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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
01.09.2005 Il capro espiatorio dell'instabilità mediorientale: naturalmente Israele
lo indica Eugenio Scalfari nella risposta a un lettore

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 01 settembre 2005
Pagina: 8
Autore: Eugenio Scalfari
Titolo: «Riuscirà il trauma di Gaza a risolvere la contraddizione di Israele?»
IL VENERDI' DI REPUBBLICA del 26 agosto 2005 pubblica, a ritiro di Gaza ancora in corso, una lettera piuttosto pessimista di un lettore e la risposta di Eugenio Scalfari.

Come si sia concluso il ritiro di Gaza è cosa ormai nota, tuttavia le preoccupazioni del lettore del VENERDI', proiettate su di uno scenario di più lungo periodo, sono lontane dall'essere superate.
La risposta di Scalfari, però, elude tutte le questioni poste dalla lettera (dal ruolo di Hamas ai progetti di genocidio nucleare di Teheran) per concentrarsi su due questioni ritenute dal giornalista "essenziali per comprendere a fondo quanto sta avvenendo e quanto potrà accadere.
In primo luogo le "colpe" dei governi israeliani che dal 67 ad oggi hanno tollerato o incoraggiato gli insediamenti. Posto che quelle politiche siano state erronee, è ovvio in questo momento il terrorismo di Hamas e la bomba atomica iraniana sono minacce molto più concrete e pressanti alla pace. La scelta di non discuterne e di richiamare invece le presunte responsabilità passate di Israele rivela la volontà di indicare questo Stato come perenne capro espiatorio del caos mediorientale e come vero responsabile dell'odio e della violenza che lo flagello, indipendentemente dalle sue scelte politiche.
Volontà che risulta ancora più evidente quando Scalfari passa alla seconda "essenziale" questione.
Ovvero la natura "confessionale" dello Stato di Israele testimoniata secondo Scalfari "progetto di fondo della "Grande Israele" " (mai adottato da i governi isreliani, di fatto sempre pronti a ceder territori in cambio di un pace che, con poche eccezioni, gli arabi non sono mai stati pronti a concedere) e "la netta demarcazione tra i cittadini ebrei e quelli arabi di Israele" (inesistente).
Scalfari arriva a scrivere "la pace in quella tormentata regione non ci sarà se non quando il popolo israeliano non avrà preso coscienza della necessità di distinguere tra Stato e religione quando le principali comunità della diaspora sparse in tutto il mondo e soprattutto in Occidente non contribuiranno con gli israeliani a rendere operante questa distinzione", attribuendo alla mancata laicizzazione dell'unico Stato laico del Medio Oriente (insieme alla Turchia) la responsabilità delle guerre e del terrorismo che sconvolgono il Medio Oriente e pronunciando anche una chiamata di correità per le comunità ebraiche della diaspora.
Caratteristico della distorsione totale della verità storica, e di quella della cronaca, operata da Scalfari, è il fatto che al "fanatismo radicale" palestinese è attribuita, contrariamente che ha quello "religioso" israeliano (per il resto, per Scalfari, speculare al primo, nonostante il fatto che uno sia terrorista e l'altro no, se non in piccolissime frange) una natura esclusivamente "nazionalista". Come se Hamas non esistesse!

Resta da vedere quale sia il "processo salutare" di cui, secondo Scalfari l'abbandono degli insediamenti potrebbe segnare l'"inizio", in che cosa consista per lui la "distinzione tra Stato e religione" che sola potrebbe portare, a suo dire, la pace in Medio Oriente.

Non è difficile capirlo: nella soppressione della legge del ritorno o nell'istituzione di un'analoga legge che garantisca ai profughi palestinesi delle guerre arabo-israeliane e ai loro discendenti di stabilirsi in Israele. Risiede in quella legge, che non riguarda i diritti di cittadinanza, ma la possibilità di ottenere la cittadinanza, infatti, l'unica distinzione legale tra ebrei e non ebrei operata dallo Stato di Israele (inoltre, gli arabi, come gli ebrei ortodossi, non hanno l'obbligo del servizio militare).

Le due cose segnerebbero la fine del progetto sionista e di Israele come Stato degli ebrei (la seconda, con ogni probabilità, anche come Stato democratico).

Ecco servita la "ricetta Scalfari" per la pace in Medio Oriente: è la stessa indicata dalla propaganda della Libia di Gheddafi e dell'Iran degli ayatollah: la distruzione di Israele per via di suicidio democratico ( e demografico).

In questo quadro desolante, passano in secondo piano persino alcune "sorprendenti" affermazioni di Scalfari. Per esempio: che "il grosso delle colonie" sia stato costruito "dopo Oslo", che Israele "si sia persino chiamato Stato ebraico", che lo slogan "un ebreo non caccia un altro ebreo" riprenda "una massima biblica".

Ecco i testi della lettera e della risposta:

Comunque vada a finire( le scrivo quando già oltre cinquemila coloni di Gaza hanno accettato il trasferimento imposto da Ariel Sharon mentre poco meno di duemila l’hanno rifiutato e dovrebebro nelle prossime ventiquattr’ore esser portati via con la forza dall’esercito di Israele) questa vicenda h aperto una ferita inguaribile nella storia dello Sttao ebraico. Per di più esso di trova tuttora a dover fronteggiare una popolazione palestinese tutt’altro che convinta della necessità della pace tra i due popoli e ancora in larga misura sotto l’influenza di Hamas, che non è propriamente un’influenza pacificatrice.
Mi pare dunque che l’intera situazione sia fuori controllo. Il Likud, di fatto, non esistepiù. La disciplina dell’esercito registra crepe preoccupanti. Nel frattempo l’Iran degli ayatollah procede col suo programma nucleare e missilistico che ha Israele come primo obiettivo in agenda. Possibile immaginare un futuro più fosco di così ?


Le rispondo a giro di e-mail, signor Lampredi; nel momento in cui scrivo sono anch’io all’oscuro del finale di questa complicata vicenda, ma lei ha elencato con chiarezza i termini della questione e anche le profonde contraddizioni che la caratterizzano.
Dal canto mio ne segnalo altre due che mancano dal suo elenco, ma che sono essenziali per comprendere a fondo quanto sta avvenendo e quanto potrà accadere.
La prima: sbagliarono gravemente i governi israeliani che nei trentotto anni passati dalla guerra del 67 incoraggiarono o tollerarono la fondazione di "colonie" israeliane in cisgiordania e Gaza. Gli ultimi insediamenti in Cisgiordania sono recentissimi, di tre o quattro anni fa ; il grosso è comunque successivo agli accordi di Oslo che avrebbero dovuto semmai dare inizio alle prime smobilitazioni degli insediamenti israeliani, ma non produssero affatto quel risultato.
Il popolo di Israele sta ora pagando a caro prezzola politica quarantennale ispirata al disegno della "Grande Israele", coltivato ancora fino a un paio d’anni fa, ancorché contrastante con tutti i parametri di previsione e valutazione della dinamica mediorientale.
La seconda contraddizione è stata lucidamente colta da Sandro Viola nell’articolo dello scorso 17 agosto su Repubblica, quando ha scritto che "i coloni ebrei resistono ma l’esercito israeliano dovrà portarli via anche con la forza". Lo slogan che i coloni scandiscono dietro i cancelli delle loro case a Gaza ripete una massima biblica che dice: "gli ebrei non cacceranno via altri ebrei" . Ma in questo caso quella massima non è applicabile perché non si tratta più di una contrapposizione tra ebrei bensì tra ebrei da un lato e istituzioni di uno Stato dall’altro. Uno Stato laico, starei per dire, che privilegia la politica al radicalismo religioso.
Come non vedere che questa è la vera "svolta virtuosa" che può cambiare tutti i dati del problema mediorientale e influire positivamente sull’evoluzione della regione.
Il terrorismo, la repressione israeliana, l’Intifada, hanno per molti anni affondato le radici nel fanatismo radicale di entrambe le parti in campo, religioso in Israele, nazionalista tra i palestinesi. Israele, contrariamente alle premesse fondative, si è addirittura chiamato ed è stato chiamato Stato ebraico.
Ebbene , la pace in quella tormentata regione non ci sarà se non quando il popolo israeliano non avrà preso coscienza della necessità di distinguere tra Stato e religionee quando le principali comunità della diaspora sparse in tutto il mondo e soprattutto in Occidente non contribuiranno con gli israeliani a rendere operante questa distinzione.
So bene che Israele non è uno Stato dominato dal pensiero rabbinico bensì da leggi e da istituzioni democraticamente stabilite. Tuttavia il progetto di fondo della "Grande Israele" come pure la netta demarcazione tra i cittadini ebrei e quelli arabi di Israele, contraddicono questa parvenza laica ed è proprio lì che sta uno degli elementi essenziali della tragedia di quel Paese.
L’abbandono degli insediamenti di Gaza e Cisgiordania e il contrasto in atto tra una parte dei coloni e lo Stato può segnare , nella sua dolorosa drammaticità, l’inizio di un processo salutare.
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