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La Repubblica Rassegna Stampa
20.11.2022 Il partigiano di Kherson: 'Molti infiltrati fra i russi al di là del fiume Dnipro'
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 20 novembre 2022
Pagina: 15
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Il partigiano di Kherson: 'Molti infiltrati fra i russi al di là del fiume Dnipro'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/11/2022, a pag. 15, la cronaca di Daniele Raineri dal titolo "Il partigiano di Kherson: 'Molti infiltrati fra i russi al di là del fiume Dnipro' ".

Festival Internazionale del Giornalismo
Daniele Raineri

Kiev, nelle stanze delle torture di Kherson anche adolescenti - Europa -  ANSA

Cadono i colpi dell’artiglieria su Kherson, con fischi, esplosioni e rumore di sfasciume. La parentesi di tranquillità del post-liberazione è finita, gli addetti municipali con scale e spatole hanno finito di grattare i colori russi dai cartelloni pubblicitari, i soldati di Mosca dall’altra parte del fiume Dnipro cominciano a colpire e a punire la città che da una settimana non è più sotto il loro controllo. In piazza della Libertà non ci sono le scene di giubilo dei giorni scorsi e nessuno canta, ci sono le code per gli scatoloni con i viveri e una tenda rossa e riscaldata chiamata “centro dell’invincibilità” dove a turno puoi ricaricare il telefono, goderti il tepore e trovare un po’ di connessione internet – perché Kherson è senza luce e acqua da una settimana. C’è la paura che le batterie dei cannoni russi cominceranno un’opera di demolizione colpo dopo colpo come si è visto in altre città. La resistenza ucraina a Kherson ha fatto soprattutto due cose durante i nove mesi di occupazione.

Perché il ritiro delle forze russe da Kherson potrebbe aprire la strada a  negoziati di pace

C’è il gruppo che faceva le azioni di fuoco e tendeva agguati per uccidere i collaborazionisti oppure piazzava bombe sotto le loro macchine, ed è il gruppo dei duri addestrati dall’intelligence militare – quando non sono proprio uomini dell’intelligence militare lasciati apposta dietro le linee russe. E poi c’è il gruppo più ampio e di rango inferiore, quello dei simpatizzanti, che non si occupava delle azioni di fuoco ma faceva tutto il resto, dal raccogliere le informazioni all’attacchinaggio di volantini contro l’occupazione. Repubblica incontra il leader di questo secondo gruppo, che si firmava in città con un nastro giallo legato in punti ben visibili. Era un modo per dire che Kherson anche sotto occupazione continuava a essere una città ucraina. «E volevamo che i russi avessero paura a stare qui. Noi mettevamo i nastri gialli, nelle regioni libere mettevano nastri azzurri: assieme sono i colori della bandiera. Abbiamo cominciato a organizzare la resistenza il 25 aprile (data propizia, ma è una coincidenza), il piano era manifestare nelle strade però poi non è stato più possibile perché sparavano. Quando abbiamo cominciato a mettere i nastri eravamo in due, in pochissimo tempo siamo diventati centinaia. Alcuni non li conosco nemmeno oggi, agivano per emulazione, aderivano al nostro canale Telegram». I soldati russi hanno usato metodi brutali di repressione a Kherson, potrebbe diventare la regione ucraina con il maggior numero di torturati quando le indagini finiranno. Anche farsi trovare con un nastro era un indizio di colpevolezza, come facevate per la vostra sicurezza? «Ci passavamo istruzioni su come sfuggire alla sorveglianza. Spesso i russi ti fermavano per controllare i telefoni, ma quando si fanno queste operazioni e quando ci si sposta e quindi si passa dai posti di blocco bisogna avere telefoni ripuliti per bene, senza foto e senza chat compromettenti, meglio se sono nuovi». La città è stata liberata ma lei sta facendo questa intervista a patto di non essere citato per nome e cognome, come mai? «Perché il lavoro non è ancora finito. La rete di resistenti è ancora in piedi e con le deportazioni imposte dai russi è arrivata dappertutto, anche a Mosca». A Mosca? «Persino lì sono comparsi nastri gialli. Quando i russi hanno ordinato l’evacuazione dei civili sull’altra sponda del fiume senza saperlo si sono portati dietro molti uomini e donne del network. Sono in Crimea, sono a Luhansk e Donetsk, a Melitopol, sono dall’altra parte del Dnipro. Ma per ora non stanno facendo molta pubblicità alla loro presenza per non mettere i russi troppo in allerta. Stiamo tentando di far avere loro stampanti per esempio, per pubblicare volantini contro gli occupanti». E i partigiani che sparano hanno fatto la stessa cosa? «Sì, anche loro hanno seguito i russi dall’altra parte del fiume. Per questo in molti non sono usciti in pubblico qui a Kherson, per non facilitare il lavoro ai servizi russi che vogliono identificare i partigiani. Alcuni di loro devono pretendere di essere filorussi per non destare sospetti». Hanno tentato di infiltrarvi? «Ci hanno provato ma sono stati tentativi stupidi, li riconoscevamo. I veri resistenti mandavano foto dei nastri gialli e di altre attività, a loro rischio e pericolo. Questi invece scrivevano su Telegram ‘ciao sono Misha, tu come ti chiami? Dove possiamo vederci?’. I veri partigiani si incontrano il meno possibile». C’è un sistema di telecamere qui a Kherson? «Sì, ma con i problemi di elettricità non funzionava, a parte in centro». Quando pensava che avreste liberato la città? «La prossima primavera o la prossima estate. Mi aspettavo un inverno cupo».

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