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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
15.07.2004 Sorpresa ! La visione di George W. Bush sull'America e il Medio Oriente
in una intervista corretta ed equilibrata

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 15 luglio 2004
Pagina: 26
Autore: Trude B.Feldman
Titolo: «George W. Bush Perchè credo il me stesso e in questa America»
Su Venerdì di Repubblica in uscita domani 16 luglio 2004 viene pubblicata una lunga e interessante intervista a George W. Bush a cura di Trude Feldman, giornalista americana. Stupisce, in maniera senz'altro positiva, che il supplemento del quotidiano dell'Ing de Benedetti abbia pubblicato un pezzo che si discosta del tutto da quelli che regolarmente ci propone, tra i quali citeremo ad esempio quelli firmati da Vittorio Zucconi, critici per partito preso nei confronti dell'attuale amministrazione americana. Lieti di darne atto, di seguito riproduciamo l'intervista.
Le critiche alla sua gestione dell'Iraq e del conflitto israelo-palestinese? Le ignora. E dice di essere determinato a portare avanti il suo grande progetto per il Medio Oriente. Con il tresferimento della sovranità in Iraq ormai ompletato e con la soddisfazione di vedere Saddam Hussein processato per i suoi crimini, il presidente è comnvinto che le cose stiano cominciando ad andare nella direzione voluta.
Il Bush che concede un'intervista esclusiva nello Studio Ovale è un presidente che analizza con un atteggiamento tra il filosofico e il fiducioso quella polveriera che è oggi il Medio Oriente. "Il mio progetto è di dare vita a un Iraq libero e democratico e a uno Stato palestinese altrettanto libero, pacifico e democratico. Dovranno servire da catalizzatori per il cambiamento, in una regione in cui cova un forte risentimento e che è stata un luogo di reclutamento per terroristi che vogliono uccidere cittadini americani. Vogliono spingerci ad abbandonare questi Paesi per imporre la loro volontà."
Bush, però, riconosce che in Iraq l'America ha incontrato grandi difficoltà. All'inizio della guerra, l'Amministrazione sosteneva che la strada per Gerusalemme passava per Bagdad: da allora, i progressi verso una risoluzione del problema israelo-palestinese e il ristabilimento della pace e dell'rodine in Iraq si sono rivelati sfide assai più impegnative del previsto. Ripensamenti, però, nessuno. Non sul ruolo dell'America in Iraq nè sulle decisioni prese al riguardo. Turbamenti, neppure: le critiche ricevute non lo hanno toccato.


Non la preoccupa, specialmente in vista delle elezioni, il fatto che le sue scelte in Iraq e nel resto del Medio Oriente incontrino unìopposizione così forte?

"Credo che il compito di un leader sia avere un progetto a lungo termine, una visione basata sulla speranza e l'ottimismo. Che si fonda su principi come quello della legalità, di un trattamento giusto ed equo per tutti. Non abdicherò a questi principi, anche se la pressione si farà insostenibile. L'America deve essere alla guida. A volte la gente non ama la leadership, ma finirà per apprezzare un mondo più pacifico come risultato della determinazione dell'America. Nascerà dalla nostra volontà di affrontera Al Qaeda, di promuovere la creazione di società libere in Iraq e nei territori palestinesi. Io guardo lontano e so riconoscere la strada da percorrere: so che ci saranno momenti in cui la gente sarà scontenta e insoddisfatta di alcune decisioni. Ma quello che conta è raggiungere lo scopo. Questo è il mio lavoro di presidente: vedere con chiarezza dove voglio andare ed essere fermo e irremovibile nella volontà di realizzare questa visione."

Con la violenza in Iraq e la mancanza di una soluzione alle questioni che dividono israeliani e palestinesi, tuttavia, la sua politica si è rivelata più difficile del previsto.

"La ragione della violenza in Iraq è che questo Paese sta marciando verso la libertà. E' una lotta di grandi proporzioni e ho ben chiaro qual è il compito dell'Amercia. Come leader, sono disposto a prendere una posizione forte e a chiedere ad altri di unirsi a noi. C'è chi non è d'accordo, chi rifiuta di impegnarsi perchè c'è da fare un lavoro difficile. Ma l'America non può tiarsi indietro, così come non si è tirata indietro in passato. Ho ricordato alla gente che dopo la Seconda Guerra Mondiale avremmo potutto lasciare al suo destino la Germania devastata. Avremmo potuto dire. "Questo lavoro è troppo difficile". Invece non cisiamo sotratti e ora l'Europa è libera, unita e in pace. Un risultato che dà più sicurezza anche all'America. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in Giappone, avremmo potuto dire: "Il Giappone non può essere una società libera e democratica": per fortuna, al posto di comando c'erano leader capaci di pensare a lungo termine, gente che non stava a sentire i sondaggi o i focus group. Persone che credevano in un sistema di valori e che hanno voluto realizzarlo. Oggi il Giappone è un Paese democratico: il suo primo ministro e io la pensiamo allo stesso modo e lavoriamo insieme per preservare la pace in Estremo Oriente. In altre parole, governare non vuol dire che tutti siano contenti di quello che faccio. Di questo sono consapevole. Ma finchè siederò in quest'ufficio comtinuerò a governare, perchè credo, nelle mie capacità, credo in quello che stiamo facendo e credo in quello percui si batte l'America".

Anche se consapevole delle critiche che suscite, in tutto il mondo, la sua politica in Medio Oriente, lei ribadisce che vuole essere il presidente americano che convincerà israeliani e palestinesi a risolvere insieme le loro divergenze e non crede che si possa imporre loro un compromesso. Ma ritiene che ogni presidente americano abbia il dovere di difendere lo Stato di Israele?

"Si, perchè Israele è uno Stato amico da molto tempo, e perchè è una democrazia. E penso che l'America abbia la responsabilità di difendere un proprio amico".

Cosa risponde a chi la accusa di essere troppo sbilanciato a favore di Israele?

"Che sono il primo presidente americano ad aver detto di fronte al mondo, alle Nazioni Unite, di volere la creazione di uno Stato palestinese che viva in pace, fianco a fianco con Israele. Quando i palestinesi avranno un governo moderno e riformista, riceveranno grandi aiuti economici per l'istruzione e la sanità e per fare partire l'economia.E' nell'interesse di Israele avere ai propri confini uno Stato pacifico e che dia speranza ai palestinesi".

Ritiene ancora possibile la creazione di due Stati entro il 2005?

"Vedo che sta nascendo uno Stato palestinese. Ovviamente, quando ho parlato del 2005, speravo che fosse possibile rispettare questa data. Ma c'è stata una battuta d'arresto con il riesplodere della violenza e con la sostituzione di Abu Mazen (l'ex primo ministro dell'Autorità palestinese,ndr). E' possibile quindi che non si reisca a rispettare quella scadenza. Ma per creare uno Stato palestinese, è necessario che in Palestina si facciano avanti e assumano il comando dei leader riformisti che hanno a cuore l'interesse del loro popolo".

Che cosa risponde a che la critica dicendo che i problemi tra Israele e i suoi vicini sono legati o intrecciati alla sua politica in Iraq?.

"Il problema per i palestinesi è il territorio: non hanno uno Stato e non hanno una leadership. Credo che il maggior ostacolo oggi sia proprio questa mancanza di leadership, di qualcuno che esca fuori e dica: "Aiutateci a creare uno Stato e noi combatteremo il terrore e risponderemo ai desideri del popolo palestinese". Ma non sarei così sicuro che questa mancanza di comando abbia qualcosa a che fare con la situazione in Iraq".

I recenti sviluppi hanno svuotato di significato il piano di pace della Road Map, annunciato il 30 aprile 2003?

"No. La Road Map ha un ruolo importante nel processo di pace, Rappresenta un passo avanti e un modo per coinvolgere la comunità internazionale e deve garantire che il nascente Stato palestinese riceva il sostegno di cui ha bisogno per crescere. Un sostegno economico, politico e, soprattutto un sostegno per la costruzione di quelle forze di sicurezza necessarie per combattere i terroristi che vogliono bloccare il processo di pace. La nascita di uno Stato palestinese avrà due effetti importanti: riporterà la calma e dimosterà che la democrazie e la libertà sono possibili nel Grande Medio Oriente. Ritengo anche che l'Iraq e uno Stato palestinese fungeranno da catalizzatori per il cambiamento. E lo Stato iracheno nascerà. In Iraq la sfida è sconfiggere i combattenti stranieri legati ad Al Qaeda e chi non accetta il cambiamento.
Man Mano che l'Iraq avanzerà verso la democrazie, costoro cercheranno di bloccare il processo di avanzamento, perchè non possono tollerare l'idea di una società libera"

Che cosa pensa dell'idea che il Quartetto (Usa, Onu, Ue e Russia) possa garanitre il mantenimento dell'ordine nella striscia di Gaza, se Israele si ritirasse?

"Credo che ci sia un modo migliore per ottenere questo obiettivo, e cioè lavorare per realizzare uno forza di sicurezza palestinese che si preoccupi degli interessi del suo popolo. Comunque, mi sono sentito sollevato quando il Quartetto ha dichiarato che potrebbe essere coinvolta anche la Banca mondiale".

Ritiene che l'aumento dell'antiamericanismo e dell'antisemitismo nel mondo siano il frutto dell'invasione dell'Iraq?

"Come leader del mondo libero mi opporrò, e gli Stati Uniti si opporranno, alle tendenze antisemite che vediamo chiaramente in diverse parti del mondo. Ho inviato una delegazione di alto profilo a Berlino, in aprile, per la Conferenza sull'antisemitismo (la conferenza era promossa all'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europae vi ha parlato il Segretario di Stato Colin Powell, ndr). La mia Amministrazione ha contribuito a dare vita a questa conferenza, è un problema su cui vogliamo richiamare l'attenzione".

Che cosa può dire sull'ondata di attacchi terroristici contro i dipendenti delle aziende petrolifere in Arabia Saudita?

"Non mi piace veder uccidere degli americani, o chiunque altro. Credo anche che i sauditi ormai dispongano di molti professionisti, oltre agli americani, per gestire lo proprie strutture. La sfida è continuare a lavorare con l'Arabia Saudit per combattere Al Qaeda, che ha fatto di quel Paese uno dei fronti della guerra attuale. Perciò è necessaria una cooperazione omolto ampia con il governo saudita: per combattere questi assassini. Preferiamo lottare contro di loro in Paesi stranieri che combatterli qui a casa nostra".

Non crede che le sanzioni imposte alla Siria l'11 maggio possano creare ulteriori problemi nella regione?

"Devono capire cosa significa impegnarsi. Non c'è alcun bisogno di dare ospitalità a chi predica odio. E se altri si unissero agli sforzi per snidare le organizzazioni terroristiche che uccidono persone innocenti, avremmo un mondo migliore. Le persone civili non dovrebbero consentire gli omicidi. Alcuni uccidono per creare paura e farci vacillare".
Il presidente aggiunge che anche in Iraq ci sono molti individui pacifici che hanno bisogno di protezione, e gli Stati Uniti vogliono dare loro un mano a riuscire a governarsi da soli. "Questa è una guerra contro gente malvagia che vuole uccidere persone innocenti, come successe quando uccisero Sadat, un grande uomo".

Ma le difficoltà in Medio Oriente, derivano anche dal fatto che tanti non comprendono le intenzioni degli Stati Uniti?

"Sono tempi difficili per l'America e il Medio Oriente, Molti credono che la mia Amministrazione e il popolo americano siano mossi da cattive intenzioni. Ma non è così. Il mio obiettivo è lavorare per creare società libere e pacifiche e proteggere la sicurezza degli Stati Uniti. Gli americani vogliono la pace e la prosperità nella regione. Nella mia posizione, nel mio ruolo, è fondamentale mantenere fermo l'obiettivo di un domani migliore. Ascolto le critiche, certo, ma non lascio che mi condizionini. Parte del mio lavoro consiste nel prendermi le critiche e sono pronto a farlo. Ma noi crediamo che tutti gli individui debbano essere trattati con rispetto e dignità: riconosciamo le differenze e le consideriamo un valore. E lasci che le dica qualcosa su di me: a chi mi crititca rispondo che il mondo sarà un posto migliore senza Saddam Hussein. Siamo in Iraq da quasi sedici mesi, e ora sta nascendo un Iraq libero e la società ne beneficerà. Ma la vera storia della mia Amministrazione sarà scritta tra cinquant'anni e nè io nè lei saremo qui per leggerla...."
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