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La Repubblica Rassegna Stampa
12.06.2022 Usa e Cina alla sfida delle isole
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 12 giugno 2022
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Usa e Cina alla sfida delle isole»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/06/2022, a pag. 1, con il titolo "Usa e Cina alla sfida delle isole", l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

Il nuovo dittatore cinese, Xi Jinping – Orizzonti Politici –

Se la campagna militare russa contro l’Ucraina testimonia la volontà di Vladimir Putin di credere nella brutalità della guerra per cambiare gli equilibri di sicurezza in Europa, nello scacchiere del Pacifico la Cina di Xi Jinping sfida l’America in maniera assai più sofisticata ma non meno aggressiva: facendo leva su commerci e diplomazia vuole ottenere il controllo delle isole più strategiche. Il teatro della sfida sono 14 nazioni sovrane e sette territori che coprono il 15 per cento della superficie del Pianeta e sommano una popolazione che non arriva a 13 milioni di anime. Si concentrano nel Sud Pacifico, dalla Melanesia di fronte alle coste orientali dell’Australia alla Papua Nuova Guinea e Vanuatu, fino, più a Nord, agli atolli di Kiribati che arrivano a 3000 km dalle isole Usa di Hawaii ed a Palau, 1300 km dal territorio americano di Guam. Pechino ha da sempre una presenza in questa regione e cinesi sono alcuni dei mercanti di maggiore successo che l’hanno solcata negli ultimi secoli ma dal 2006 sono aumentate in maniera esponenziale le attività diplomatiche, commerciali e di aiuti, riuscendo nel 2013 a superare l’Australia nella classifica degli scambi e ad ottenere, più di recente, nelle Isole Salomone il risultato più importante con il controllo del 46 per cento dell’intero commercio. Il ministro degli Esteri, Wang Yi, ha appena compiuto in queste acque una lunga missione - toccando almeno otto nazioni - per verificare la possibilità di siglare un patto regionale su commercio e sicurezza. Washington e Canberra, suo maggiore partner regionale, temono che dietro questa offensiva vi sia l’intenzione cinese di creare almeno una propria base militare nel Pacifico del Sud. Si spiega così la preoccupazione per l’insediamento cinese a Santo Island, l’isola più grande di Vanuatu che dal 2018 riceve aiuti da Pechino, a cui Stati Uniti ed Australia hanno risposto riattivando i cantieri navali di Manus Island, in Papua Nuova Guinea, ricevendo però poi una doccia gelata nel 2019 quando prima Kiribati e poi le Isole Salomone hanno scelto di ritirare il riconoscimento diplomatico di Taiwan - l’isola roccaforte del nazionalismo cinese, tradizionale rivale della Repubblica Popolare - al fine di riavvicinarsi in maniera significativa a Pechino. Nelle Isole Salomone in particolare, la Cina ha negoziato senza clamore una concessione di 75 anni su Tulagi che consente di usarla a fini logistici: dal cambiamento di personale alla consegna dei materiali. Protagonista della trattativa è stato il “China Sam Enterprise Group”, un’azienda a capitale pubblico che si muove “in maniera analoga a come faceva la britannica Compagnia delle Indie durante l’era coloniale”, osserva una feluca asiatica di lungo corso, precisando che nello stesso modo Pechino si è assicurata il controllo di Isabel, sempre alle Isole Salomone, per costruire un progetto “navale e infrastrutturale” per sostenere le manovre delle sue unità militari, poter inviare unità di polizia ed al contempo per costruire delle rotte alternative di commercio con l’America Latina senza più dover dipendere dal passaggio attraverso il Canale di Panama. Ma è Kiribati chepreoccupa di più Washington perché Pechino ha siglato un accordo per “migliorare” una pista d’atterraggio sull’isola di Kanton che in prospettiva gli assegna una testa di ponte che potrebbe servire all’aviazione ed anche alla marina cinese per operare nella regione delle Hawaii. Kiribati è il vero cuore geografico dell’Oceano Pacifico: con tre gruppi di isole e 32 atolli corallini si estende per 3,5 milioni di kmq quasi la metà dell’Australia - e possiede acque molto ricche di pesca e fondali di minerali preziosi a dispetto di terre emerse per soli 800 km quadrati con appena 120 mila abitanti. Fino al 2019 Kiribati riconosceva Taiwan ma poi ha rovesciato la posizione a favore di Pechino che ora pianifica la costruzione di due “hub” logistici negli atolli di Tarawa e Kiritimati che si affiancheranno ad una stazione satellitare cinese che era stata “congelata” a causa dei legami con Taiwan. Se a questo aggiungiamo le intese sulla sicurezza siglati da Pechino con Fiji e Nuova Papua Guinea, e l’affitto dell’atollo Hao nella Polinesia francese, non è difficile capire perché Tess Newton Cain, politologo della Griffith University in Australia, parli di “grande energia cinese nell’area” che fa entrare Pechino in una “nuova fase di legami con le nazioni del Pacifico”. Per Washington e Canberra la prospettiva di una presenza militare cinese in questa regione del Pianeta è una “linea rossa” invalicabile. Daniel Kritenbrink, assistente Segretario di Stato Usa per Estremo Oriente e Pacifico, assicura che se ciò avvenisse “saremo pronti a rispondere di conseguenza” e il ministero della Difesa australiano si è spinto fino a dire che “dobbiamo essere consapevoli del rischio di una guerra perché la Cina sta andando in questa direzione, al fine di proiettare il suo potere militare a grande distanza”. A conti fatti l’obiettivo di Xi è raggiungere accordi con un pugno di piccole nazioni del Pacifico su temi come diritti di pesca - soprattutto di tonno - e sicurezza, promozione della cultura cinese con l’apertura di scuole di lingue e Istituti Confucio, al fine di arrivare a siglare un accordo su un’area di libero scambio capace di modificare l’attuale equilibrio di forze regionale a svantaggio di Usa e Australia. Il primo tentativo concreto di firmare questo patto è fallito a fine maggio alle Fiji per la forte opposizione di Micronesia e Palau, timorose di “riportare in questa regione il clima di guerra che abbiamo vissuto durante il secondo conflitto mondiale”. Ma Pechino non demorde e si prepara a rilanciare. La sfida del Pacifico con Washington sembra essere solo all’inizio.

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