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La Repubblica Rassegna Stampa
20.11.2022 Iran, la nostra indifferenza
Analisi di Concita De Gregorio

Testata: La Repubblica
Data: 20 novembre 2022
Pagina: 28
Autore: Concita De Gregorio
Titolo: «Iran, la nostra indifferenza»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/11/2022, a pag. 1, con il titolo "Iran, la nostra indifferenza" l'analisi di Concita De Gregorio.

Concita De Gregorio - Wikipedia
Concita De Gregorio

Morte Mahsa Amini, manifestazione davanti all'ambasciata iraniana a via  Nomentana: «Donna, vita, libertà»- Corriere.it

Erano quattro gatti, ieri, in piazza della Repubblica a Roma. Giovani della comunità iraniana, volti bellissimi e parole fiere, il presidio Radicale benemerito, indefesso, e stop. Pioveva, certo, ma non è questo. Dov’erano “gli altri”?, prendo in prestito la domanda di Don Luigi Ciotti intervistato venerdì sera da Diego Bianchi. Parlava, don Ciotti, di un’indifferenza nuova, di una impermeabilità spaventosa non solo della politica, della sinistra in specie, ma di tutti quanti, di ciascuno di noi, di fronte all’evidenza di tutto quello che di enorme ci sta succedendo davanti agli occhi e che non vogliamo vedere, nominare, capire e accettare per condividere i destini, se ancora ne siamo capaci, di esseri umani che fanno proprio adesso la storia. La Storia, maiuscola, come sarà raccontata fra decenni, la Storia della foto più grande e no: non sono i destini del Pd, le correnti le primarie, no, non sono le balbuzie dei ministri di nuovo conio al servizio di una destra proterva e maldestra, incapace persino di usare le parole, di scrivere una legge. Queste sono piccole faccende domestiche, la rovina della politica italiana è poca cosa: a far due passi indietro, a mettere a fuoco il quadro d’insieme, la sciagura è la sua cecità. Nessuno sembra vederlo, il mondo intero, non interessa: è roba d’altri. A noi premono confini, sovranità, patrie. Il nostro muro di cinta, il sistema d’allarme in villetta e le porte blindate. Eppure siamo lì, ci siamo dentro, al mondo: se allarghi, su Google Maps, lo vedi. Sei un punto, in mezzo. Se una definizione di destra e sinistra può ancora avere senso, dopo lo tsunami di nonsenso degli ultimi decenni, credo sia questa: nessuno può ottenere il proprio bene senza che sia perseguito il bene di tutti. Non è io, il soggetto della politica: è noi. Senza ricerca del progresso comune non ci può essere miglioramento della vita di nessuno. Profitto, forse, convenienza occasionale. Sfruttamento dei forti sui deboli, ma a che prezzo per le generazioni future. Non siamo padroni a casa nostra, siamo ospiti – tutti quanti – di una casa comune. Se non c’è giustizia e libertà condivisa ogni forma di giustizia e libertà personale è parassita. Dunque, dove sono “gli altri”? Dove siamo? Che cosa c’è in questa incredibile sollevazione, in questa controrivoluzione dei giovani persiani che gridando “Donna, vita, libertà” e si fanno uccidere ogni giorno e ogni giorno si moltiplicano, senza paura di morire. Cos’è che non ci piace, per dirlo facile: cosa non ci riguarda? È perché non è una rivoluzione antiamericana, non è anticapitalista? È perché sulle origini del regime di Khomeini, la cui casa i giovani oggi bruciano, pesa qualche responsabilità politica difficile da ricollocare? È perché sono (in gran parte) islamici, dunque per definizione sospetti di attentato alla croce? È perché il pacifismo delle piazze italiane indica un nemico diverso da quello dei giovani che si fannosparare, non sono gli stessi i nostri e i loro ideali rivoluzionari? Che misere ragioni, sarebbero: polverose, da anziani militanti orfani e nostalgici del loro fuoco di gioventù. Ieri era la giornata mondiale dedicata alla solidarietà alla protesta in Iran. Il sito Middle East Matters (Mem) indicava almeno 150 città in tutto il mondo in cui scendere in piazza: dove, a che ora. Nelle piazze italiane non c’era quasi nessuno, a parte loro: gli iraniani d’Italia. Eppure siamo di fronte a una controrivoluzione, rispetto al ’79. Una rivoluzione senza leader: sociale, culturale. Uomini che si uniscono alle donne, lavoratori, periferie del Paese. O vincono o perdono. O li ammazzano tutti, o cambiano la storia. A due mesi dalla morte di Masha Amini, 22 anni, uccisa dalla polizia morale perché non portava correttamente il velo, sono stati assassinati secondo Unicef 53 minorenni, ma è una stima per difetto. Iran Human Rights dice duemila arrestati, sei condannati a morte per moharebeh, Guerra contro Dio, 378 vittime. I numeri non raccontano mai niente, sono le storie una per una che parlano. C’è un giornalista, Mariano Giustino, corrispondente diRadio Radicale dalla Turchia, che pubblica ogni giorno – oltre a una cronaca ininterrotta dei fatti – foto, nomi, biografie: Aylar Haghi, 22 anni, uccisa mentre manifestava. Studentessa di medicina alla Tabriz Azad University. Hamidreza Rouhi, 20 anni, ragazzo, ucciso a mani alzate. Danial Pabandi, 17 anni. E ancora, e ancora. Il ballo degli studenti dell’Università di Sanandaj che saltano cantando Azadi, libertà. Ieri Middle East Matters ha elencato i nomi degli ultimi sei bambini uccisi: Kian Pirfalak, 9 anni. La lista inizia così. Proviamo a pensare alla cura che ciascuno di noi presta a un figlio di nove anni. Alle recenti pretestuose polemiche sulla cura che una madre dedica a una figlia, qualunque sia il suo ruolo, premier o no. Che cos’hanno i figli degli altri che non ci riguarda? Questi adolescenti: non sono abbastanza fluidi per attirare l’interesse del femminismo locale? Troppo donne le donne, troppo uomini gli uomini nella protesta? Il bacio dei due ragazzi di Shiraz non è un bacio abbastanza eversivo, non così moderno, trattandosi di un maschio e di una femmina? Speriamo di no, che non sia questo. Il Rinascimento iraniano, i millennial persiani che non hanno paura del potere che spara, sono – insieme alle migrazioni bibliche, alle transumanze di popoli via mare – quel che il nostro tempo ci mette davanti proprio adesso. No, non la contesa fra Bonaccini e altri pretendenti alla guida di una sinistra che non c’è. Dov’è la sinistra. Dov’è la politica. Dove sono “gli altri”: dove siamo noi. Questa è, oggi, la domanda. Neutrali non ammessi dalla storia, prudenti espulsi. Diciamo pure, con un filo di coraggio: prudenti colpevoli, complici.

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