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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
05.08.2005 Far di tutta l'erba un fascio: è la regola quando si tratta di coloni
rispettata in un articolo di Alberto Stabile

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 05 agosto 2005
Pagina: 52
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Ora Sharon è preso tra quattro fuochi. Appiccati dai coloni»
Dal VENERDI' DI REPUBBLICA datato 5 agosto 2005 riportiamo l'articolo di Alberto Stabile "Ora Sharon è preso tra quattro fuochi. Appiccati dai coloni".
Piuttosto scorretta l'assimilazione di tutto il movimento anti ritiro alle frange violente minoritarie, come quella che ha compiuto un tentativo di linciaggio a HofDekalim e quella che che indulge alla pratica di pronunciare maledizioni contro il premier israeliano.

Ecco il testo dell'articolo:

Dargli del traditore non basta più. Gli ultraortodossi che si oppongono
al ritiro dai Territori si sono riuniti in quattro Quartieri generali. E
hanno sfoderato una nuova arma; le maledizioni indirizzate verso il
premier. Che risponde organizzando sgomberi con la massima attenzione.
Anche psicologica


GERUSALEMME. Nessun uomo politico israeliano ha mai ricevuto
tanti incensamenti e tante maledizioni come Ariel Sharon. È ormai
diventata un’arma spuntata della estrema destra messianica dare del
«traditore» a quello che fino a un anno fa era soprannominato, per i
suoi meriti di leader e l'appeal esercitato sulle masse, «Arik, re
d'Israele». Un’arma meno banale, e certamente più pericolosa per la
salute di Sharon, è, invece, l'insistenza con cui alcuni rabbini
oscurantisti invocano la peggiore delle maledizioni kabalistiche, detta
in aramaico pulsa de nura, letteralmente, «staffilata di fuoco», sulla
testa del primo ministro, reo di voler evacuare le colonie di Gaza,
mettendo cosi in pericolo, secondo i suoi fanatici detrattori, la vita
di altri ebrei
Vale la pena di ricordare, infatti, che la stessa maledizione divina
venne evocata contro Yitzhak Rabin quando nella destra israeliana
cominciò a montare la campagna d'opposizione contro gli accordi di Oslo,
e alcune frange, cospicue, della stessa estrema destra nazionalista si
abbandonarono a una serie di provocazioni, incitamenti e congiure. Da
autentico fanatico imbevuto di cattivi insegnamenti, Yigal Amir si diede
il compito di eseguire la «condanna» auspicata da certi rabbini. La
differenza è che per i molti estremisti, che da mesi tengono in
costante, altissimo allarme le forze di sicurezza incaricate della
protezione del premier, raggiungere Sharon è molto più difficile di
quanto fu per Yigal Amir raggiungere Rabin.
Così, non potendo fermare in altro modo l'uomo che ha concepito il
processo che condurrà al primo ritiro israeliano da una parte dei
Territori occupati con la guerra del '67, i menagramo ultranazionalisti
spargono notizie su malori, mai avvenuti, che avrebbero portato Sharon,
se non sul punto di morire, in uno stato di totale impossibilità a
continuare il suo mandato. Infatti, ictus, e via dicendo fanno sorridere
l'entourage del premier, ma amareggiano molto Sharon. «Dove siete?» ha
chiesto al telefono a uno stretto collaboratore del Primo ministro, uno
dei più noti giornalisti israeliani, Shimo Shiffer: «A Ichilov» (un
importante centro medico di Beer Sheva), ha ironizzato l'interlocutore.
Il fatto è che la galassia dei nemici del ritiro, non s'è arresa davanti
all'inarrestabile macchina del «disimpegno» messa in piedi dal premier
per condurre in porto il suo piano. Questa galassia è più vasta,
efficace e bellicosa di quanto non si pensi. La sua esistenza non è
contingente e non è destinata a esaurirsi con l'evacuazione dei 21
insediamenti di Gaza e dei quattro nel nord della Galilea. La strategia
dei coloni è, in realtà, proiettata verso il futuro, a impedire altri
eventuali ritiri dalla Cisgiordania. Per questo gli esperti
dell'intelligence interna temono che il «disimpegno» da Gaza vedrà
episodi di violenta resistenza, perché c'è una minoranza che vuole che
il ritiro rappresenti un monito e un deterrente contro altre possibili,
analoghe concessioni.
Non è un caso che molti dei capi della rivolta di questi giorni fossero
già attivi nelle proteste contro gli accordi di Oslo (1993). Nadia
Matar, fondatrice delle Donne in verde, un gruppo sorto in
contrapposizione con l’organizzazione pacifista delle Donne in nero, a
chi la intervista oggi, trova il modo di ricordare che passò in carcere,
insieme con il marito, il
decimo anniversario di matrimonio, dopo essere stata fermata a una
manifestazione violenta, nel febbraio del '95, contro la pace
sottoscritta da Rabin e Arafat.
Oggi Nadia è uno dei leader della rivolta. Alcuni mesi fa,
dall'insediamento di Ofra (vicino a Rama1lah) s'è trasferita nel Gush
Katif, a Shirat Hayam, in una delle baracche abbandonate dall'esercito
egiziano dopo la sconfitta del '67, baracche originariamente destinate
al riposo degli ufficiali del Cairo. In queste casupole cadenti, alcune
senza tetto, altre senza pavimento, né servizi, si sono installati
alcuni degli estremisti venuti dalla Cisgiordania e infiltratisi nel
Gush Katif per dar manforte a quella parte della popolazione degli
insediamenti che intende resistere all'ordine di evacuazione.
Anche Baruch Marzel e Moam Federman sono due guerrieri messianici di
lungo corso e, come Madia Matar, si sono trasferiti negli insediamenti
di Gaza per partecipare alla rivolta contro i piani del governo.
Entrambi erano e sono attivisti del Movimento Kach, fondato dal rabbino
Meir Kahana (ucciso da un terrorista, a New York, nel 1991), la cui
ideologia, decisamente razzista, propugna l'espulsione degli arabi dai
Territori.
Marzel e Federman, insieme con Itamar Ben Gvir di Gerusalemme, hanno
preso posto nell'albergo abbandonato di Hof Dekalim che, fino a quando
non è stato sgomberato dalla polizia, fungeva da quartier generale della
resistenza.
Da lì è partita una vergognosa spedizione punitiva contro un gruppo di
ragazzi appartenenti all'etnia Mawasi, una minoranza araba che vive
pacificamente dentro il Gush Katif. I ragazzi passeggiavano
tranquillamente sulla spiaggia. Uno di loro è stato quasi linciato,
mentre un altro è stato ferito da un colpo di pistola.
Certamente, non tutti i 240 mila coloni sono disposti a scendere in
piazza contro il ritiro, forse meno della metà si sentono coinvolti. E
tuttavia lo Yesha, il Consiglio dei Capi delle amministrazioni locali di
Giudea, Samaria e Gaza, è in grado di mobilitare almeno centomila
persone sulla base di parole d'ordine relativamente moderate, ma dal
contenuto più o meno consapevolmente eversivo. La marcia sul Gush Katif,
è un'invenzione dello Yesha, che sperava, bloccando il maggior numero
possibile di poliziotti e soldati, di capovolgere una decisione del
governo e del parlamento che non considera espressione della sovranità
nazionale, ma al pari della polizia e dell'esercito, strumenti nelle
mani di Sharon.
Ben quattro quartier generali tentano di monopolizzare i duri e puri che
s' oppongono all'evacuazione. Il «Quartier generale della lotta», che ha
inondato il Paese di nastrini arancione, opera dall'interno del Gush
Katif. Il «Quartier generale alternativo» contesta al primo un eccesso
di moderazione e vorrebbe fortificare il blocco degli insediamenti per
impedire alla polizia di arrivarci. Il «Quartier generale congiunto» ha
la pretesa di coordinare tutti i movimenti di destra, mentre il
«Quartier generale muraglia di difesa», guidato dal fratello del
ministro dell'Educazione, Limor Livnat, indirizza la sua propaganda
eversiva sui soldati, invitandoli alla disobbedienza.
La "Jewish leadership" è invece la creatura di Moshè Feiglin, facoltoso
membro del Comitato centrale del Likhud e instancabile finanziatore di
«acquisizioni», mediante esproprio o compravendita, di proprietà arabe.
La direzione giovanile del movimento coordina l'attività degli
adolescenti, indirizzandoli a tutta una serie di manifestazioni di
disturbo, come blocchi stradali e blocchi di uffici pubblici. Obiettivo:
tenere occupati i poliziotti e i soldati impegnati nei preparativi del
ritiro e procurarne lo sfinimento fisico.
A questa incessante pressione propagandistica che non esita a dare dei
«nazisti» ai militari che ottemperano agli ordini, l'esercito cerca di
rispondere rafforzando le difese psicologiche dei suoi uomini con un
lavoro di training affidato a un team d'esperti. Il tempo dirà quanto
sarà stato efficace.
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