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La Stampa Rassegna Stampa
21.01.2020 Iran verso il nucleare: con Zarif cambia la tattica comunicativa, non la sostanza
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 21 gennaio 2020
Pagina: 14
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Zarif minaccia: pronti a uscire dal Trattato sul nucleare»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/01/2020, a pag.14, con il titolo "Zarif minaccia: pronti a uscire dal Trattato sul nucleare", la cronaca di Giordano Stabile.

A destra: Javad Zarif, Ministro degli Esteri iraniano

L'Iran cambia parzialmente strategia di comunicazione e - dopo le frasi di Khamenei che hanno incitato alla violenza contro Usa e Occidente - punta sul Ministro degli Esteri Zarif, considerato meno estremista almeno nello stile e nelle parole. Zarif è colui che ha firmato l'accordo del 2015 sul nucleare voluto da Obama e dall'Europa, è grazie a lui che gli ayatollah vogliono rinforzare l'asse con i Paesi del Vecchio Continente.

Ecco l'articolo:

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Giordano Stabile

L'Iran alza ancora di una tacca il livello del scontro e minaccia di abbandonare il Trattato di non proliferazione nucleare se i Paesi europei si rivolgeranno al Consiglio di sicurezza dell'Onu per metterlo sotto accusa riguardo le violazioni dell'intesa del 2015. Sono due accordi diversi. Il primo è il fondamento dello sforzo della comunità internazionale per arrivare a un mondo senza atomiche. Soltanto un Paese lo ha ripudiato dopo averlo firmato, ed è la Corea del Nord, uscita nel gennaio del 2003 per lanciarsi nella corsa verso la Bomba. Oggi Pyongyang possiede una ventina di testate, oltre a missili balistici, ed è diventata un modello agli occhi dell'ala oltranzista del regime. I pasdaran sono convinti che una volta in possesso della deterrenza nucleare la Repubblica islamica diventerà intoccabile.
Il fronte riformista guidato dal presidente Hassan Rohani è di diverso parere ed è convinto che gli Stati Uniti possono tollerare una Corea del Nord nucleare ma non un Iran dotato di armi di distruzione di massa.

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Rohani ha puntato tutte le sue carte su un'intesa, raggiunta nel 2015 con Barack Obama. Contava, con la fine delle sanzioni, di rilanciare l'economia, aprire il Paese al mondo, soddisfare i bisogni materiali e intellettuali dei giovani e della borghesia urbana, la sua base elettorale. L'offensiva di Donald Trump, deciso a strappare un accordo più stringente con la "massima pressione" economica, lo ha messo con le spalle al muro. Il presidente iraniano ha sperato per un anno e mezzo che l'Europa potesse offrire una via per aggirare le sanzioni statunitensi. Allo stesso tempo ha dovuto cedere alle esigenze degli oltranzisti e ha ricominciato ad arricchire l'uranio a livelli proibiti.
La scorsa settimana Gran Bretagna, Francia e Germania hanno denunciato le violazioni e a questo punto l'Onu potrebbe a sua volta reintrodurre sanzioni, la mazzata finale. Il ministro degli Esteri Javad Zarif, punta di lancia del fronte riformista, ha reagito ieri con toni duri, inusuali per il personaggio: «Se gli europei si rivolgono al Consiglio di sicurezza – ha minacciato – usciremo dal Trattata di non proliferazione». L'intera dirigenza della Repubblica islamica vede ormai poche vie d'uscita. L'economia si avvicina al collasso. Nell'anno fiscale 2018-2019 il Pil è sceso del 4,6 per cento, quest'anno calerà del 7,2 per cento. Un terzo delle riserve valutarie è andato in fumo. Di questo passo nel 2023 rimarranno solo 20 miliardi di dollari. E per la prima volta in vent'anni la bilancia commerciale è in deficit, perché l'export di petrolio è sceso da 2,8 milioni di barili a 400 mila.

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