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La Repubblica Rassegna Stampa
29.06.2022 Alta tensione sul Baltico
Due servizi di Rosalba Castelletti

Testata: La Repubblica
Data: 29 giugno 2022
Pagina: 6
Autore: Rosalba Castelletti
Titolo: «Il corridoio fra tre Stati che porta a Kaliningrad: 'Qui l’esercito russo può spaccare l’Europa' - Arrestato anche Yashin l’ultimo oppositore sfuggito all’esilio»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 29/06/2022, a pag.6, l'analisi di Rosalba Castelletti dal titolo "Il corridoio fra tre Stati che porta a Kaliningrad: 'Qui l’esercito russo può spaccare l’Europa' "; a pag. 7, la sua cronaca dal titolo "Arrestato anche Yashin l’ultimo oppositore sfuggito all’esilio".

Ecco gli articoli:

"Il corridoio fra tre Stati che porta a Kaliningrad: 'Qui l’esercito russo può spaccare l’Europa' "

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Rosalba Castelletti

La strada che porta verso il confine incandescente corre all’ombra di due filari di “soldati della Wehrmacht”, come i detrattori chiamano gli antichi pioppi piantati dai prussiani, e a tratti preserva l’originale pavimentazione germanica. Attraversa campi non falciati, manti erbosi e paludi e infine si inoltra tra le querce, i pini e gli abeti della “Krasny Les”, la Foresta Rossa, portando fino a Lesistoe. L’ex villaggio prussiano Nassaven non è nient’altro che un grumo sparso di case coi tetti di tegole e le pareti di mattoncini rossi, una moderna cappella e una panchina intagliata nel legno affacciata sul laghetto Rybnoe, mentre due croci, una latina e una ortodossa, segnano la sepoltura dei caduti di opposti fronti di un’antica battaglia del 1915. È da qui, da Lesistoe, che dovrebbero partire i blindati russi — o arrivare quelli bielorussi — negli scenari più drammatici ipotizzati da diversi strateghi militari ora che i riverberi della cosiddetta “operazione militare speciale” russa in Ucraina sonoarrivati fin qui. Oltre una collina alberata, a meno di una decina di chilometri, in una zona vietata agli stranieri e pressoché impraticabile per i locali, si incrociano i confini di Russia, Lituania e Polonia e inizia il famigerato “Corridoio di Suwalki” dal nome di una cittadina polacca. Przesmyk , “istmo”, lo chiamano i polacchi. Koridor , “corridoio”, i russi. Un riflesso delle opposte visioni. È una striscia di terra boscosa e paludosa attraversata da una frontiera serpentina di 104 chilometri che divide l’estremità nordorientale del voivodato polacco di Podlachia dall’ultimo lembo meridionale della contea lituana di Alytus. È l’unico collegamento tra le tre Repubbliche Baltiche e i partner dell’Unione europea e della Nato, ma anche tutto ciò che separa la strategica regione russa di Kaliningrad a Nord-Ovest dall’alleata Bielorussia a Sud-Est e, di conseguenza, dal “continente” o “Grande Russia”, come qui chiamano il resto della Federazione. Un altro frammento di terra palleggiato dalla storia tra ducati e imperi fino a incarnare oggi un tallone d’Achille per l’Alleanza Atlantica e la “strada della vita” — così l’ha definita il sito filogovernativo Vzglyad — per l’emarginata exclave. «Lì c’è la Lituania», dice Viktor, sessantenne che vive di pesca, indicando con la sinistra un punto indefinitooltre il lago Rybnoe. «Lì la Polonia», aggiunge facendo un cennospeculare verso destra. «Siamo circondati dalla Nato. Vilnius prende ordini da “zio Sam”. Il recente blocco lituano del transito delle merci russe è una provocazione. Vogliono testare le nostre soglie di resistenza. Bisogna reagire. L’opzione militare è l’ultima risorsa, certo. Ma se non cederanno con le buone, non ci resterà che sfondare Suwalki. Sappiamo tutti che prima o poi finirà così». Eppure qui nulla evoca una guerra. Non vedi carri armati né militari, solo pecore al pascolo, ordinate aiuole, staccionate colorate, bambini che scendono dallo scuolabus o bagnanti incuranti delle zanzare nel vicino lago Marinovo. La quiete è assoluta. «Parlano tutti dei temuti missili Iskander, ma io non ne ho mai visto uno in vita mia. Qui non ci sono soldati, solo gente pacifica che fa le sue faccende quotidiane», rimarca Elena, da 15 anni matrona della spoglia Dom Kultury, Casa della Cultura, di Kalinino. Melkemen nella Prussia orientale e Birkenmühle sotto i nazisti, oggi Kalinino è un altro avamposto russo sperduto nel verde il cui vanto sono una chiesa del Seicento abbandonata, un ponte germanico, una lapide commemorativa del Servizio del lavoro del Reich e il Museo della Cicogna. Eppure, come tutti in questo cuneo diterra, anche Elena è consapevole di camminare su carboni spenti pronti a infiammarsi al primo alito di contesa. «Sappiamo che il pericolo è dietro l’angolo. Temiamo per i nostri bambini, in caso di escalation non avremmo dove nasconderci». Qui si disquisisce solo su chi sarà il primo ad attaccare. «Reagiremo agli atti ostili. Se non ti difendi, ti bullizzano», è certo Sergej, la voce impastata d’alcol. «Non siamo invasori. Non raccogliamo le provocazioni. Ma per la Nato Kaliningrad è un pezzo di terra appetitoso. Al di là del confine ci sono i carri armati lituani. Li hanno visti tutti», assicura invece Elena, mentre dall’altro lato della frontiera, nell’eco di opposte sorde narrazioni, qualcuno a sua volta giurerà di aver visto i mezzi militari russi. I toni restano alti, soprattutto da quando Vilnius ha deciso di restringere il transito delle merci russe sanzionate dalla Ue. «Fa parte della “guerra per procura” che l’Occidente ha scatenato contro la Russia. Naturalmente adotteremo misure di ritorsione e saranno molto dure. Siamo in grado di bloccare l’ossigeno dei vicini Baltici che hanno intrapreso azioni nemiche », ha minacciato l’ex premier e presidente russo Dmitrij Medvedev, oggi numero due del Consiglio di sicurezza. Mentre gli hacker russi di Killnet ieri hanno colpito per il secondo giorno consecutivo decine di siti governativi lituani. «Vilnius ha violato tutti gli impegni vietando il transito delle nostre merci. Quello che so è che nella nostra regione di Kaliningrad ci stiamo preparando a essere autonomi energeticamente», dice la ventiseienne Lera, agente di commercio, scendendo da una delle poche auto che transitano di qui. «Come siamo soliti dire noi russi, temiamo il peggio, ma speriamo il meglio».

"Arrestato anche Yashin l’ultimo oppositore sfuggito all’esilio"

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Vladimir Putin

Alla fine hanno arrestato anche lui, Ilja Yashin, uno dei pochi politici d’opposizione rimasti in Russia. Un veterano a dispetto dei suoi 38 anni e della faccia da eterno ragazzo: ex vicepresidente del Partito della libertà popolare Parnas, cofondatore del movimento Solidarnost e delfino dell’ex vicepremier assassinato Boris Nemtsov, infine presidente del consiglio municipale moscovita di Krasnoselskij costretto a dimettersi per il suo sostegno ad Aleksej Navalny. Lo hanno fermato lunedì sera mentre passeggiava in un parco moscovita e l’indomani mattina lo hanno condannato a 15 giorni di carcere per “disobbedienza verso pubblico ufficiale”. Stesso copione usato controVladimir Kara Murza, altro erede di Nemtsov: doveva cavarsela con due settimane di carcere, ma è dietro le sbarre da metà aprile in attesa di un nuovo processo per “diffusione di informazioni false”. È quello che rischia anche Yashin: l’inizio di un iter legislativo kafkiano che lo privi a lungo della libertà. «Le vere ragioni del mio arresto sono ovviamente politiche. Sono un oppositore, un deputato indipendente, un oppositoredel presidente Putin e del conflitto in Ucraina», ha detto ieri lo stesso Yashin durante l’udienza, Alle spalle ha già una multa per aver “screditato” l’esercito russo chiamando per nome quella che le autorità russe definiscono “operazione militare speciale”. Una violazione della “legge sulle fake news” approvata a inizio marzo che prevede anche il carcere fino a 15 anni. Da allora quel che rimaneva della stampa indipendente è stato costretto a chiudere, come Echo Moskvyj o Novaja Gazeta. E gli ultimi reduci dell’opposizione che non erano stati incarcerati avevano scelto l’esilio. Yashin no. È rimasto perché aveva una speranza: «Una Russia decente e buona. Se non riesci a immaginarla, non riuscirai mai a convincere nessun altro che sia possibile».

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