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La Repubblica Rassegna Stampa
24.04.2023 Il genocidio degli armeni
Commento di Laura Mirakian

Testata: La Repubblica
Data: 24 aprile 2023
Pagina: 25
Autore: Laura Mirakian
Titolo: «Gli armeni e il tempo della verità»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/04/2023, a pag. 25, con il titolo "Gli armeni e il tempo della verità" il commento di Laura Mirakian.

Laura Mirakian – Fondazione Ugo La Malfa
Laura Mirakian

Genocidio Armeno - Giorgio Perlasca

Il tempo degli orologi non è mai il tempo vero, il tempo vero è quello scandito dagli avvenimenti…”, scriveva il poeta. Il tempo è quello della storia che scrivono gli eroici difensori dell’Ucraina, i Siriani in fuga da un paese in travaglio, gli Ebrei dei ghetti di Varsavia e di Roma e i Palestinesi alla ricerca dei loro diritti, le donne dell’Iran che aspirano a vita e libertà, gli Armeni in lotta per salvare vita, monasteri, e sacri khachkar. Da oltre cent’anni gli armeni commemorano oggi, 24 aprile, il loro genocidio. È il giorno in cui, nel 1915, l’intera élite civile e religiosa armena fu assassinata a Costantinopoli, nel contesto di massacri in corso dalla fine del secolo ad opera del sultano Abdul Hamid. Esistono nel mondo settori di opinione animati dall’ossessione di abolire ogni forma di diversità spirituale e culturale. Per costoro, “eccezioni culturali” non sono ammesse, l’omologazione, o meglio la sottomissione, è d’obbligo. Ne abbiamo un chiaro esempio negli odierni comportamenti russi in Ucraina. Genocidio rimasto impunito. Come dissolto nelle nebbie dei tempi. Solo nel 1946, dopo l’altra immensa tragedia del secolo, l’ebreo polacco Rafael Lemkin riuscirà ad attivare all’Onu la Risoluzione 260/48 che definisce il genocidio come “distruzione totale o parziale di un gruppo etnico, razziale, religioso” sancendone la condanna. Ma all’epoca le grandi potenze che avevano abbattuto l’Impero Ottomano volsero lo sguardo altrove, azzerando, nel passaggio dagli Accordi di Sevres del 1920 agli Accordi di Losanna del 1923, la prospettiva di uno Stato armeno in Anatolia immaginato da Wilson, e lasciando che Kemal Ataturk completasse l’opera avviata dai predecessori. Gli armeni di Turchia si dispersero nel mondo, ovunque fosse possibilericostruire una vita. Ma l’antagonismo dei protagonisti di un tempo non si placa. Dopo la guerra dell’autunno del 2020, vinta dagli azeri grazie al pronto soccorso del “senior partner” turco, gli attacchi azeri si ripetono intorno a quel che resta del Nagorno Karabakh armeno. Una guerra asimmetrica. Centinaia di vittime in gran parte armene, miseria e distruzioni di villaggi, periodiche incursioni. Di nuovo, il 12 dicembre, il pretestuoso blocco militare azero del corridoio di Latchin, una strettoia cruciale per il transito di merci e persone dalla piccola enclave armena confinata tra le montagne entro l’odierno Azerbaigian, il Nagorno Karabakh/Arktash, verso l’Armenia e il resto del mondo, sta mettendo a rischio la vita dei suoi 120.000 abitanti di cui 30.000 bambini, mentre i media azeri incitano all’esodo. Fuori gli armeni dal Nagorno Karabakh. Si chiama pulizia etnica. E la Russia, che si vuole garante assoluta della tregua sponsorizzata nell’autunno del 2020, non pare interessata a mobilitare i suoi peace-keepers stazionati in area. Registreremmo una maggiore recrudescenza del conflitto se Mosca non fosse presente in area? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che Mosca è occupata in Ucraina e non può permettersi un secondo fronte nel Caucaso. E sappiamo anche che le sue ambizioni di influenza nella regione investono lo stesso Azerbaigian. Con il beneplacito, si direbbe, della Turchia, che pur considera gli azeri parte integrante del proprio mondo. Anche nello scacchiere caucasico, così come in Siria, in Libia, in Asia Centrale, in Africa, nonché intorno al Mar Nero tra Odessa e Sebastopoli, gli eredi dei due ex-imperi, russo e turco, preferiscono non confrontarsi. Ma questa volta Europa, Stati Uniti, e OrganizzazioniInternazionali non volgono lo sguardo altrove. Hanno notato le crepe nel rapporto armeno-russo, il disappunto armeno manifestatosi nell’astensione su tutte le Risoluzioni Onu sull’Ucraina, nel boicottaggio armeno della dichiarazione finale del Vertice Csto riunito a Yerevan, nella richiesta armena di attivare il CdS subito bloccata da Mosca come “inaccettabile”. Hanno anche notato che la Cina incalza Yerevan prospettando investimenti in infrastrutture e alte tecnologie. Così, l’Europa ha deciso di inviare osservatori civili lungo il confine, ha organizzato incontri bilaterali a Bruxelles, e un vertice trilaterale partecipato da Erdogan a margine dell’evento di Praga sulla Comunità Politica Europea; e il Parlamento Europeo ha richiamato Baku a ritirarsi e liberare i prigionieri, denunciato il trattamento inumano inflitto alla popolazione armena, definito “illegale” il blocco di Latchin. Sulla stessa linea, il Consiglio dell’Osce e la pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia ai sensi della Convenzione per l’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali. Anche gli Stati Uniti hanno chiesto agli azeri di lavorare per una pace, e convocato un vertice bilaterale a margine della conferenza di Monaco sulla Sicurezza. Fratelli tutti, dice Papa Bergoglio. E l’intellettuale armeno Hrant Dink, cittadino turco, assassinato di fronte alla sede del suo giornale bilingue a Istanbul, ha auspicato che “arrivi il giorno in cui turchi e armeni trovino il modo per parlarsi del loro comune passato e delle divergenze che non hanno saputo ricomporre..”. Lo stesso auspicio di Akram Aylisli, intellettuale azero che a Baku ha denunciato i crimini contro gli armeni subendone le conseguenze. Questa è la strada da seguire, alziamo anche noi le nostre voci.

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