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La Repubblica Rassegna Stampa
25.11.2021 Europa-Bielorussia. Che fare?
Analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 25 novembre 2021
Pagina: 33
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «La Ue e la lezione bielorussa»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/11/2021, a pag. 33, con il titolo "La Ue e la lezione bielorussa", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.

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Bernard-Henri Lévy

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Il dittatore Lukashenko

Prima di tutto, lo stupore. Non che questa sia la prima volta. Gheddafi faceva altrettanto quando, ogni anno alla fine dell’estate, negoziava con Roma la salvaguardia delle sue frontiere. Né ragiona diversamente il suo quasi gemello Erdogan, quando dice agli europei: «Trattenetemi o saranno dolori; pagatemi la mia rendita annua o non trattengo più nessuno e scarico sulle vostre coste i milioni di ostaggi che ho». Ma la cosa non era mai stata così chiara. Mai prima d’ora si era andati a cercare i migranti in questa maniera. Mai prima d’ora si erano noleggiati aerei, mobilitate reti sociali, agenzie di viaggio locali, veri e falsi trafficanti, mai prima d’ora si erano impiegati così tanti mezzi per attirare gli esuli, per far balenare il miraggio di un El Dorado o di un festino e spedirli contro le frontiere europee. Mai dei dittatori, in questo caso Lukashenko e Putin, avevano pianificato così freddamente la trasformazione di una colonna di disperati in un cavallo di Troia. È il massimo del cinismo. E in questi speculatori della miseria che giocano con gli esseri umani come se fossero pedine e reinventano, in definitiva, una nuova forma di commercio triangolare troviamo la quintessenza dell’abiezione. Questo è un evento. È un supplemento senza precedenti all’arte della guerra, ed è letteralmente un evento. L’altro evento è che l’Europa, di fronte a questo atto di belligeranza senza precedenti e destinato, in piena logica clausewitziana, a disorientarla, ha cominciato a vacillare, a chinarsi, a tremare di fronte ai russi, a ringraziare (ci chiediamo di cosa!) la Turchia, ma alla fine ha visto la trappola e, a essere onesti, non ci è veramente caduta. Dobbiamo darne credito al presidente Macron che ha subito indicato la mano di Putin? O alla cancelliera Merkel che, forte del gesto kantiano che le fece accogliere un milione di rifugiati nel 2015, non ha voluto uscire di scena sotto i fischi e il sarcasmo degli illiberali trionfanti? È stato il calpestio di stivali sul confine ucraino che, al momento opportuno, ha ricordato ai padri coscritti del Senato di Bruxelles che la guerra, quella vera, era alle porte? È stata la diplomazia lituana che, avvezza alle prove di forza con i suoi temibili vicini, ha capito che il ricatto dei bielorussi e dei russi che minacciavano di tagliarci il gas era un bluff? Il fatto è che Lukashenko ha dimostrato di essere una tigre di carta senza mezzi, né giuridici, né tecnici, per chiudere i rubinetti. Il re Putin è apparso nudo, tanto spaventato di rimanere senza i nostri euro quanto noi di patire il freddo quest’inverno. E abbiamo riscoperto la legge secondo la quale la nostra debolezza morale è spesso la principale fonte per la forza delle tirannie.

L’Europa si è scossa. Si è, come è di moda dire, leggermente risvegliata. E aumentando il livello delle sanzioni e rendendosi opportunamente conto che mancavano dei dettagli alla montagna di contratti per la convalida del gasdotto Nord Stream 2, che trasporterà miliardi di metri cubi di gas russo e a cui il Cremlino tiene tanto, sembra aver fatto riflettere Putin e il suo valletto Lukashenko. Ma, da questa crisi, si trae purtroppo anche una terza lezione. Avremmo potuto benissimo, mentre alzavamo la voce contro i russi, abbassare la guardia nei confronti di queste migliaia di migranti, una goccia d’acqua nell’oceano del benessere di 300 milioni di europei. Ci siamo invece barricati in casa nostra. Ovunque, si è cercato solo di arginare “l’ondata” e non di creare uno “sfogo”. Abbiamo picchiato. Abbiamo minacciato di sparare. E, se pure il ricatto ci ha scosso, ci siamo poi allineati a una visione delle cose che riconosceva in questi rifugiati non degli esseri umani, ma armi, nemici per vocazione e destinazione, oggetti. Bisognerà riconsiderare tutto questo. Dobbiamo prendere di petto, una buona volta, la questione dell’accoglienza che è nel cuore della patria di Omero, di Dante, di Victor Hugo e di Edmund Husserl. Bisognerà ricordare agli europei che l’ospitalità ha delle leggi (che portano il sigillo dell’inevitabile finitezza di questo o quel luogo di adozione) ma anche dei principi (che sono invece infiniti e quindi incondizionati). E sarà necessario, a metà strada tra questa finitezza politica e la parte infinita dell’esigenza etica, trovare un posto in questo mondo per coloro che non possono vivere dove il destino li ha fatti nascere — bisognerà preoccuparsi dei diritti degli uomini che sono solo uomini perché non sono più, o non ancora, soggetti di diritto. Nell’attesa, la situazione è questa. Donne e bambini si sono aggirati, e si aggirano ancora, nel buio delle foreste. Alcuni di loro erano curdi e avevano combattuto al nostro fianco contro l’Isis. E mentre ci perdevamo in ignobili discussioni, non sulla miseria concreta che avevamo davanti agli occhi e che era così facile alleviare, ma su questa famosa “miseria del mondo” che “non possiamo accogliere tutta” ma che, come l’universale astratto dei filosofi, non ha mai altra esistenza se non quella delle ombre, alcuni sono morti sulla nostra sacra soglia. E questo è imperdonabile.
(Traduzione di Luis E. Moriones)

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