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La Repubblica Rassegna Stampa
28.01.2024 Israele crea la nuova difesa
Cronaca di Fabio Tonacci

Testata: La Repubblica
Data: 28 gennaio 2024
Pagina: 2
Autore: Fabio Tonacci
Titolo: «La zona cuscinetto»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/01/2024, a pag. 2, con il titolo "La zona cuscinetto" la cronaca di Fabio Tonacci.


Fabio Tonacci


La mappa della "Zona cuscinetto"

KHAN YUNIS (GAZA) — La vogliono terra di nessuno e di niente. Una fascia profonda quasi un chilometro lungo la recinzione della Striscia di Gaza dove non una casa dovrà rimanere in piedi. I soldati israeliani che hanno avuto l’ordine di spianarla con le mine e coi bulldozer la chiamano zona cuscinetto: priva di ripari, off limits, controllabile, che impedisca ai miliziani di Hamas di piazzare lanciarazzi e di avvicinarsi di nascosto al recinto. I palestinesi, che giorno dopo giorno assistono alla compressione del loro spazio, la chiamano, invece, patria. «La zona cuscinetto è necessaria per la sicurezza degli israeliani che vivono vicino alla barriera…», spiega il tenente colonnello Anshi, 46 anni, della 55esima brigata paracadutisti riservisti, gente che prima del 7 ottobre faceva altro nella vita. Lui lavorava in un’azienda hi-tech. Gli è bastato uno sguardo per intuire il nostro smarrimento di fronte ai cumuli di calcinacci, pezzi di tetto e pilastri mozzati che fino a poco tempo fa erano le abitazioni delle famiglie palestinesi. E che ora sono il tappeto che conduce a Khan Yunis. Il fuoristrada avanza in una nube di polvere, sobbalzando sui detriti e schivando le voragini dello sterrato. «Siamo dentro la Striscia, laggiù, da qualche parte, si nasconde Sinwar », fa Anshi, indicando i palazzi in lontananza. Siamo entrati da un varco nella barriera largo una decina di metri, nei pressi del kibbutz Kissufim: rete alta otto metri, filo spinato, le bandiere bianche e blu con la Stella di David che interrompono la monocromia giallognola di questa landa martoriata. «Prima di arrivare in città — avverte Anshi — c’è una cosa da vedere qui…». Repubblica è tornata nella Striscia di Gaza. A novembre eravamo stati a Gaza City, stavolta a Khan Yunis: assediata dalle forze armate israeliane (Idf), è l’ultimo rifugio conosciuto di Yahya Sinwar, la mente che ha partorito l’orrore del 7 ottobre. Sono passati più di cento giorni dall’inizio del conflitto e ancora ai giornalisti viene impedito di entrare liberamente. L’unica opzione è andare embedded con l’esercito e ciò significa sottostare a regole d’ingaggio, valide solo per questo reportage. Dopo la missione, l’ufficio della censura militare ha revisionato le fotografie e i video, chiedendo di non pubblicare una foto dove si vedeva un deposito temporaneo di munizioni. «È obiettivo sensibile». Nient’altro. Che sia in corso la realizzazione della zona cuscinetto lo si è scoperto per caso. Una settimana fa 21 riservisti dell’Idf sono rimasti uccisi in questa regione mentre posizionavano cariche in due palazzine. Ilgruppo di Hamas è sbucato da uno dei tanti anfratti urbani e ha sparato un razzo Rpg, facendo esplodere le mine e crollare gli edifici. Il portavoce dell’Idf ha ammesso che i soldati stavano demolendo «infrastrutture usate dai terroristi» a 600 metri dalla recinzione, «per creare le condizioni di sicurezza per i residenti del sud d’Israele». Il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha confermato poi che le truppe erano effettivamente «nella zona cuscinetto ». È così che è venuta fuori la notizia. Che non è neutra. Le autorità palestinesi la ritengono una nuova occupazione, un altropezzo di suolo sottratto. Il Dipartimento di stato americano ha chiesto più volte al governo Netanyahu di astenersi dal modificare in modo permanente il territorio della Striscia. E le organizzazioni internazionali ripetono che sbancare un’area abitata in quel modo (secondo Channel 12,il canale israeliano più seguito, sono già stati demoliti circa 1.100 edifici sui 2.850 che si trovano nella zona cuscinetto) può configurare ilcrimine di guerra. Superato il varco, il tenente colonnello fa fermare il convoglio che trasporta Repubblica e altre quattro testate. Siamo a 300 metri dalla recinzione. Un pennacchio di fumo nero sopra i tetti della periferia di Khan Yunis, tre colpi dell’artiglieria e un paio di raffiche di mitragliatore segnalano un combattimento in corso che l’ufficiale stima «a un chilometro e mezzo». Sul terreno brullo, dove ancora resistono ciuffi d’erba, si apre uno scavo che scende di una decina di metri. «Ecco cosa vi voglio far vedere…». In fondo c’è una bocca di cemento. «Come talpe, il 7 ottobre sono sbucati da qui. Il cunicolo lo abbiamo scoperto due settimane fa, si snoda per più di un chilometro in direzione della città. Non arriva in superficie, i terroristi hanno scavato la terra per uscire fuori e attaccare la recinzione». Sulle scalette interne sono state trovate tracce di fango fresco e orme di stivali, forse il tunnel sia stato utilizzato anche di recente per spiare i movimenti dell’esercito. Dopo averlo esplorato («nessun indizio di presenza degli ostaggi»), il tunnel è stato distrutto con esplosivo liquido. «Ne abbiamo scoperti a migliaia, collegati tra loro nelle case, nelle scuole e nelle moschee». È la motivazione con cui giustificano l’urgenza di spianare la superficie, e smantellare tutto ciò che è stato costruito sotto. «Siamo a buon punto, ma la rete nelle viscere di KhanYunis è persino più estesa di quella di Gaza City». Già prima dell’invasione della Striscia esisteva una fascia off limits di 300 metri che correva lungo i quasi 60 chilometri di recinzione, dove però ai palestinesi era consentito coltivare gli orti. Il piano israeliano ora è di raddoppiarne, e in alcuni tratti triplicarne, l’ampiezza. «Muoviamoci, non abbiamo molto tempo», ordina Anshi, rimettendo in marcia il convoglio. La seconda tappa è una scuola elementare nella periferia Est della città. L’Idf è arrivato 55 giorni fa, c’è stato un duro conflitto a fuoco come raccontano i fori di proiettile sui muri delle aule. «Hamas le utilizzava come base, adesso ci sono le nostre truppe acquartierate. Quando abbiamo preso la posizione, i cittadini se n’erano già tutti andati». Il tenente colonnello non ha alcun fremito quando, poco lontano, sganciano un ordigno. È un uomo colto, padre di famiglia, parla le lingue, sa come rapportarsi con la stampa. Gli chiediamo perché l’Idf spara anchesui civili, perché quei filmati che documentano palestinesi inermi con bandiere bianche in mano falciati da raffiche di mitra. «Quando succede, è una disgrazia vera», risponde. «Non vorremmo mai che accadesse. Il nostro esercito si attiene alle regole, scrupolosamente. Prima di attaccare un ospedale o una scuola, per esempio, il protocollo prevede che venga informato il Capo di stato maggiore a cui dobbiamo portare le prove della presenza dei terroristi all’interno». Però accade, continua ad accadere, muoiono gli innocenti. «Ogni comando ha un legale che monitora il rispetto delle norme, facciamo di tutto per salvaguardare la popolazione, che viene usata dai terroristi come scudo». Il grado di devastazione, per quel che si può vedere in poche ore, è totale. Khan Yunis oggi è il centro del conflitto. I combattimenti più sanguinosi sono nella parte Ovest, davanti al mare. Più di 25 mila le vittime denunciate sinora dal ministero della Salute controllato da Hamas. Migliaia di cittadini stanno evacuando verso Rafah, l’ultima città prima della frontiera chiusa con l’Egitto, l’angolo della Striscia ora più affollato. L’Idf riferisce di aver aperto un corridoio umanitario. Attorno alla scuola non si scorgono case definibili tali. «Erano infrastrutture di Hamas », taglia corto l’ufficiale. «Il tempo a disposizione è finito, dobbiamo rientrare».

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