Tre interessanti analisi oggi su Corriere della Sera, La Stampa,Il Foglio. Guido Olimpio analizza il terrorismo in Kuwait, Maurizio Molinari descrive lo scenario dall'America e Daniel Pipes i rapporti dell'Occidente con l'Arabia Saudita.
Cominciamo con Guido Olimpio sul Corriere della Sera: "La trama del predicatore Abu Thabet: aprire il Fronte Kuwait" a pag.9 Per ora si conosce solo il nome di battaglia. Abu Thabet. Kuwaitiano, predicatore di fede sciita, ha studiato nella città santa di Qom ( Iran), è sospettato di essere il leader di una organizzazione clandestina. L’obiettivo del gruppo è la destabilizzazione del Kuwait, spingendo l'emirato verso l'arco della crisi che sconvolge la rotta del petrolio. Per un anno la formazione ha arruolato mujaheddin e li ha inviati a combattere in Iraq. Ma tra le autorità è crescente il timore che il nucleo jihadista possa passare all'azione all'interno del Kuwait. La storia di Abu Thabet è particolare e ricorda quella di un altro ribelle, famoso in questi mesi, lo sciita iracheno Moqtada Al Sadr. Nel 2002 il mullah Abu Thabet raggiunge Qom per perfezionare i suoi studi. Ha ottenuto facilmente il visto e l'accesso alle scuole di teologia perché ha in tasca la segnalazione di un operativo dell' intelligence iraniana in Kuwait. Lo 007 è rimasto colpito dal fervore rivoluzionario e dalla determinazione politica del giovane, doti che ne fanno il candidato ideale a guidare una cellula. Durante il soggiorno a Qom — racconta una nostra fonte a Dubai — Abu Thabet sorprende positivamente gli iraniani. Il suo impegno va oltre ogni attesa e l'intelligence decide di rimandarlo in patria con una missione. Abu Thabet entra all'Università del Kuwait come membro dello staff nella facoltà di studi religiosi. Usando questa posizione il mullah allarga il network di rapporti sia con il corpo insegnanti che con giovani di fede sciita. E' il classico agente di influenza, con compiti da reclutatore. La guerra in Iraq offre ad Abu Thabet una nuova opportunità: può selezionare ragazzi disposti a unirsi alla resistenza irachena. Ed è quello che avviene. Un primo nucleo raccolto attorno al mullah parte per l'Iraq, alcuni tornano, altri restano uccisi sul campo. Per proteggere l'organizzazione, Teheran offre ad Abu Thabet una rete di sostegno. I volontari seguiranno brevi corsi di preparazione militare non in Kuwait, ma in Siria, Libano e nello stesso Iraq. Un profilo basso legato all'azione delle autorità kuwaitiane. I servizi di sicurezza locali — afferma la nostra fonte — avrebbero le prove di un summit tra 007 iraniani e rappresentanti di un partito sciita fuorilegge. La scoperta è stata seguita da una protesta diplomatica e da un avvertimento a Teheran ad astenersi da ogni ingerenza. C'è il sospetto che i jihadisti sciiti abbiano nella loro agenda un progetto che investe direttamente il piccolo Stato petrolifero. A un membro dell'organizzazione caduto nelle mani della polizia è stata trovata una cartina con Iraq, Iran e Kuwait racchiusi da un cerchietto rosso. Secondo gli esperti kuwaitiani Teheran, che ha già un piede in Iraq attraverso la forte comunità sciita, vuole estendere la sua influenza in Kuwait per creare « un grande Iran ». Maurizio Molinari su La Stampa: "Alla ricerca degli alleati perduti" in prima pagina. La formazione del governo ad interim iracheno sotto gli auspici dell’Onu inaugura quello che si annuncia come il mese più lungo di George W. Bush. Forte del successo ottenuto con l’insediamento dei ministri a Baghdad e dell’intesa personale e politica con il premier iracheno Iyad Allawi, il Presidente americano inizia venerdì a Roma una corsa a tappe disseminata di vecchi rischi come di nuove opportunità. La scommessa della Casa Bianca è di innescare una fase di cooperazione internazionale sommando risultati in crescendo: definitiva riconciliazione con la Francia di Jacques Chirac sulle spiagge della Normandia, patto sulla nuova risoluzione Onu al summit del G-8 di Sea Island e accordo sull’impegno della Nato in Iraq al vertice atlantico che avverrà in Turchia alla vigilia del trasferimento dei poteri. La posta in palio non potrebbe essere più alta. Se la maratona diplomatica riuscirà, la comunità internazionale si unirà sulla transizione in Iraq come già avviene sull’Afghanistan, accompagnando assieme entrambe le nazioni ex terroriste verso le prime libere elezioni. E la data del 30 giugno segnerà non solo il ripristino della sovranità irachena, ma anche il superamento della più seria crisi consumatasi fra alleati dalla fine della Seconda guerra mondiale, che si aprì con la decisione americana di rovesciare Saddam Hussein. A decidere la sorte di un mese cruciale per l’Iraq e per i rapporti transatlantici come per Bush e per la sua rielezione in novembre, saranno due elementi variabili. Primo: la flessibilità di Washington sulla delicata questione del comando della forza multinazionale ovvero la possibilità di definire nel testo della risoluzione Onu un compromesso legale e lessicale che consenta agli Stati Uniti di conservare il controllo dei loro 138 mila soldati ed a Baghdad di non cedere nulla della sua ritrovata e piena sovranità. Secondo: la capacità militare della guerriglia irachena e di organizzazioni terroristiche come Al Qaeda di far deragliare la transizione mettendo a segno attentati contro il governo Allawi e i Paesi della coalizione. Con Baghdad alle soglie della sovranità, il Palazzo di Vetro al lavoro sulla risoluzione e Stati Uniti ed Europa in rotta di riavvicinamento, la cautela resta tuttavia d'obbligo per via delle forti incertezze politiche legate alla continuazione in Iraq di un conflitto senza tregua fra forze alleate e guerriglia.