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La Repubblica Rassegna Stampa
30.06.2023 Putin e Prigozhin, due misteri e una certezza
Analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 30 giugno 2023
Pagina: 1
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Due misteri e una certezza»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 30/06/2023, a pag. 1, l'analisi dal titolo "Due misteri e una certezza" di Bernard-Henri Lévy.

Bernard-Henri Lévy - Concordia
Bernard-Henri Lévy

Interpol Drops Extradition Notice for 'Putin's Chef' Prigozhin - The Moscow  Times
Evgeny Viktorovich Prigozhin

Sono tornato in Ucraina. Ed è a Casiv Jar, nella zona di Bakhmut, che vengo a sapere dell’ammutinamento di Prigozhin. Una faccenda oscura che, vista da qui, si è conclusa con due misteri e una certezza. Il primo mistero è dato dalla singolare ingenuità di Putin. Come ha potuto quest’uomo, collegato ventiquattr’ore su ventiquattro con i servizi segreti, lasciarsi ingannare sino a questo punto? La spiegazione sarebbe da ricercarsi nel nonno. Già: si dice che il nonno sia stata l’unica persona al mondo a cui Putin abbia voluto un po’ di bene. E come Prigozhin, che, proveniente dalle gang di San Pietroburgo è poi diventato il suo cuoco personale, questo amato nonno Spirion Ivanovitch Putin - era stato a sua volta il cuoco di Lenin e di Stalin. Il loro uomo di fiducia, il loro assaggiatore. Un assaggiatore non tradisce. Un assaggiatore è come un cane: pronto a morire per il suo padrone, al posto suo. Motivo per cui Putin, pur avendo notato le alzate di testa e le provocazioni vieppiù insensate del suo assaggiatore, e pur essendo informato in tempo reale dei preparativi dell’ammutinamento (perché la mobilitazione di venticinquemila uomini, l’occupazione di un quartier generale strategico come quello di Rostov, la marcia verso Mosca, le staffette e le adunate non si possono certo improvvisare), pur sapendo e vedendo ogni cosa, semplicemente non ci ha creduto. Aneddotica. Ma aneddotica romanzesca. E purtroppo, nei romanzi degli uomini, i tiranni hanno un loro ruolo.

Vladimir Putin pushed to brink of nuclear horror | The Australian

Il secondo mistero è quello della buffonata di Prigozhin e della farsa, poche ore dopo, del suo voltafaccia. Viene da pensare a un Bonaparte da operetta. A una riedizione dell’impresa di Fiume, ma persino più patetica, e senza l’effervescenza di D’Annunzio. Putin ha persino evocato il 1917, paragonando quindi i mercenari della Wagner ai comitati militari dei bolscevichi. Altri hanno riesumato l’”Operazione Valchiria” con cui, nel luglio del 1944, i generali tedeschi tentarono di rovesciare il proprio capo. E viene immancabilmente alla mente l’immagine di un generale Boulanger in versione gangster che ben presto, anziché morire suicida sulla tomba della propria amante, sarà defenestrato a Minsk o finirà vittima di una vodka “allungata” con il polonio. Qui, in Ucraina, la spiegazione che si dà è più prosaica. Prigozhin è un mercenario. Il suo contratto stava per scadere a giorni. Entro la fine di giugno i suoi uomini avrebbero dovuto essere integrati nell’esercito regolare, e lui quindi non sarebbe più stato pagato. Un mercenario che non viene più pagato ha un solo pensiero per la testa: riuscire ad ottenere ciò che gli è dovuto, con ogni mezzo possibile e immaginabile:pressioni, estorsioni, ricatti. Il cliente cede? Molto bene. Fine della commedia. Ognuno se ne torna a casa e lui si ritira in Bielorussia. La certezza, invece, è in tutta questa faccenda il “signore di tutte le Russie” è il grande perdente. Un uomo che il mondo intero – ad eccezione degli ucraini - considerava un buon giocatore di scacchi. Un dittatore che passava per essere un uomo di marmo, dall’anima impassibile. Uno zar dal pugno di ferro e dai riflessi d’acciaio. Il condottiero che ci incuteva tanta paura, di cui si temevano i calcoli implacabili e del quale - quando gli ucraini reclamavano aerei e cannoni – si diceva che sarebbe stato capace di ricorrere a un’escalation di qualsiasi tipo. Quest’uomo ha permesso che alcune migliaia di pagliacci sanguinari percorressero ottocento chilometri nel territorio russo senza incontrare alcuna resistenza. Impotente, ha lasciato che abbattessero un elicottero, prendessero d’assalto il quartier generale strategico dell’“operazione speciale” e discutessero con gli ufficiali di guarnigione come se Prigozhin fosse il loro capo, e che seminassero il panico sino a Mosca. Ha assistito incredulo all’accoglienza che villaggi e città hanno riservato a questi uomini, accompagnati da “evviva” e dall’invocazione a gran voce di “Wagner! Wagner!”, tra cittadini che mendicavano selfie e offrivano loro chi un caffè, chi dei pop-corn chi dei fiori. Non si è trovato un veicolo qualsiasi per opporsi a questa farsa, e i corrispondenti locali del Fsb sono rimasti a loro volta in un prudente stato di attesa. Non contento di fallire in Ucraina, quest’uomo ha avuto la dimostrazione di non poter nemmeno controllare il proprio Paese. Nel giro di mezza giornata, la diffusa sensazione di una forza contenuta e di infallibile “decisionismo”, derivati dalla paura che i dittatori ispirano, si è volatilizzata. È evaporata in Ucraina, dove tutti sanno che, come mi diceva agli inizi della guerra il rabbino di Uman, Putin è una tigre di carta. Si è evaporata in Russia, dove ormai si sa che il re è nudo e che, come dopo il fallito colpo di Stato dell’agosto del 1991 che fece precipitare lo smembramento dell’Urss, un altro golpe, più serio, potrebbe far cadere in qualsiasi momento il regime. Ed è evaporata in Occidente, dove è ormai ragionevole considerare in termini del tutto nuovi l’ipotesi - che tanto ci terrorizzava - del tiranno ormai alle strette, che si gioca in extremis la sua ultima carta. Chi può ancora credere che un domani, nella catena di comando necessaria al compimento di una simile follia, gli stessi che quasi lo hanno lasciato per Prigozhin sarebbero disposti a suicidarsi con lui?
(Traduzione di Marzia Porta)

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