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La Repubblica Rassegna Stampa
29.07.2022 Putin in Italia: una guerra di propaganda
Analisi di Carlo Bonini

Testata: La Repubblica
Data: 29 luglio 2022
Pagina: 29
Autore: Carlo Bonini
Titolo: «Putin alla campagna d’Italia»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 29/07/2022, a pag.29, con il titolo "Putin alla campagna d’Italia" l'analisi di Carlo Bonini.

Redditi dei politici: Conte cresce di 700mila euro, 70mila per Salvini,  97mila per Meloni
Chi tifa per Putin in Italia: Conte, Berlusconi, Salvini

Come un cannone rivolto verso le nostre coste, l’arma dei migranti partiti dai porti della Cirenaica controllati dalla brigata Wagner annuncia l’arsenale da guerra ibrida che Vladimir Putin impiegherà per intossicare il tempo che ci separa dal voto del 25 settembre e orientare i futuri assetti politici del nostro Paese. Per il Cremlino, l’occasione è irripetibile. Perché mai come in questo cruciale crocevia della nostra storia repubblicana, l’agenda delle promesse assemblata dal cartello delle tre destre che si candidano alla guida del Paese dipende dalle mosse del Presidente della federazione russa. Dalla sua capacità di ricatto politico e personale nei confronti di almeno due attori della partita (Salvini e Berlusconi) e dall’uso dell’arma energetica — il destino delle forniture di gas russo — che, in autunno, diventerà decisiva per disinnescare o, al contrario, far deflagrare, la bomba sociale di un Paese, il nostro, che si troverà con un’inflazione galoppante a due cifre e con imprese incapaci di fare fronte agli effetti di medio e lungo termine delle sanzioni e di una bolletta energetica triplicata nell’arco di un anno. Putin sa — e ne sono consapevoli le cancellerie occidentali, esattamente come Washington e Bruxelles — che un’eventuale interruzione definitiva delle forniture di gas all’Europa in autunno, avrebbe per il nostro Paese conseguenze non sostenibili da un nuovo governo che, in questo esordio di campagna elettorale, si prepara a vendere un Paese dei balocchi di riduzione drastica della pressione fiscale, di aumento della spesa pensionistica e di interventi massicci di raffreddamento dei costi sociali dell’inflazione. Lo sa Putin. Lo sanno Berlusconi, Salvini e Meloni. Che, per giunta, a differenza dell’uomo che hanno cacciato da Palazzo Chigi, avranno un problema che Draghi non ha avuto in questi diciotto mesi: il mantenimento del consenso elettorale. Iltrade-off, lo scambio, è da questo punto di vista già scritto. Il gas russo continuerà a essere pompato solo di fronte a una nuova postura del governo italiano nel conflitto ucraino. Decisione che Berlusconi e Salvini hanno già preso eche Meloni dovrà accettare, a dispetto delle parole con cui, ieri, si è detta «garante del sostegno all’Ucraina». Non molto diverso sarà il copione sul tema dei flussi migratori. La presenza radicata della brigata Wagner in aree chiave dell’Africa — la Libia e il Mali — mette oggi Putin nelle condizioni di poter alimentare l’agenda della paura che, anche a dispetto e in disprezzo dell’evidenza dei numeri, Salvini e Meloni hanno rapidamente rispolverato tornando a promettere la politica dei porti chiusi. Non è necessario essere degli indovini per immaginare che in questa estate di campagna elettorale e mare calmo, partenze e sbarchi continueranno a crescere. Accompagnate e incoraggiate anche dal Cremlino. E non è necessario essere degli indovini per immaginare che con le destre sovraniste al governo il rubinetto potrà di nuovo chiudersi. Ma non in nome di nuove politiche migratorie e di governo dei flussi. Ma, anche in questo caso, di uno scambio. Una nuova postura nel conflitto ucraino e in Europa. La guerra ibrida, di cui la Russia è maestra, lavora per definizione sui punti di faglia del Paese verso cui è diretta. Sulle sue contraddizioni, fragilità. E sull’anima profonda di chi si intende colpire. Con la caduta di Draghi per mano di Conte, Salvini, Berlusconi e Meloni, Putin ha avuto la prova di una sua radicata convinzione. Che al tempo lungo della guerra, al costo che questa comporta, l’Italia non avrebbe resistito. Che, una volta morso nella sua carne viva, il Paese sarebbe fatalmente tornato a liberare gli spiriti animali di sovranismo e populismo. Ecco perché il tempo che ci separa dal voto del 25 settembre e il suo esito è vissuto come un incubo a Washington e a Bruxelles. Ecco perché le intelligence dei Paesi dell’Alleanza, nessuna esclusa, si preparano e prefigurano scenari plumbei. Perché in questa partita, il cartello delle tre destre non è e non sarà semplice attore di una contesa politica, ma il cavallo di Troia di chi sa di poterne condizionare l’esito.

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