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La Repubblica Rassegna Stampa
11.04.2023 Mosca divide gli alleati?
Analisi di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 11 aprile 2023
Pagina: 2
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Inferno Bakhmut. Tra i soldati ucraini pronti alla ritirata»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 11/04/2023, a pag. 2-3, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "Inferno Bakhmut. Tra i soldati ucraini pronti alla ritirata".

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Daniele Raineri

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Si arriva a Bakhmut a bordo di un blindato, un MT-LB di epoca sovietica che attraversa i campi a zig zag con il motore al massimo perché i soldati russi controllano l’accesso dalla direzione Nord e dalla direzione Sud e sparano. E anche così non è abbastanza, nei portelloni dietro ci sono due fori di schegge. Tre giorni fa i russi nascosti sulle alture – quindi da una posizione di vantaggio – hanno visto un convoglio di venti veicoli e ne hanno distrutti diciannove. Il comando ucraino ha vietato i mezzi normali. Restano queste corse solitarie a tenere i collegamenti con la città, e anche soltanto da questo si capisce che c’è un problema grosso per la tenuta degli assediati. Il guidatore sterza perché è arrivato un colpo di artiglieria. Il vano interno del MT-LB è stipato fino al tetto, ci sono sei soldati seduti con le ginocchia che toccano il mento, taniche di carburante per generatori e altro materiale, l’unica luce arriva dai fori nella blindatura e dalla torcia del telefono. Quando il mezzo si ferma al coperto, tutti afferrano taniche e sacchi e corrono in un sotterraneo. In meno di un minuto comincia di nuovo il fuoco dell’artiglieria russa. Il caposquadra ucraino con la faccia nera di sporco batte il palmo aperto della mano sul lato del pugno ed è un gesto internazionale che vuol dire: siamo fottuti. È la sua risposta alla domanda: chi perderà qui? Attorno al caposquadra ci sono facciate bucate di palazzi e giardini condominiali coperti di detriti, gli uomini camminano a passo svelto da un nascondiglio all’altro. «Spariamo a cinquanta metri di distanza, a volte a dieci metri, i russi dalla strada ci lanciano le granate dentro alle finestre», dice. Bakhmut è una città vinicola del Donbass che fino a otto mesi fa era irrilevante e poi è diventata l’arena di una battaglia a oltranza tra soldati russi e soldati ucraini. Il governo di Kiev la chiama “fortezza Bakhmut” perché regge l’onda d’urto dell’esercito di Mosca nella regione di Donetsk e l’ha caricata di significati simbolici. E così hanno fatto dall’altra parte anche i comandanti russi in cerca di rivincita dopo una serie di sconfitte umilianti – e soprattutto la compagnia di mercenari Wagner di Yevgeny Prigozhin. Il numero totale delle perdite russe e ucraine fra morti e feriti a Bakhmut è nell’ordine delle decine di migliaia ed è senza paragoni in questo conflitto, con uno sbilanciamento molto a svantaggio dei russi. La faccenda è diventata ossessiva. Al punto che verrebbe da credere questo: chi vincerà qui alla fine vincerà anche la guerra. Ma non è così. I militari di Kiev si stanno ritirando e per ora il governo non lo ammette. Hanno già cominciato a spostare fuori dall’assedio una parte delle loro forze attraverso il passaggio verso Ovest sotto il tiro dei russi. In città controllano soltanto il venticinque per cento del territorio nella zona più occidentale e cedono poco a poco - cento metri ogni ventiquattr’ore. Quando chiediamo ai soldati il permesso di filmare dentro a un centro comando nel sotterraneo di un palazzo lasciano fare, «tanto fra due set timane queste posizioni non ci saranno più». È il quarto centro comando che sono costretti a cambiare in un mese, lo stanno muovendo sempre più indietro. Sei giorni fa Zelensky, per la prima volta, ha dichiarato che se ci fosse il rischio di un accerchiamento allora i generali darebbero alle truppe l’ordine di ritirarsi. Fuori dalla città si vedono chilometri di trincee scavate di fresco in cima alle colline e ci sono lavori di fortificazione ovunque. Se la battaglia per Bakhmut finisse oggi, i combattimenti si sposterebbero di cinque chilometri verso ovest, attorno a Chasiv Yar, e il vantaggio dell’altezza tornerebbe agli ucraini. In questo venticinque per cento di Bakhmut gli edifici sono in cemento armato e hanno cantine formate da stanzoni comunicanti, da socialismo reale e funzionale. I piani superiori incassano le cannonate e smorzano un poco i botti, sono abbastanza spessi da dare un senso di protezione per qualche giorno, però i fischi prima delle esplosioni si sentono. Nei sotterranei le bandiere ucraine appese al soffitto e gli abiti messi ad asciugare oscillano. «Pidare ruski», mugugnano i soldati ucraini nelle loro tane. Russi pederasti. Hanno sacchetti di pane, scatole di caffé solubile, salami, succhi di frutta, acqua in bottiglia, tonno, cioccolata, fornelletti a gas. Non ci sono bagni, bisogna uscire all’aperto quando fa buio. Hanno grandi schermi per vedere in diretta le immagini in streaming dei droni e coordinare ilfuoco. Per scambiarsi informazioni c’è Discord, la chat molto usata dagli appassionati di videogame, perché – dicono i soldati aRepubblica – «è sicura e siamo già abituati a usarla ». Alle sei del mattino, per convenzione, cominciano la giornata con una canzone anni Sessanta, “Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival. «Fa molto Vietnam». Almeno metà dei soldati che combattono in città appartengono alla Difesa territoriale, sono i civili che si sono arruolati a febbraio e non hanno armi pesanti ma una riconosciuta capacità di resistenza e adattamento. Uno mostra la stampigliatura sul fucile, è l’anno di fabbricazione: 1964. I mezzi blindati sono in stragrande maggioranza dell’epoca sovietica e parecchi hanno più anni di chi li guida. I droni sono modelli commerciali che non possono superare i duecento metri di quota. Tutti i militari intervistati chiedono piùmunizioni per tenere indietro i russi che avanzano, perché quelle che hanno sono troppo poche. È la grande differenza che corre fra gli aiuti militari annunciati, che sembrano tantissimi e agitano i dibattiti televisivi in Italia, e gli aiuti militari effettivamente consegnati. Possono passare molti mesi fra le promesse e la consegna e nel frattempo i soldati ucraini nel Donbass, un luogo che nelle conversazioni sembra sempre inondato di armi, devono cavarsela con quello che hanno. C’è anche un’altra ragione: Bakhmut sarà pure un simbolo di resistenza nazionale, ma l’esercito sta preparando una grande controffensiva ed è possibile che stia preservando i nuovi mezzi e il grosso delle forze per impiegarli quando sarà il momento. «C’è una regola che dice che non possiamo sparare con i mortai a meno di duecento metri dalle truppe per evitare di colpire i nostri», spiega il tenente Vassily “Zevs” Zenetskyi, nipote dell’ex presidente Petro Poroshenko, alto e con ottimi ricordi di sciate in Trentino. «Ma a volte i russi sono nel palazzo accanto e c’è da fare un lavoro accurato per centrarli, da ago e filo, a meno di duecento metri di distanza». Qual è il singolo fattore che spiega perché i russi stanno prevalendo qui a Bakhmut? «Non danno valore alla vita dei loro uomini. Una volta hanno scelto come base una casa a un piano solo, abbiamo preso in pieno il tetto, è chiaro che dentro sono morti tutti, conosciamo l’effetto delle granate. Due giorni dopo hanno mandato altri soldati a occupare la stessa posizione, è una scelta folle – come se non gli importasse di perdere uomini. Abbiamo centrato di nuovo la stessa casa». Dentro Bakhmut, Zenetskyi comanda 36 soldati chedanno la caccia ai russi con droni e mortai. I russi fanno lo stesso con loro, su diciotto uomini del suo gruppo che si occupano di far volare i droni tredici sono già stati feriti. Gli ucraini li chiamano zombie. Sono i civili che girano da soli, camminano nel paesaggio in rovina, a volte si buttano per terra con le mani sulle orecchie quando sentono arrivare un colpo vicino, poi si rialzano e ricominciano a camminare senza cambiare direzione e velocità – come zombie. Dopo otto mesi di bombardamenti sono indifferenti a quello che succede attorno. Domenica due gruppi di soldati di Kiev si sono dati il cambio a distanza di un’ora, la posizione è stata derubata e i locali hanno preso un generatore elettrico e le batterie. Ora quella posizione non è più utilizzabile.

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