Hezbollah in Libano il secondo, con l'Iran che dall'alto arma e sostiene entrambi assieme alla più piccola Jihad islamica palestinese (Pij). Hamas in arabo vuol dire "Harakat al-Mugawama al-Islamiya", ovvero Movimento di resistenza islamico. Fu fondata all'inizio del 1987 dallo sceicco cieco Ahmed Yassin, come costola palestinese dei Fratelli musulmani egiziani. Un legame che Hamas ha poi reciso nel 2017, quando ha cambiato il suo statuto per sopravvivere nei rapporti con l'Egitto, che ha combatte la Fratellanza ormai in maniera radicale. Hamas all'inizio della sua vita fu favorita da Israele, che la vide come un possibile ostacolo all'al Fatah di Yasser Arafat, negli anni Ottanta impegnato in atti di terrorismo. Moshe Arens, ministro della Difesa del Likud, utilizzò alcuni generali come Gadi Shamni e Fuad Ben Eliezer per tenere contatti direttamente con lo sceicco Yassin. L'uomo che Israele poi eliminò con un missile quando Hamas a sua volta iniziò una campagna di attentati suicidi in Israele. Hamas mise a segno attentati come quello di Gerusalemme del 1997 (16 morti), quello di Rishon Lezion del 2002 (ancora 16 morti), il massacro su un bus ad Haifa il 5 marzo del 2003. Ma poi, anche grazie alla capacità di Israele di bloccare gli attentatori suicidi, progressivamente passò a utilizzare i razzi, missili senza guida, come arma per colpire Israele nei momenti di crisi o di tensione. Periodicamente Israele interviene, bombardando le postazioni di lancio, le officine segrete in cui vengono assemblati i famosi razzi "Qassam" oppure provando a devastare le strutture sotterranee come i tunnel e i bunker. Che è stato poi il vero obiettivo di quest'ultima guerra: distruggere "la metro di Hamas".

ELEZIONI SEGRETE Dal suo nascondiglio protetto, tre giorni dopo il cessate-il-fuoco, questa volta il leader del movimento della Striscia è spuntato fuori per nulla intimorito dagli 11 giorni di bombardamenti. L'uomo si chiama Yahya Sinwar, è nato 60 anni fa Khan Younis, nel Sud della Striscia. Ha sfidato i droni e i missili dell'aeronautica israeliana, che ha provato a ucciderlo bombardando la sua abitazione di Khan Younis il 16 maggio. All'interno di Hamas la crescita del ruolo di Sinwar è il risultato, il cambiamento più evidente di questo ultimo round di battaglia. Sinwar all'interno di Gaza e in generale in tutto il movimento si è consolidato come mai prima un leader di Hamas. Poche settimane prima della guerra, il movimento aveva tenuto in segreto le sue elezioni interne, in vista delle elezioni generali palestinesi che Abu Mazen ha convocato e poi cancellato per timore proprio che Hamas prendesse il sopravvento anche in Cisgiordania. Hamas è classificato come movimento terrorista dagli Usa, dalla Ue, naturalmente da Israele e da molti altri stati delle Nazioni Unite. Ma il movimento può essere considerato una struttura ibrida, all'interno della quale sono presenti forme di elezioni per scegliere la dirigenza. Nel mese di aprile ha tenuto le elezioni in tre "circoscrizioni": quella di Gaza, dove il movimento è dominante fra i palestinesi; in Cisgiordania, dove invece comanda il Fatah di Abu Mazen ma il movimento islamico è in forte risalita; terza area è il "resto del mondo", nella grande diaspora palestinese una constituency in cui il messaggio di Hamas (resistenza contro Israele, ogni trattativa politica è inutile) ormai è sempre più popolare. Sinwar era già stato rieletto leader a Gaza peril quadriennio 2021-2025: la nuova guerra gli ha dato una legittimazione che lo mette alla pari se non al di sopra di Ismail Haniyeh, il capo politico eletto nel mondo, che da anni vive a Doha come tanti altri capi ospitati da paesi amici come Qatar appunto, Turchia o Iran. Un altro leader di Hamas che in queste settimane continua a nascondersi a Gaza è Mohammed Deif, il capo dell'ala militare (incarico che in precedenza fu dello stesso Sinwar). Deif è il super-ricercato di Israele, che ha provato più volte a colpirlo con missili e bombe. L'uomo avrebbe perso un occhio e una mano, oltre alla moglie e ai figli uccisi in attacchi che erano mirati contro di lui. Ma continua a guidare le formazioni militari di Hamas che in questa guerra hanno lanciato più di 4000 razzi contro Israele. Basem Naim, ex ministro di Hamas e oggi direttore del Council on international relations, un centro di politica internazionale vicino al movimento, difende la tattica adottata da Sinwar e messa in pratica dal capo militare Deif: «Se a Gaza non ci difendiamo con la resistenza, anche lanciando i nostri razzi, non ci rimane che scegliere se morire di malnutrizione odi malattie». Naturalmente non è così: la dirigenza di Hamas non soffre di malnutrizione, per chi è in grado di pagare nella Striscia ci sono cibo e medicinali. Ma naturalmente la popolazione soffre, la disoccupazione è al 50%, il più grosso imprenditore sono le Nazioni Unite con l'Unrwa che garantisce uno stipendio a 13 mila persone: 8 mila sono maestri e professori delle scuole gestite quasi tutte proprio dall'Onu.

PERDONO SEMPRE I SOLITI A Gaza adesso tutti sanno chi ha vinto la guerra: Hamas e Israele insieme. Hamas perché materialmente ha lasciato distruggere ancora di più la Striscia, ma è stata legittimata politicamente. Ha vinto all'interno del campo palestinese, perché il Fatah di Abu Mazen è sempre più un pallido ricordo del movimento politico che fu. E poi adesso in un modo o nell'altro gestirà i milioni di dollari della ricostruzione. Come ci dice un piccolo imprenditore «se non avranno direttamente i soldi, saranno le loro ditte a gestire tutto». Dall'altra parte c'è Israele, che non ha sconfitto politicamente Hamas, ma conferma la sua deterrenza assieme al rapporto con gli Stati Uniti. Molti hanno letto a Gaza le parole di un politico israeliano che guidò una guerra a Gaza, l'ex primo ministro Ehud Olmert: «Come misuri il successo o il fallimento di un'operazione? Da una parte tu hai il più potente esercito di tutta la regione, e dall'altra parte un'organizzazione terroristica che ha soltanto un'arma, dei razzi abbastanza primitivi». Olmert mandò truppe di terra nella Striscia nel 2009, e oggi conclude: «Il fatto è che Hamas è riuscita a intimidire l'intera Israele, ci ha costretti a nasconderci nei rifugi nel mezzo della notte anche a Tel Aviv... Questo è un risultato». Nelle parole di Olmert c'è un senso di mancata vittoria, se non di sconfitta per Israele. Mentre fra i capi di Hamas c'è la sensazione non solo di essere sopravvissuti, ma di essersi rafforzati. Forse hanno vinto loro la guerra. Chi l'ha persa di sicuro, ancora una volta, sono gli uomini, le donne, i vecchi e i bambini di Gaza. Per loro la tregua è solo una pausa fra altre devastazioni.

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