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La Repubblica Rassegna Stampa
19.04.2023 Andrei Kurkov, il più grande scrittore ucraino
Intervista di Wlodek Goldkorn

Testata: La Repubblica
Data: 19 aprile 2023
Pagina: 38
Autore: Wlodek Goldkorn
Titolo: «“C’era una volta a Kiev e c’è ancora”»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/04/2023, a pag.38 con il titolo “C’era una volta a Kiev e c’è ancora” l'intervista di Wlodek Goldkorn.

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Wlodek Goldkorn

Il più grande scrittore ucraino, Andrei Kurkov, sarà martedì 19 luglio a  Trento - Vita Trentina
Andrei Kurkov

L’orecchio di Kiev , il bello e divertente romanzo di Andrei Kurkov (tradotto in un modo esemplare da Claudia Zonghetti) in uscita con Marsilio – e finalista allo Strega europeo – comincia là dove finisce La guardia bianca di Mikhail Bulgakov, a fine inverno, nella capitale ucraina nel 1919. A febbraio di quell’anno, dopo un periodo in cui la città passava di mano ai vari eserciti impegnati nella guerra civile (con la scia di vendette e fucilazioni), vi si afferma il potere dei bolscevichi. E di questo – sotto la forma di un thriller con forti dosi di comicità – parla Kurkov, scrittore ucraino 62enne di lingua russa, autore di tanti libri – ne citiamo due: Picnic sul ghiaccio e Jimi Hendrix a Leopoli (Keller). Il protagonista diL’orecchio di Kiev è Samson, un giovane cui per strada un cosacco taglia un orecchio, con la sciabola. Samson finisce per essere arruolato nella polizia e a indagare su strani casi di omicidi, mentre nelle città si rincorrono le voci di imminenti attacchi delle forze ostili al nuovo e ancora instabile regime. Perché Kiev 1919? «Cinque anni fa ho ricevuto da una mia lettrice un regalo: una cassa con materiali dagli archivi della Ceka, la polizia segreta antenata del Kgb. Io amo Kiev e amo raccontarla. Ho usato quel materiale per narrare la vita quotidiana di quell’anno, cruciale per la nostra storia. Ma mi è piaciuto scrivere questo romanzo anche perché ho trovato somiglianze con la situazione attuale. Allora erano i bolscevichi ad aver occupato la città, l’anno scorso ci ha provato Putin. E poi, nel 1918, un anno prima delle storie che racconto, Kiev fu attaccata dalla stessa direzione usata oggi dalle truppe russe: da Bucha. Anche l’intensità della violenza era simile. Centinaia di persone uccise per strada. I soldati che saccheggiavano le case. E mentre in Russia la guerra civile era fra i rossi e i bianchi, in Ucraina c’erano ben sei eserciti coinvolti: due ucraini, uno degli anarchici di Nestor Makhno, più i polacchi, i tedeschi e i rumeni. Il caos».

L'orecchio di Kiev - Marsilio Editori

L’orecchio tagliato che lei racconta richiama il naso perduto narrato da Gogol’, pure lui uno scrittore ucraino di lingua russa. «Però l’orecchio è più importante del naso. Vive una vita propria, sente voci e conversazioni. È un dispositivo di ascolto (ride). Il mio protagonista viene a sapere cose grazie all’orecchio seppur tagliato. E se mi chiede se mi identifico con Gogol’ rispondo: lui ha fatto un’operazione coraggiosa. Ha introdotto nella lingua russa le parole e il senso dell’umorismo ucraini».

Senso dell’umorismo delle periferie degli imperi dove le identità erano multiple e incerte. «Con Gogol’ gli ucraini diventarono di moda a San Pietroburgo. Il guaio è che quella moda ha contribuito alla convinzione che la Russia non possa fare a meno dell’Ucraina, e così fino a Putin che ne è tuttora tanto convinto da averci invaso».

Ma lei è accettato come uno scrittore ucraino di lingua russa? «Ho avuto, fin dal 1991, l’anno della dissoluzione dell’Urss, polemiche con i nazionalisti. Mi dicevano: se vuoi essere uno scrittore ucraino, devi usare la lingua ucraina. Io rispondevo e rispondo che a Kiev una volta si usavano almeno setteidiomi e che siamo un Paese plurilingue: persone che scrivono in tataro di Crimea, in gagauzo, ungherese, slovacco, ruteno, yiddish. Il russo è una delle lingue usate. Certo, la principale resta l’ucraino».

Oltre le polemiche ha avuto problemi concreti? «I miei libri sono sempre stati pubblicati in russo e dal 2004 in russo e in ucraino simultaneamente. In ucraino vendono di più. I lettori ucraini sono più giovani. Il problema è unaltro. Le librerie non vogliono vendere libri in russo e questo crea difficoltà agli editori. Comunque esiste una rete di vendite online».

Parliamo di Bulgakov, altro suo riferimento. Si è cercato di chiudere il museo a Kiev a lui dedicato. «L’attacco era partito da un piccolo gruppo di intellettuali. Le accuse erano ridicole: qualcuno diceva che fosse un simpatizzante degli zar, qualcun altro che fosse “il cocco di Stalin”, affermazioneassurda viste le difficoltà che ebbe a pubblicare i suoi testi e a mettere in scena i suoi spettacoli. Forse la sua unica colpa è stata quella di essersi salvato dalle purghe. Comunque sono convinto che il museo sopravvivrà».

In “L’orecchio di Kiev” Samson diventa poliziotto agli ordini dei bolscevichi, per caso. «Il caso cambia la vita delle persone. Nello specifico: Samson segue il tavolo di lavoro del padre, requisito dal nuovo potere e finito al commissariato. Se quel tavolo fosse stato portato in un ospedale lui avrebbe trovato l’impiego lì (ride)».

In quella scrivania c’è il passaporto dell’Impero austroungarico, che non esiste più. Samson è un “ex umano”,l’uomo che appartiene al passato, un tema caro alla letteratura russa. «Ci sono due tipi di protagonisti nei miei libri. I primi: quelli che sono più forti della vita; gli altri: coloro che la vita spinge da qualche parte. Samson si adatta ma cerca di restare fedele a se stesso, cerca di non tradire. Un po’ come la sua fidanzata Nadežda, pure lei una ex persona, figlia dell’aristocrazia polacca della città».

Torniamo a parlare della memoria. Prima di tutto di quella di Holodomor, i milioni di contadini vittime della carestia provocata da Stalin negli anni Trenta. C’era, ai tempi dell’Urss, il divieto di parlarne, poi negli anni Novanta la vergogna delle vittime e dei loro eredi. «Quella vergogna sta venendo meno. Holodomor è oggetto di pubblico dibattito. Le persone trentenni o quarantenni che frequento esprimono i loro sentimenti, parlano dei familiari morti. Resta un solo tabù: i casi di cannibalismo a quei tempi».

E invece il lato oscuro della Storia? «Intende il collaborazionismo, durante la Seconda guerra mondiale, in Ucraina occidentale? Non siamo ancora capaci di parlarne. È troppo presto».

Cos’è il Male per lei? «È la mancanza di libertà. Se non sei libero, non sei responsabile. E se non sei libero né responsabile non hai una faccia riconoscibile».

E l’amore? Lei ne parla tanto nel libro. «L’amore rende ciechi e quando si è ciechi non si notano i pericoli. Però neanche i pericoli notano le persone che sono immerse nel sentimento dell’amore (e ride di nuovo)».

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