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La Repubblica Rassegna Stampa
04.03.2022 Ucraina: la grande fuga dei civili
Cronaca di Corrado Zunino

Testata: La Repubblica
Data: 04 marzo 2022
Pagina: 1
Autore: Corrado Zunino
Titolo: «Un milione in fuga dall’inferno della guerra: 'Via per non morire'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/03/2022, a pag. 1-2, con il titolo "Un milione in fuga dall’inferno della guerra: 'Via per non morire' ", la cronaca di Corrado Zunino.

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Corrado Zunino

Guerra Ucraina-Russia, migliaia di profughi fuggiti nei Paesi vicini -  Adnkronos.com

All’ottavo giorno di guerra l’esodo verso le frontiere del mondo libero e in pace prende proporzioni bibliche. Un milione e mezzo di persone hanno lasciato l’Ucraina sotto le bombe. Quelle che alle dieci di sera hanno traversato i varchi meridionali e occidentali — gli ingressi in Polonia e Slovacchia, in Ungheria, Romania, Moldavia — sono almeno un milione e duecentomila. File di auto e uomini a Hrebenne, a Medyka, giù in Romania a Seghit. A questi numeri, presi dalle polizie di frontiera e approdati all’Alto commissario per i rifugiati, bisogna aggiungere, però, l’esodo dei russi, il loro ritorno in patria a est. E questi volumi i ministri di Putin non li hanno resi pubblici. Ecco, il movimento in uscita dall’Ucraina oggi è di un milione e mezzo di donne, bambini e pochi vecchi: gli scampati alle persecuzioni naziste a Kiev, per esempio. Chi ha più di 18 anni e meno di 65 non è potuto uscire, ha dovuto prestare le braccia alla difesa dell’Ucraina. «In quarant’anni di assistenza umanitaria non ho mai visto nulla di simile», dice Filippo Grandi, il commissario dei “refugees”. La particolarità dell’esodo innescato dai carrarmati di Putin è la sua velocità. Per venire via dalla Siria, alla fine del 2011, le popolazioni bombardate da Assad (con l’aiuto degli aerei della Russia) scelsero sì l’esilio e alla fine lasciarono il Paese in novecentomila. Impiegarono, però, tre mesi a raggiungere quella cifra, mentre «qui è avvenuto tutto in otto giorni».

È ancora Grandi a parlare, e il peggio è tutto davanti. «I profughi causati dalla guerra in Ucraina potrebbero essere più di 10 milioni». La stima è del portavoce del segretario generale delle Nazioni unite, Stéphane Dujarric. Accadrà «se le ostilità continueranno ». L’Ucraina stessa sta conoscendo un’inedita conformazione demografica: le regioni a oriente, già desertificate da otto anni di guerra nel Donbass, hanno registrato uno spopolamento da post-terremoto. Kiev, capitale al centro del Paese, si è svuotata mentre l’ovest con Leopoli vede un afflusso di profughi temporanei o stanziali, oltreché un trasferimento in sede delle ambasciate prima allocate a Kiev. Questa è Anna, 29 anni. È riuscita a entrare in Romania, con la figlia Daryna, lei di quattro, e Danilo, soltanto due. Vuole arrivare in Repubblica Ceca e racconta: «Abitavo con mia sorella e mia madre vicino a una centrale nucleare, quando sono arrivato gli aerei russi ho avuto paura di un’altra Chernobyl. Gli aerei sulla testa, i razzi che tiravano giù le case intorno. Ci siamo nascosti in cantina, ma non poteva bastare. Ho preso una valigia di vestiti, allora, le medicine salvavita e siamo scappati. Mio marito ci ha accompagnato fino al confine, poi è tornato indietro. Non so se lo rivedrò. I bambini non capiscono cosa sta succedendo». Eva, 15 anni, al valico di Malyka è uscita da sola. «Nel mio villaggio una casa su due è stata colpita dalle bombe e la scuola è danneggiata». Di quella fiumana di profughi, almeno 400.000 sono minorenni. «Molti sono a rischio abuso», spiega Save the children, «o di rapimento». C’è chi ha impiegato cinque giorni per raggiungere il confine. Treno o bus o auto. L’ultimo tratto, per tutti, a piedi. E anche questo viaggio, che ha trovato dall’altra parte un cuore dell’Europa largo, non è stato lo stesso per tutti. Nze, studente nigeriano all’Università di Leopoli, spiega il suo viaggio: «Alla frontiera polacca la polizia voleva schiacciarci con i furgoni e ci ha puntato le pistole addosso. Urlavamo: “Siamo studenti, abbiamo il permesso di superare la frontiera”, ma non ci facevano passare. “Ukrainian first”, dicevano. Prima i bianchi. Qualcuno di noi ha dormito qui anche due notti». Ora l’ambasciata polacca in Italia diffonde comunicati in cui spiega che «la Polonia accoglie tutti e non rimanda in un territorio di guerra nessuno». Ma la questione razziale è diventata aggressione a Przemysl, città polacca di frontiera, proprio l’altra notte: tifosi della squadra locale prima hanno animato su Facebook la caccia al nero: “Avete visto asylanten non ucraini?”.

 Poi li hanno raggiunti al centro profughi armati di mazze da baseball. Il doppio trattamento, bianchi e neri, si è riproposto al varco di Sighet, confine settentrionale della Romania, e si è trasformato in un caso diplomatico. Ancora ieri, tardo pomeriggio, quattromila studenti indiani dell’Università di Kiev erano fermi a quel confine. Le temperature sotto lo zero. Milleottocento avevano varcato la frontiera ed erano stati accompagnati in una palestra, in attesa degli aerei inviati dal governo indiano. Gli altri avevano visto scorrere la fila solo per i cittadini ucraini. Il viaggio odissea l’hanno dovuto affrontare anche i bambini malati. L’associazione Soleterre in due giorni è riuscita a evacuare da Kiev ventidue adolescenti in cura chemioterapica, in alcuni casi intubati. Per loro gli ultimi due chilometri verso la frontiera polacca, percorsi a piedi, sono stati un calvario: «Alcuni avrebbero potuto morire per un raffreddore », racconta Damiano Rizzi, presidente di Soleterre. Sei piccoli pazienti sono già all’Istituto tumori di Milano e al San Matteo di Pavia. Questa, infine, è Erika, da Kiev all’aeroporto di Fiumicino. Non rivela l’età e ha un tumore al rene che si è già esteso ai polmoni. Era in cura all’International cancer center quando è scoppiata la guerra: «L’ultimo ciclo di chemio me lo ha fatto la mamma, a casa, ma non potevo curarmi tra le bombe, ogni giorno più vicine». Erika è fuggita con la madre dai nonni, appena fuori dalla capitale. Insieme hanno contattato l’altra nonna, badante a Roma. e preso un bus interno: in trenta ore sono arrivate in Romania. Di là dalla frontiera, c’era la Croce Rossa. E un’altra vita.

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