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La Repubblica Rassegna Stampa
05.07.2022 Nel Lugansk la resistenza non si arrende
Analisi di Paolo Brera, Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 05 luglio 2022
Pagina: 10
Autore: Paolo Brera - Daniele Raineri
Titolo: «Il Lugansk è perduto ma ora la resistenza riparte dalle foreste - Undici settimane per 30 chilometri l’insostenibile avanzata russa»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/07/2022, a pag. 10, con il titolo "Il Lugansk è perduto ma ora la resistenza riparte dalle foreste" la cronaca di Paolo Brera; a pag. 11, con il titolo 'Undici settimane per 30 chilometri l’insostenibile avanzata russa' l'analisi di Daniele Raineri.

Ecco gli articoli:

Paolo Brera: "Il Lugansk è perduto ma ora la resistenza riparte dalle foreste"

Guerra in Ucraina, missili su Kharkiv e Lysychansk. Truppe di Kiev  addestrate da Gran Bretagna. Aiea perde connessione con Zaporizhzhia
Lysychansk

Che aria cupa d’abbandono c’è oggi in questa città spettrale di silenzi, di soldati a fare spesa e sirene a perdifiato. Dopo la tempesta di domenica — il sangue nei palazzi del centro e nel mercato, i 6 morti e i 19 feriti — a Sloviansk questa relativa quiete è persino peggio. Gli allarmi non tacciono quasi più, nella piana si alzano nuvole di fumo, il frastuono lontano dell’artiglieria è un maledetto metronomo. Le auto caricano valigie pronte in garage da tempo. Persino il sindaco Vadim Lyakh, che incitava a resistere e piangeva per la sua città sgretolata, ora invita a «evacuare immediatamente finché si può farlo in sicurezza». Persa Lysychansk e l’intera provincia di Lugansk, l’esercito ucraino ha arretrato la prima linea a ridosso dei prossimi bastioni, nelle campagne e nelle foreste tra Siversk e Bakhmut. Entrambe sono sotto tiro, ma non è ancora vera battaglia. Gli eserciti si stanno riposizionando. È un via vai di carri e cannoni, di blindati e camion militari. I soldati tengono, i nervi meno. Ad arrendersi non è chi ha un fucile e una mimetica, sono i civili che chissà come hanno fatto a resistere fino a ora. Senza gas né acqua corrente. Senza mezzi pubblici, con gli sportelli chiusi per ritirare la pensione. Vengono via con una valigia che sembra quella d’una vacanza, il cagnolino in braccio, i bimbi per mano. Addio Donbass, «stavolta ce ne andiamo anche noi». Siversk e Bakhmut sono gli avamposti ucraini nell’ultimo spicchio d’Est controllato da Kiev. Il bottino, a una manciata di chilometri, è lo scacco matto al cuore del Donbass ucraino: a Sloviansk e poi a Kramatorsk, che sorge oltre la collina alle sue spalle. Le strade di Sloviansk sono vuote, i negozi pure. Nadjezda Zhurablova, che non sa più a chi vendere i vasetti di lamponi esposti sul ciglio della strada, scaglia i suoi 72 anni di furia sull’ex medico Lyudmila, che ne ha 82 ed è seduta nella panchina lì accanto. La colpisce in testa con una cassetta della frutta vuota, chiudendo così una discussione divampata sotto il sole rovente: «Mio figlio ha sangue bielorusso ene sono orgogliosa», urla. «È un soldato filorusso separatista, tu tradisci il tuo Paese», l’aveva sfidata l’ex dottoressa. I villaggi dei dintorni sono irraggiungibili per chi non ci abiti. Icheck point non fanno passare i giornalisti perché «è troppo pericoloso », dicono. Le immagini sui social sono impressionanti. Povere case schiantate, orti a fuoco. In direzione di Siversk non si passa. In quella di Bakhmut ancora sì. La strada attraversa campi di grano e girasole, i venti di guerra non hanno dissuaso icontadini. Sull’ultimo colle si apre una vista sulla piana e sui suoi falò, accesi dai colpi d’artiglieria. Scendendo verso Bakhmut da una via laterale si attraversa Paraskovijvka e la sua miniera di sale, la miniera Volodarsky. «Il Donbass è maledetto — dice Olga, la maestra 49enne del paese — ci odiano tutti: i russi perché ci ritengono responsabili della guerra, e gli ucraini che ci considerano filorussi. La verità è che siamo in mezzo, e ci sparano tutti e due». Bakhmut intanto si lecca le ferite dell’ultimo missile: davanti al centro commerciale Ukraina, squassato dall’esplosione e circondato da palazzi, c’è un gigantesco cratere. «Qui sparano ogni giorno. Ecco... questo è un colpo in partenza», dice Sergey, il 59enne rimasto a controllare il ristorante Byblos. Il rumore secco ci fa sobbalzare, è a un isolato da noi. Lui non si scompone: «Tutte le donne, i bambini e gli anziani della nostra famiglia sono al sicuro a ovest, io e mio fratello restiamo a tenere tutto a bada. Bakhmut non è così strategica, forse con noi non faranno come a Severodonetsk e a Lysychansk, forse non la distruggeranno ». Sull’altro lato dell’isolato c’è il liceo linguistico, sventrato completamente dai missili. Accanto c’è un palazzone, danneggiato pure lui: «Il liceo lo hanno colpito quattro volte», dice Sergey. Perché tanta perseveranza? «Chissà». La scuola era vuota, come tutte dopo il 24 febbraio. Forse i russi pensavano nascondesse i militari, e magari avevano ragione. I colpi partono dalle campagne e dalle città in entrambi i versanti delfronte, e le risposte sono una mattanza di case e civili. I russi non si fanno scrupoli, i risultati sono evidenti. Quanto agli ucraini, per ora è impossibile verificare. A un un’ora d’auto, a Pokrovsk, Vassily Ivanovic prende il treno per Kiev. È in carrozzina sul binario. La sua casa a Sviatogorsk è stata distrutta ieri da «un colpo di artiglieria che ha bruciato tutto». Si è salvato perché «ospitavo i soldati, e mi hanno aiutato a scendere in cantina quando è suonato l’allarme». Sullo stesso treno Ira Sorokina, 35 anni, è con la mamma e i due bambini. «Siamo di Konstantinovka, facevo la commessa ma non ho più lavoro. Daniil ha 5 anni e non capiva, ma Nastya ne ha 12 e tremava a ogni bomba ». E le bombe erano ormai «troppo frequenti: le finestre sono a pezzi, dormivamo per terra nel corridoio ». Alle 16,30 il treno dei profughi si muove: «Aggiungeremo altri vagoni — dice il vice direttore delle emergenze regionali, Yacov Nemikin — saranno sempre di più».

Daniele Raineri: "Undici settimane per 30 chilometri l’insostenibile avanzata russa"

Festival Internazionale del Giornalismo
Daniele Raineri

«I soldati ucraini hanno ingannato i russi, per tre giorni hanno fatto credere di essere ancora dentro Lysychansk e invece erano già andati via dicono le mie fonti. I russi ci hanno messo tre giorni ad accorgersene e questo la dice lunga su come è andata la battaglia», dice il colonnello ucraino — e analista di cose militari — Serhiy Hrabsky aRepubblica. «Adesso Putin si congratula con i suoi per la vittoria, ma è una situazione che ricorda la storiella dell’infallibile arciere giapponese. La conosce? C’era questo arciere giapponese che diceva di fare sempre centro e di non sbagliare mai, fino a quando la gente non si accorse che quello prima tirava la freccia e poi disegnava il bersaglio attorno al punto colpito dalla freccia». Hrabsky è di parte, non potrebbe essere altrimenti, e parla di "strategia dello zucchero bagnato" per la città di Lysychansk: «Sa come facciamo a eliminare le formiche dal giardino? Mettiamo dell’acqua zuccherata in alcuni punti, così le formiche si ammassano e sono più facili da eliminare ». Insomma: gli ucraini avrebbero scelto di tenere le loro posizioni in quella zona del Donbass così a lungo per una strategia dell’attrito contro i russi. «Hanno subito tra il venti e il trenta per cento di perdite, molti reparti non sono più in grado di operare ». Non parla, come da regola, delle perdite ucraine. Il presidente Putin celebra la vittoria e dice che i reparti che hanno partecipato alla battaglia ora «devono riposare per recuperare. Gli altri proseguano l’offensiva secondo i piani». Anche a fare una valutazione fredda dei fatti, le conquiste di Lysychansk e di Severodonetsk una settimana fa non sono un trionfo per le truppe russe. Avanzano, ma il prezzo che pagano per ogni chilometro è troppo alto. Perdono uomini e mezzi a un ritmo che non è possibile sostenere e sono costretti ogni mese a rivedere al ribasso i loro piani. Quandol’operazione per prendere il Donbass è cominciata il 18 aprile i russi controllavano già il novantacinque per cento della regione di Lugansk. Adesso possono annunciare di avere preso il restante cinque per cento — pari a un avanzamento di circa trenta chilometri in due mesi e mezzo. Nello stesso tempo gli ucraini sisono ripresi il doppio del territorio, a Kharkiv e giù nel sud vicino a Kherson. Per la cosiddetta seconda fase dell’operazione militare speciale — la prima fase era stata il fallito assedio di Kiev — i russi avevano organizzato le cose in grande. Si erano concentrati su un’area sola, avevano portato su quel fronte la metà circadella loro forza combattente, avevano schierato un numero di truppe che era sei volte quello degli ucraini e un numero di pezzi di artiglieria che era dieci volte superiore. Il loro piano originale, molto ambizioso, era intrappolare i migliori reparti dell’esercito di Kiev grazie a una manovra a tenaglia larga centinaia di chilometri che partiva dalla città di Izyum nel nord e da Mariupol nel sud e finiva per abbracciare tutta la regione. Era anche una citazione storica: i russi avrebbero combattuto contro gli ucraini una Kesselschlacht, una "battaglia del calderone" come dicevano i soldati tedeschi. Sarebbe stata una riedizione della lotta contro la Wehrmacht nella Seconda Guerra Mondiale. Si parlava persino del nove maggio, festa della vittoria dell’Unione sovietica contro il nazismo, come della data fissata per il termine della campagna. Il calderone invece si era poi sempre più ridimensionato, fino a diventare un accerchiamento di pochi chilometri attorno alle città di Severodonetsk e di Lysychansk. E alla fine non ha funzionato nemmeno quello. I russi non hanno sfondato le linee e non hanno intrappolato i soldati ucraini, che hanno abbandonato in ordine e di nascosto le loro posizioni. Una fonte che di sicuro non è filo ucraina, l’ex comandante dei separatisti Igor Girkin, scrive sul suo canale Telegram che la campagna russa nel Donbass non ha raggiunto il suo scopo, le forze armate ucraine non sono state sconfitte e non sono state cacciate dalla regione. L’esercito «da tempo di pace» russo non riesce a vincere nemmeno aiutato dai separatisti delle repubbliche autonome e dalle compagnie di contractorscrive Girkin, che è molto polemico contro la scelta ipocrita da parte del Cremlino di non ricorrere a una mobilitazione generale e di continuare a fingere che non ci sia un conflitto. E ancora il pieno effetto delle armi mandate dagli alleati occidentali all’Ucraina — e in particolare dei lanciarazzi Himars, arrivati il 23 giugno — non ha avuto il tempo di manifestarsi.

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