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La Repubblica Rassegna Stampa
27.05.2023 Turchia al ballottaggio, Erdogan prepara la vendetta
Analisi di Gabriella Colarusso

Testata: La Repubblica
Data: 27 maggio 2023
Pagina: 14
Autore: Gabriella Colarusso
Titolo: «Nel fortino di Istanbul dove i rivali di Erdogan temono la sua vendetta»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/05/2023, a pag.14, con il titolo "Nel fortino di Istanbul dove i rivali di Erdogan temono la sua vendetta", la cronaca di Gabriella Colarusso.

Gabriella Colarusso (@gabriella_roux) | Twitter
Gabriella Colarusso

Turkey: Erdoğan faces his greatest electoral challenge yet | Financial Times
I due sfidanti Kilicdaroglu ed Erdogan


ISTANBUL — Nell’ufficio al terzo piano della malandata palazzina del Chp, Ali Narin cerchia sulla mappa i distretti in bilico: «Qui, qui e qui — s’accalora — possiamo conquistare voti. Dobbiamo motivare i nostri, c’è ancora tempo», dice con inscalfibile ottimismo. Questo tipografo cinquantenne guida il partito repubblicano (Chp) a Kadikoy, il quartiere ribelle di Istanbul, sponda asiatica, dove la classe creativa ha trovato rifugio dopo la repressione di Gezi Park, 10 anni fa, e dove l’opposizione turca ha costruito il suo fortino elettorale tra caffè, gallerie e studi di design. Al primo turno delle presidenziali, l’onda rossa di Kadikoy ha contribuito al vantaggio di Kemal Kilicdaroglu: a Istanbul il leader dell’opposizione ha preso il 48% dei voti contro il 46% di Erdogan, uno smacco per il presidente che nella città sul Bosforo ha costruito la sua fortuna politica. Ma rischia di essere una vittoria di Pirro. Al ballottaggio di domani Erdogan è il grande favorito, anche grazie all’appoggio dei nazionalisti di Ogan, secondo la società Konda potrebbe finire 52% a 47%. Per Istanbul, è una partita doppia perché in gioco non c’è solo la presidenza. «Se vince, Erdogan proverà a mettere le mani sul comune », ci racconta un funzionario della municipalità che chiede l’anonimato. La prossima primavera ci saranno di nuovo le amministrative. Sul sindaco Ekrem Imamoglu, il vero leader carismatico del Chp che nel 2019 strappò la metropoli al controllo ventennale dell’Akp, pende la mannaia di una probabile condanna per insulti alla commissione elettorale, con bando pluriennale dalla politica. Qualche giorno fa, a un giornalista che gli chiedeva se davvero il governo potesse piazzare al suo posto un uomo di fiducia, dopo le elezioni, Imamoglu ha risposto: «Possono fare tutto, fanno qualsiasi cosa. Hanno preso tempo perché se ci fosse stata la mia condanna prima delle elezioni, avrebbe portato voti all’opposizione. In nessun momento della storia turca la politica ha usato la magistratura come un’arma in questo modo». «Queste elezioni sono esistenziali per noi», sospira Tuna Mitrani mentre si accende una sigaretta e sfoglia lo smartphone. Ha 35 anni, fa la social media manager. «Se perdiamo, andrò via dalla Turchia, e come me altri democratici: non ci sarà più ossigeno, la repressione aumenterà». In Parlamento, i conservatori hanno già la maggioranza, insieme all’Akp ci sono anche gli islamisti di Huda Par, che l’opposizione chiama “gli Hezbollah curdi”. «Daquel che si sente dire, hanno in mente di proporre leggi che limitano i diritti delle donne per esempio nel divorzio», racconta Nilden Bayazit, presidente di Ben Secerim — “Io scelgo” — una ong nata due anni fa per far crescere la rappresentanza femminile in Parlamento. «Se Erdogan vince, per i diritti delle donne saranno tempimolto duri». Per tentare una improbabile rimonta e recuperare i voti della destra nazionalista, Kilicdaroglu haabbandonato la retorica dell’inclusività usata al primo turno e ha giocato la carta populista anti-immigrati, girando alla larga dai curdi — che comunque gli hanno garantito il loro sostegno — e lasciando interdetta la sua stessa base. «Abbiamo tradito Kemal (Ataturk,ndr )e stiamo consegnando il potere a un culto islamico con l’uomo solo al comando. Ho votato Kilicdaroglu, ma non so se domani tornerò a votare», ci dice Ramzan, operaio, curdo, alla fine del turno di lavoro in uno dei cantieri navali di Tuzla, estrema periferia orientale di Istanbul. Per arrivarci bisogna attraversare i grandi sobborghi nati con l’immigrazione degli anni Sessanta, Sancaktepe, Sultanbeyli, Pendik, una cintura metropolitana dove l’Akp vince a valanga. «Sono i nuovi poveri urbani, tagliati fuori dalla Istanbul della classe ricca, a loro Erdogan e i conservatori hanno dato un prestigio che non avevano», spiega il professore Ersin Kalaycioglu, uno dei più eminenti studiosi di scienze politiche della Turchia, autore diThe Rising Tide of Conservatism in Turkey . Il mix di crescita, assistenzialismo e re-islamizzazione che ha radicato il potere dell’Akp, fino a poco tempo fa funzionava anche a Tzula. Ora la cittadella delle navi si è scoperta divisa, contesa- complice la crisi economica - tra Erdogan e Kilicdaroglu, tra chi sogna la «grande nazione musulmana», come Mustafa, giovane barbiere che se ne sta seduto davanti al suo negozio in attesa di clienti, e chi, come il capitano Goksel, 45 anni da Izmir, vorrebbe solo «mandare a casa il presidente».

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